Oggi è il 4 novembre, Festa delle forze armate. La festività, com’è noto, trae origine dalla celebrazione dell’armistizio che pose fine alla Prima Guerra Mondiale e consentì all’Italia di completare il progetto politico nazionale con l’annessione di Trento e Trieste.
Da molto tempo oramai quella del 4 novembre è una festività che ha messo in secondo piano la celebrazione dell’accadimento storico che l’ha originata, anche perché nella nuova temperie culturale ci sarebbe poco da rallegrarsi – a 106 anni di distanza – per un massacro di giovani vite umane accettato per la conquista di terre dove ancora adesso non è scemato il sentimento anti italiano. Ma quelli erano ovunque tempi di nazionalismo e non è il caso di esprimere giudizi adesso su ciò che accadde allora. Il mondo andava per quella strada.
La migliore polizza
Oggi, invece, capita sempre più spesso di sottolineare l’omaggio che si deve a tutti gli appartenenti alle forze armate che espongono le loro vite al rischio della morte per difendere la pace. E questo è il punto; il vero nodo delle celebrazioni del 4 novembre.
La festa della forza armate dovrebbe servire a ribadire l’ovvio, a ricordare quella che potrebbe apparire la più trita delle banalità: si vis pacem para bellum. E di banalità in banalità le celebrazioni del 4 novembre dovrebbero essere utili per ricordare anche che il mondo rimane un luogo maledettamente pericoloso dove in molti ancora sono disposti a utilizzare le armi per sopprimere vite e libertà a decine di milioni di esseri umani.
E tra tutte le banalità che farebbero storcere il naso agli intellettuali sempre in trincea per la causa della pace – da difendere con una bella sfilata sotto le bandiere arcobaleno – vi è quella che ci ricorda come un adeguato apparato militare di difesa rappresenti la polizza assicurativa migliore per tenere a freno gli istinti totalitari di troppa gente che vive e comanda su questa terra o per non soccombere se la follia umana dovesse porci di fronte ad un conflitto.
Un mondo pericoloso
Nel corso degli anni trenta Winston Churchill profuse tutte le energie che aveva in corpo per mettere in guardia il Regno Unito del grave pericolo di rimanere indietro rispetto all’avanzata militare della Germania nazista, soprattutto sui mari e sui cieli dove la Gran Bretagna vantava sino a quel momento il predominio assoluto. Churchill era disposto a disarmare purché disarmassero anche i nemici, ma non era disposto a farsi trovare impreparato o ad incoraggiarli con la debolezza manifesta del proprio apparato militare.
Sappiamo com’è andata a finire. Altri tempi, si dirà. Vero, altri tempi, non come quelli di oggi nel corso dei quali la Russia ha invaso l’Ucraina e minaccia l’intera Unione europea, la Cina sorregge la Russia e può contare già su una flotta più numerosa di quella degli Stati Uniti, la Corea del Nord vorrebbe farci a pezzi e alimenta il suo arsenale, l’Iran non rinuncia a cancellare Israele dalla faccia della terra, a Taiwan scandiscono il conto alla rovescia per l’invasione cinese, Putin ci ricorda che se non facciamo i bravi ci disintegra con le armi nucleari.
Altri tempi quelli del vecchio leone inglese, certo. Diversi dalla nostra epoca in cui la minaccia del disimpegno Usa dalla Nato – o comunque dalla difesa europea – richiederebbe il rispetto da parte di tutti i Paesi europei della promessa di investire almeno il 2 per cento del Pil annuo per la difesa comune se non vogliamo rischiare seriamente di finire vassalli di Mosca e degli eredi di Putin.
Strumento di difesa
Ma noi abbiamo l’eterno rebus del perimetro del welfare state di cui occuparci, mica quisquilie. Oggi siamo nel 2024 e festeggiamo le forze armate. Non c’è necessità di ricordare all’opinione pubblica che la pace e la libertà di cui godiamo, spesso indegnamente, sono il lascito della morte di decine di migliaia di giovani grazie ai quali nella Seconda Guerra Mondiale non prevalsero l’inferno e il terrore nazisti.
Oggi festeggiamo le forze armate e non c’è bisogno di ricordare altre banalità come quella che la nostra Costituzione repubblicana rifiuta la guerra come strumento di offesa e non certo come unico strumento per garantire la vita e la libertà contro gli attacchi sconsiderati di dittatori di cui è ancora pieno il mondo.