Abbiamo costantemente segnalato, su Atlantico Quotidiano, i rischi di sabotaggio della Commissione di inchiesta sulla gestione dell’emergenza Covid, che a quasi un anno dall’inizio della legislatura non ha ancora visto la luce.
E abbiamo criticato il tentativo in assoluto più autorevole di sabotaggio, che purtroppo sembra andato a segno, quello del Quirinale a fine luglio, con l’intervento a gamba tesa del presidente della Repubblica Sergio Mattarella per influenzare l’iter parlamentare ancora in corso della legge istitutiva, un assist alle forze politiche, Pd e 5 Stelle, che hanno cercato in ogni modo di affossare o almeno depotenziare la Commissione.
Iniziative di inchieste con cui si intende sovrapporre attività del Parlamento ai giudizi della Magistratura si collocano al di fuori del recinto della Costituzione e non possono essere praticate. Non esiste un contropotere giudiziario del Parlamento, usato parallelamente o, peggio, in conflitto con l’azione della Magistratura. Così come non sono le Camere a poter verificare, valutare, giudicare se norme di legge – che il Parlamento stesso ha approvato – siano o meno conformi a Costituzione, perché questo compito è riservato, dall’art. 134, in maniera esclusiva, alla Corte Costituzionale. Non può esistere una giustizia costituzionale politica.
Queste le parole del presidente Mattarella. E come forse ricorderete, già all’indomani dell’intervento presidenziale, anzi poche ore dopo, era intervenuto il deputato di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami per rassicurare il Colle, ringraziandolo anzi per le sue “preziose parole”, “apprezzate da tutta la maggioranza”, e annunciare modifiche al Senato in linea con il dettato presidenziale.
I tre emendamenti
Così è stato. In questi giorni, come ha riportato ieri La Verità, il relatore del provvedimento, il senatore Gianni Berrino (FdI), ha fatto approvare due emendamenti al testo. Il primo stabilisce che la Commissione ha la facoltà di acquisire atti e documenti in possesso dell’autorità giudiziaria o altri organi inquirenti ma solo “se non coperti da segreto di indagine”. Il secondo esclude la possibilità di individuare, nei provvedimenti varati “nelle fasi iniziali e successive della pandemia … eventuali obblighi e restrizioni carenti di giustificazione in base ai criteri della ragionevolezza, della proporzionalità e dell’efficacia, contraddittori o contrastanti con i princìpi costituzionali”.
Ma c’è un terzo emendamento che il relatore ha fatto approvare, accogliendo identici emendamenti di Pd, 5 Stelle e Sinistra e Verdi: la soppressione della lettera v), primo comma dell’art. 3, per cui non è più tra i compiti della Commissione “verificare e valutare la legittimità della dichiarazione dello stato di emergenza e delle relative proroghe nonché dell’utilizzo dello strumento della decretazione d’urgenza”.
Resta fuori dal perimetro dei lavori solo la legittimità costituzionale dei provvedimenti, si è giustificato Galeazzo Bignami intervistato da La Verità. Come se fosse un dettaglio e non, in fin dei conti, l’unica cosa che conta davvero, anche nella prospettiva di una futura emergenza.
Nessun effetto giuridico diretto
Bignami forse lo ignora, ma come aveva spiegato Giacomo Canale su Atlantico Quotidiano, la Commissione non avrebbe potuto in alcun modo ledere le attribuzioni della Consulta, perché in nessun caso avrebbe potuto dichiarare illegittima una norma, né le sue conclusioni avrebbero mai potuto costituire un vincolo interpretativo.
Anche rispetto ai paventati rischi di “sovrapposizione” ai giudizi della magistratura e di “contropotere” giudiziario, i rilievi del presidente Mattarella sono del tutto infondati e strumentali.
Le commissioni di inchiesta non concludono i loro lavori con una sentenza, ma con l’approvazione della relazione conclusiva (che può essere accompagnata da una relazione di minoranza) e la pubblicazione della documentazione raccolta di cui sia decisa la divulgazione. La relazione conclusiva dà conto dei risultati dell’inchiesta e della connessa valutazione dei fatti, senza che ciò produca direttamente alcun effetto giuridico, né su persone né su leggi.
Alla sola autorità giudiziaria spetta l’accertamento giurisdizionale delle responsabilità con l’adozione di sentenze a seguito di regolari processi. Tra l’altro, sono molteplici gli esempi di commissioni di inchiesta parlamentare che si sono svolte parallelamente o successivamente a inchieste giudiziarie su fatti di rilevante gravità e complessità, come nel caso della Commissione antimafia e della Commissione stragi, o che hanno riguardato l’adeguatezza di un intero impianto normativo.
Una commissione parlamentare di inchiesta che voglia accertare quanto accaduto durante l’emergenza Covid, anche con riferimento a eventuali responsabilità, o alla compatibilità dell’impianto normativo con i princìpi fondamentali dell’ordinamento, non si colloca al di fuori del perimetro della Costituzione, al contrario rientra precisamente nella funzione di controllo del Parlamento sul potere esecutivo, sulla pubblica amministrazione e anche su se stesso.
