Le opinioni della gente comune sul generale Roberto Vannacci sono piuttosto diversificate, ma, in sostanza, possiamo semplificare dicendo che, in linea di massima, sono più positive negli ambienti del centrodestra, mentre a sinistra lo si considera un pericoloso eversore se non un fascista bell’e buono.
Come sempre accade nei casi di esternazioni di personaggi pubblici controversi, sulla scia della mania italiana di celebrare processi mediatici e approssimate operazioni esegetiche sul significato da attribuire alle dichiarazioni del malcapitato di turno, tutto finisce per spostarsi sul piano unticcio delle chiacchiere da bar, quelle che prevedono la regola unica: schierarsi pro oppure contro qualcuno, solidarizzando o contestando senza mezze misure né posizioni intermedie, perché il bar richiede sentenze più che affermazioni, certezze più che prudenti rinvii a studiare meglio la questione discussa.
D’altra parte, consideriamo altresì che siamo nel Paese in cui un avviso di garanzia costituisce sentenza, non soltanto tra gli avventori del bar, ma persino nelle parole di parecchi onorevoli, come sta accadendo proprio in questi giorni per il caso del governatore della Liguria, Giovanni Toti.
Un’opinione tra le tante
Fatta questa premessa, colgo l’occasione per esaminare la faccenda sotto un profilo diverso, che del pensiero del generale spezzino (e confesso di non aver letto il suo libro) non ne faccia il maggior elemento critico. Ciò per un motivo semplicissimo: Vannacci dice e scrive ciò che moltissimi, anche prima di lui, dissero e misero per iscritto; trattasi della manifestazione di un pensiero tra gli altri, non voglio dire “un pensiero qualunque” perché suonerebbe riduttivo, ma pur sempre un’opinione tra le tante.
Abbiamo assistito, negli anni, a esternazioni di politici (e Vannacci, tecnicamente, nemmeno lo è ancora) non meno che dinamitarde: da quelli che solidarizzavano con le frange assassine comuniste (quelli dei “compagni che sbagliano”), per non parlare di quelli che, nei primi anni della Repubblica, si rifiutarono, per meri motivi politici, di adoperarsi per il rilascio dei prigionieri italiani nei campi di concentramento sovietici.
Dopotutto, il generale non dice alcunché non si sia sentito dire molte volte, seppure magari più “filtrato” dalla capacità politica, da moltissimi esponenti del centrodestra e della defunta Democrazia Cristiana.
Il dettato costituzionale
Niente di così sconvolgente, a mio avviso, ma non è questo il punto che voglio trattare, bensì un altro, tutt’altro che secondario. La Costituzione della Repubblica Italiana dispone, nell’art. 98 , terzo comma:
I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione. Se sono membri del Parlamento, non possono conseguire promozioni se non per anzianità. Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero.
Assodato, nel dettato costituzionale, il diritto dello Stato di imporre limiti all’attività politica dei militari in servizio effettivo, come a tutti i pubblici impiegati, una parte della dottrina sembra vietare loro le attività politiche (e l’iscrizione degli stessi a un partito) soltanto quando essi siano in divisa, per quanto vi siano correnti dottrinali che interpretano la norma in modo più restrittivo, che vieterebbe ai militari ogni attività politica, tout court.
Su tale articolo, sia detto per completezza, gravò il clima post-bellico che ancora permeava l’Assemblea Costituente: si temeva, infatti, che consentendo ai militari di fare politica attiva, questi potessero ricostituire il disciolto partito fascista: questa la vera ragione.
La Brigata Folgore
Va anche detto che la leggendaria Brigata Paracadutisti “Folgore”, comandata dallo stesso Vannacci nel 2016-17, prima dell’uscita del suo libro “Un mondo al contrario”, è un corpo militare sceltissimo e di rapido impiego in molti scenari bellici in tutto il mondo, è quindi abbastanza ragionevole associare il pensiero politico del suo comandante all’intera unità operativa.
Non nascondiamoci dietro a un dito: non è certo cosa nuova e sconvolgente che la Folgore sia, per svariati motivi, un’unità di elite nota, per dirla elegantemente, per la marcata connotazione ideale di stampo tradizionalista e fortemente intrisa nel rispetto delle tradizioni più sacre alla Nazione. Farne politica è pericoloso e controproducente, tanto più in questi tempi di dilagante cultura woke, di rifiuto dell’immagine di un certo tipo di militare tutto-d’un-pezzo che, almeno a parole, la totalità dei politici di ogni parte sembra non volere.
