Covid, l’errore da non ripetere: la perdita dei valori occidentali

Rovesciati i principi guida di due settori – scienza e arte medica – fondamentali per il primato dell’Occidente. Spetta ora alla Commissione Covid ripristinarli

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Com’è noto, da pochi giorni il Parlamento ha avviato la procedura per l’istituzione di una Commissione d’inchiesta sulla gestione dell’epidemia da Covid-19. Un atto che non sarà mai troppo apprezzato, soprattutto se i lavori saranno condotti sine ira ac studio, evitando soprattutto da un lato di cercare delle persone da accusare, e dall’altro tentare di trasformare in vittime coloro che hanno già pagato di fronte al giudizio degli elettori per i loro errori.

Errori da non ripetere

È invece proprio sulla valutazione di questi errori, che ormai sono venuti in piena luce nelle analoghe inchieste svolte in altri Paesi, che si spera si concentrino le indagini, in modo che in occasioni analoghe non vengano ripetuti.

Si pensi alla prescrizione della vigile attesa come unica cura possibile, alle chiusure generalizzate, all’obbligo di aderire “spontaneamente” all’utilizzo di vaccini non ancora del tutto collaudati e senza tenere conto delle diverse categorie di persone da sottoporre a vaccinazione, tutte misure in linea generale utili, ma che spinte all’eccesso hanno complessivamente aggravato gli effetti del virus.

La perdita dei valori occidentali

Lasciando tutto ciò al dibattito della futura Commissione, vorrei soffermarmi su un tema diverso che merita qualche piccola riflessione. Sto parlando della perdita dei valori occidentali che si è verificata durante la gestione dell’epidemia, e in particolare del fatto per più di due anni sono stati completamente rovesciati i valori guida di due settori fondamentali della società e della cultura occidentali.

I valori guida della scienza, cioè della ricerca teorica diretta a conoscere i rapporti tra i fenomeni della natura, e quelli dell’arte medica, cioè della tecnica basata sulla scienza ma anche sull’esperienza e sulla prudenza nel decidere, finalizzata a tutelare e promuovere la salute fisica e psichica delle persone.

Le “killer app” dell’Occidente

Lo studioso scozzese trapiantato in America Niall Ferguson, uno dei maggiori storici viventi, nel suo libro del 2011 “Civilization. The West and the Rest”, tradotto in italiano con il titolo (a mio avviso non molto corrispondente a quello originale) “Occidente. Ascesa e declino di una civiltà”, affrontando il problema della possibile decadenza della civiltà occidentale moderna, ne ricostruisce la storia in relazione a sei punti di forza sociali e culturali, che paragona a sei app killer, cioè a quelle app che conquistano il mercato spiazzando la concorrenza, grazie alle quali a partire dal XVI secolo la civiltà di origine europea ha acquisito il primato economico, politico e culturale, giungendo alla conclusione che il declino potrà essere evitato solo se in Occidente si sapranno mantenere e rinnovare questi sei punti di forza.

Solo ad una visione superficiale potrebbe sembrare strano che Ferguson non parli della forza militare, del potere economico etc., e che invece tra questi sei punti di forza includa proprio sia la scienza teorica che l’arte medica.

Sarebbe infatti difficile contestare, a meno di rifugiarsi nel neo nichilismo di molti sostenitori della cultura woke, che grazie alla scienza e all’arte medica i Paesi occidentali hanno trasformato il mondo in maniera che ad esempio ad un uomo del Rinascimento sarebbe sembrata semplicemente impossibile.

Scienza e arte medica

La scienza ha portato a conoscere cose che in precedenza erano a mala pena concepibili per la mente umana e ha consentito la applicazione a livello tecnico delle stesse in modo da trasformare gradualmente (anche se talora attraverso una serie di errori e di repressioni violente) la realtà naturale e sociale: si pensi al mutamento della struttura delle città, della mobilità, delle condizioni di vita etc. avvenuti negli ultimi secoli.