Perché, appunto, le sue conclusioni non darebbero luogo ad alcun effetto giuridico ma, al massimo, ad una censura politica dell’operato dell’esecutivo e del legislatore. Eventuali profili penali emersi sarebbero poi demandati all’autorità giudiziaria.
Esclusi Dpcm e decreti
L’effetto degli emendamenti appena approvati sull’ambito di indagine della Commissione è di fatto l’esclusione di Dpcm e decreti da ogni valutazione circa la loro adeguatezza, proporzionalità, ragionevolezza e compatibilità con i principi della nostra democrazia alla luce delle gravose limitazioni delle libertà e dei diritti fondamentali imposte ai cittadini. Un effetto pratico, temiamo, potrebbe essere per esempio l’esclusione di costituzionalisti e giuristi dalle audizioni della Commissione.
Ma si tratta di una scelta politica, una gentile concessione della maggioranza di centrodestra al presidente Mattarella, e agli ex premier Conte e Draghi, perché una loro valutazione da parte delle Camere non avrebbe comportato alcuna violazione del dettato costituzionale.
Come ha ricordato nei suoi articoli il nostro Gianluca Spera, la sede più idonea per indagare la gestione dell’emergenza Covid è quella politica, parlamentare, non giudiziaria. E il nodo è giuridico-politico, non medico-scientifico.
Si è agito su libertà fondamentali con atti amministrativi (nazionali o locali). Non occorre neppure richiamare il sistema delle gerarchie delle fonti perché l’incongruità appare talmente macroscopica che sarebbe facilmente rilevabile anche da una matricola della facoltà di giurisprudenza. Se la Commissione non vuol essere un’occasione sprecata, deve concentrarsi proprio su questo aspetto fondamentale: quali sono i limiti di un legislatore durante un’emergenza? Qual è il perimetro che deve osservare per non esorbitare dalle sue prerogative e non invadere il campo dei diritti costituzionalmente protetti?
Dare una risposta a tali quesiti non solo rientra ma è il cuore della funzione parlamentare in una democrazia liberale.
Il paradosso dei Dpcm
Tra l’altro, il paradosso è che il presidente Mattarella aveva richiamato l’art. 134 della Costituzione sulle attribuzioni della Corte costituzionale, ma oggi vengono esclusi dall’indagine della Commissione anche i Dpcm, atti amministrativi che esulano dal controllo di legittimità di cui all’art. 134, riservato alle leggi e agli atti aventi forza di legge. Dpcm tramite i quali però sono state imposte alcune delle più pesanti limitazioni di diritti costituzionalmente protetti. Escludendoli, il Parlamento rinuncia alla propria basilare e incontestabile funzione di controllo sul potere esecutivo.
Per non parlare delle ordinanze regionali in deroga e ancor più restrittive di quelle nazionali, che mai avrebbero potuto incidere sulle libertà personali traendo tale “potere” da un altro atto amministrativo come appunto i Dpcm.
Salvacondotto politico
Di fatto, escludere dall’indagine della Commissione qualsiasi valutazione su obblighi e restrizioni, e sugli strumenti normativi utilizzati, Dpcm e decreti, equivale ad un salvacondotto politico per i premier che li hanno adottati – Giuseppe Conte e Mario Draghi – e ovviamente, guarda caso, per lo stesso presidente Mattarella, che dal Colle ha validato tutta l’impalcatura normativa della gestione emergenziale.
Certo, comprendiamo che non sarebbe stato piacevole per il presidente Mattarella che ora il Parlamento sconfessasse il suo operato come custode della Costituzione. Si sarebbe trattato di un giudizio grave, se la Commissione fosse giunta ad una tale conclusione, come gravi però sono state per i cittadini le misure adottate dal legislatore e avallate e convalidate dal Colle.
Le prerogative del Parlamento
Ricordiamo inoltre che in gioco non c’è solo un punto del programma elettorale del centrodestra, al limite sacrificabile, ci sono le prerogative del Parlamento, che a luglio scorso il presidente Mattarella ha attaccato, mettendo in discussione il potere di inchiesta che chiarissimamente la Costituzione attribuisce alle Camere (art. 82) “con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’Autorità giudiziaria”.
L’attuale maggioranza parlamentare si è fatta limitare tale potere dal Quirinale, rischiando di fissare un pericoloso precedente. Ancor più grave, a mezzo di una conferenza stampa del presidente Mattarella. Una maggioranza che abbia a cuore non solo se stessa, ma l’autonomia del Parlamento, non avrebbe dovuto cedere.
Se il presidente ha dei rilievi su una legge, si assume la responsabilità di rinviarla alle Camere con messaggio motivato, citando esplicitamente quelle che sono a suo avviso le criticità e perché. Questo è il potere che la Costituzione gli attribuisce (art. 74). Immaginate se una Commissione del Congresso Usa si facesse recintare il suo perimetro di indagine dal presidente Biden per mezzo di una semplice conferenza stampa.
In questo modo invece la maggioranza si assume la grave responsabilità di svendere le prerogative del Parlamento e lanciare un segnale di debolezza e sudditanza rispetto all’invasione di campo presidenziale, un pessimo precedente per il prosieguo della legislatura – e con buona pace di tutti i discorsi sulla “centralità del Parlamento”.