Che, poi, il cosiddetto “lavoro sporco” qualcuno lo debba pur fare, sono d’accordo tutti, ma è del tutto evidente che farsi dare consigli di stampo etico dal comandante della Folgore è, politicamente, una gran brutta gatta da pelare, anche per la destra più destra. Se, per giunta, lo stesso Vannacci non si sia prima messo in congedo prima d’iniziare a sparare a zero su temi delicatissimi quali l’omosessualità, l’immigrazione e sull’identità nazionale, è del tutto evidente che qualche grosso mal di pancia possa averlo creato ai suoi superiori, ossia allo Stato.
Una questione di ruoli
Alla fine, è una questione di ruoli: i militari facciano i soldati, i filosofi e sociologi facciano il loro mestiere e la politica stia rigorosamente in posizione indipendente dallo spirito di corpo, soprattutto per non creare imbarazzi e appigli di comodo per screditare le nostre Forze Armate da parte di chi non aspettava altro che appiopparci ingiuste etichette di parte che, in un momento di grande confusione geopolitica come quello attuale, certamente non hanno fatto bene alla nostra Difesa.
Guarda caso, appena uscito il contestato libro di Vannacci, egli è stato immediatamente “promosso” a incarico superiore. Era prevedibilissimo. Certamente il generale sa bene il significato di termini militari quali “incompatibilità ambientale” che, da sempre, stanno alla base di certi improvvisi trasferimenti dei dipendenti del Ministro della difesa.
Ha egli perseguito l’interesse della prestigiosa Brigata dell’Esercito da lui comandata? Direi di no, mi si dimostri il contrario. Se avesse voluto portare avanti la sua “crociata” (giusta o sbagliata che sia) doveva proprio farla rimanendo un militare in servizio permanente effettivo? E, non per ultimo, se proprio desiderava mettere a servizio della politica la propria capacità professionale, non avrebbe potuto più proficuamente approfittare delle sue conoscenze nelle cose militari? Ed ancora: a parte la “finezza” di proporsi in abiti civili, sebbene quasi quotidianamente, al pubblico, un militare, e di quel grado, non dovrebbe fare vita privata più riservata?
Consigli non richiesti
Non c’entra un fico secco quel diritto costituzionale di liberamente manifestare il proprio pensiero con ogni mezzo. Quando si sia scelto di fare il militare, quando s’imponga ai propri sottoposti il rispetto delle regole e del grado, la sobrietà e la misura sono d’obbligo. Dico forse una sciocchezza? Siamo pericolosamente alle soglie di una guerra mondiale e cosa fa il generale? Rilascia a un’agenzia di stampa nazionale un’intervista sul tema: il gonnellino indossato dal vincitore di un festival europeo di canzonette.
Non sarebbero altri e meno ancillari gli argomenti di cui occuparsi? Evidentemente no. Se, idealmente, potessi dare un consiglio (per carità: non richiesto né autorevole) al generale Roberto Vannacci, gli direi:
Eccellenza (per età, educazione ricevuta e, mi consentirà, stile di vita, mi rivolgo ancora a Generali, Prefetti e Vescovi usando questo titolo), faccia bene attenzione a non farsi fagocitare dai partiti in cerca di nuovi consensi popolari. Comunque vada, e Le auguro di essere eletto, il ruolo del difensore dell’ortodossia e dei sacri valori della tradizione, in politica paga pochissimo, anzi… accade spesso che i Suoi nuovi nemici (essendo, oltretutto un neofita della politica) cercheranno di batterLa proprio su quel campo: nessuno di noi può dirsi al di sopra d’ogni sospetto e qualche modesto scheletrino nell’armadio lo abbiamo proprio tutti. Posso concordare con Lei sull’evidente deriva globale di quei valori che, fino a pochi anni fa, erano indiscutibili e condivisi (quando ancora si poteva usare il termine “persona perbene”). Questo mondo non lo cambieremo di certo con la polizia del pensiero o con la censura. Il buongusto è ormai morto e sepolto e quello, solo quello, potrebbe salvarci ancora. Ma non si possono imporre buongusto, misura e rispetto. Vero: esistono vere e proprie lobbies che fanno della loro presunta “diversità” una posizione d’ingiusto privilegio, ma non è compito della politica o dei militari cambiare il mondo: politici e soldati dovrebbero soltanto servire con coraggio e dedizione il proprio Paese e già basterebbe e avanzerebbe. Abbiamo, invece, un dannato bisogno di politici informati e capaci, che ci possano portare fuori da certe turbolenze che Lei ben conosce. Ma chi se ne frega delle abitudini sessuali altrui! Nel rispetto della legge, in quel campo, ciascuno faccia come preferisce, basta che non c’imponga i suoi gusti. Cordialmente.