Quanto all’arte medica, i suoi veri e propri “miracoli”, si possono sintetizzare nel prolungamento della durata media della vita, che era di poco superiore ai trent’anni all’inizio dell’età moderna (sempre flagellata da carestie, denutrizione ed epidemie, ben peggiori del Covid-19), e che ora, dopo un processo graduale, anche esso imperfetto e talora basato su ingiustizie, è vicina in tutto il mondo ai settant’anni, compresa la maggior parte dei Paesi dell’Africa, dove solo in alcuni stati, purtroppo ancora vittime di guerriglie ed odi tribali sfruttati dai produttori di armi, è al di sotto dei sessanta.

Dopo avere riportato giustamente questi dati, Ferguson si chiede il perché di tali “miracoli”, tenuto conto che sia la scienza teorica che l’arte medica all’inizio del XVI secolo in Europa non erano più avanzate, ed anzi per molti versi erano più arretrate rispetto alla scienza e all’arte medica cinesi o arabe.

Il criterio di verificabilità

Lo storico scozzese individua le ragioni di questo successo nella elaborazione di nuovi principi, di nuovi valori destinati a regolare da un lato la scienza teorica e dall’alto l’arte medica.

Quanto alla scienza teorica, Ferguson lega il suo boom allo sviluppo del principio di autonomia della stessa, dove per autonomia si intende (etimologicamente) la capacità della scienza di darsi da sola la proprie regole e i propri metodi, rifiutando le imposizioni dall’esterno, e basandosi su un’unica fonte sia delle regole che dei principi: la verifica sperimentale.

In tal modo, a partire dal 1500 (pur con molte difficoltà e molti tentennamenti ed errori) tutti gli scienziati occidentali si sono sottomessi ad un criterio che li ha al tempo stesso resi autonomi dalle imposizioni di tipo premoderno o non occidentale, derivanti in genere da dogmi religiosi (la malattia è anche peccato), da poteri magici, o da prescrizioni del sovrano (la malattia è anche un disagio sociale) ecc.

A decidere la bontà di una tesi e di una ricerca (e anche la sua approvazione a livello sociale e politico) da allora (ovviamente con molte deviazioni che non intaccano il principio) è stato sempre più il criterio di verificabilità (oggi detto di falsificabilità), che ha sottomesso al suo giudizio tanto il novellino quanto lo scienziato famoso, sia la tesi “amica” di una concezione sociale o politica sia quella opposta.

La terapia più efficace

Parlando dell’arte medica, Ferguson individua la ragione del suo successo nella sua indipendenza, cioè nel non dipendere, nel non essere legata ad alcuna finalità esterna, morale, sociale o religiosa (trasformare moralmente l’uomo, rinnovare la società), ma solo allo scopo di tutelare la salute fisica e psichica delle persone.

Il criterio anche qui è quello basato sui risultati concreti di una data terapia, che è tenuta a dimostrare di essere il metodo più efficace, o almeno quello meno dannoso per tutelare la salute del paziente. Quanto al rapporto tra scienza teorica ed arte medica, esso è basato sul principio secondo cui la seconda utilizza i risultati della prima senza esserne vincolata in modo assoluto, ma considerandoli solo come un mezzo per raggiungere il suo fine, la riuscita della terapia.

Due dogmi

Questi principi brevemente descritti, sono stati completamente dimenticati nell’era della lotta al Covid-19.

Il principio sperimentale nella ricerca scientifica è stato liquidato senza nemmeno una motivazione già all’inizio, quando un’organizzazione internazionale come l’OMS (basandosi su un modello culturale non occidentale, quello cinese, il che è significativo) ha prescritto di non provare nemmeno a cercare sperimentalmente una terapia per il virus, ma di attenersi a due dogmi, imposti dell’alto: la vigile attesa e le chiusure, i cui effetti negativi, come si accennato in precedenza, stanno venendo sempre più in luce.

In questo modo la scienza ha rinnegato il principio sperimentale e si è rifugiata nei dogmi, proclamati dalle strutture politiche internazionali e nazionali, appoggiandosi a (veri o presunti) esperti che rifiutando ogni verifica delle loro tesi, non solo hanno denigrato anche i più illustri degli studiosi, se contrari, ma si sono addirittura spinti (ahimè) a richiedere sanzioni penali, come una novella Inquisizione ai danni degli scienziati dissidenti.

L’arte medica non ha subito sorte migliore: essa infatti è stata ridotta ad una pura e semplice esecuzione meccanica dei dogmi scientifici proclamati dall’alto, il che l’ha amputata di una sua parte essenziale, l’utilizzo del buon senso e dell’esperienza che guidano da sempre il medico moderno, trasformato a sua volta, a pena pesanti sanzioni, in una sorta di burocrate sanitario tenuto ad obbedire ai dogmi esterni, che una volta resi scientifici e non verificabili, sono diventati ordini da eseguire senza discutere.

In tal modo l’arte medica ha perduto la sua indipendenza e per molti aspetti (l’uso delle mascherine, i vaccini) è stata trasformata in un mezzo per migliorare, verrebbe da dire per “rieducare” moralmente le persone curando non solo la loro salute ma anche la loro personalità, tanto “distorta” da non approvare i provvedimenti delle autorità pubbliche.

Mentalità pre-moderna

Insomma ad un mondo moderno (e ci siamo qui limitati al campo scientifico e medico, ma il discorso com’è noto si è espanso sino a toccare i valori sociali e giuridici fondamentali) dove la scienza è legata al principio di verificabilità, e la medicina è guidata dal solo scopo della tutela concreta della salute, si è sostituito un mondo postmoderno basato su verità indiscutibili e sulle conseguenti prescrizioni emanate da alcuni esperti insindacabili.

Ad un mondo essenzialmente democratico anche nella scienza e nella medicina, si è sostituito un mondo di élites che si prendono cura delle masse dall’alto della loro “competenza” e con la forza del loro potere.

Viene da pensare: quanto assomiglia il mondo postmoderno a quello premoderno! Già il Vangelo di Luca (22,25) due mila anni fa affermava che “coloro che dominano sulle genti vengono chiamati benefattori”.

Se ci chiediamo a cosa sia dovuto il successo di questa mentalità postmoderna (figlia anch’essa della cultura woke), è forse utile rifarci al pensiero dell’inglese Francis Bacon (1561-1526), il quale pur non avendo inventato il metodo scientifico sperimentale moderno, che si deve a scienziati come Galileo Galilei (1564-1642), Renè Descartes (1596-1650) e Isaac Newton (1642-1727), ha fissato i principii fondamentali dello “spirito” della ricerca scientifica, e nell’indicare le cose da evitare ha parlato di quattro serie di “idoli” dei quali gli scienziati non devono mai cadere preda.

Gli “idoli del teatro”

In particolare oggi, così come molte persone comuni, anche parecchi scienziati (non tutti per fortuna) sono vittime di quelli che Bacon chiama “idoli del teatro”. Con questo termine il pensatore inglese intende tutte quelle teorie che a sostegno della propria validità scientifica fanno riferimento o a ragionamenti filosofici astratti riguardanti la vita umana o a dimostrazioni preconcette, chiaramente non verificate in base al metodo sperimentale.

Questi idoli sono detti “del teatro” perché si pongono come delle specie di racconti fittizi, delle “narrazioni”, adatti ad essere rappresentati in un teatro, ma che corrono il rischio di sostituirsi alla verità, in genere più banale e meno facile da gestire degli spettacoli da palcoscenico: se oggi li chiamassimo idoli “dei talk show” o “dei social networks” penso che non ci allontaneremmo molto dal concetto di Bacon.

L’importanza della Commissione d’inchiesta

La resistenza dei valori moderni, basata sul principio che gli stessi vanno modificati e migliorati ma non rigettati, è stata forte in molti Paesi, e di questo ne sono state esempio anche le inchieste sviluppatesi ormai da tempo in quei Paesi sulla gestione del Covid-19.

In Italia purtroppo la resistenza è stata molto debole e i principi postmoderni (o premoderni?) hanno preso la guida della scienza teorica e dell’arte medica nell’affrontare l’epidemia.

Speriamo che l’attività della Commissione Covid possa contribuire a ripristinare magari implicitamente, ma in maniera decisa i principi occidentali moderni riguardo a questi due punti di forza fondamentali, come direbbe Ferguson, della nostra civiltà.

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