Politica

Covid, perché “pacificazione” non può significare rimozione

Mantenere viva la contro-narrazione e indagare sulle scelte più punitive, una legittima difesa per non piegarsi all’ineluttabile prossima emergenza

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Adesso che l’Oms ha decretato la fine dell’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 si avverte la voglia dei più di voltare pagina, di mettersi alle spalle questi anni tremendi e di mandare in soffitta ogni residua discussione.

Per la verità, lo stesso direttore generale dell’Organizzazione mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha affermato in maniera apocalittica e parafrasando Neil Young che “il virus è qui per rimanere, sta ancora uccidendo e sta mutando”. Insomma, da un lato si allenta la pressione ma dall’altra si brandisce ancora il terribile flagello per prepararsi a nuove varianti e a nuove emergenze.

Sulla stessa lunghezza d’onda, il professore Giuseppe Remuzzi il quale ha ricordato in un’intervista al Corriere della Sera quanto sostenuto da qualche studioso della materia: “Una pandemia finisce davvero solo quando ne comincia un’altra”. Non è finita fin quando non è finita, come dicono gli americani riferendosi alle loro amate competizioni sportive.

Tuttavia, messe così le cose, non sembrano proprio incoraggianti. Si resta intrappolati nel solito labirinto kubrickiano senza possibilità di scampo. Per altro verso, tra quelli che vorrebbero oltrepassare la fase emergenziale e gli ulteriori strascichi, c’è lo scrittore Paolo Giordano il quale, sempre dalle colonne del quotidiano di via Solferino, scrive che il Covid è argomento di discussione solo per negazionisti o complottisti (nel cui novero sono stati spesso e volentieri inclusi i critici, i dubbiosi, gli scettici rispetto alla gestione sanitaria liberticida).

Frizione tra libertà e scienza

Tanto è vero che allo stesso Remuzzi è stato chiesto da Marco Imarisio il motivo dell’opposizione verso i vaccini e quindi verso la scienza. Probabilmente, sfugge a intervistante e intervistato (così come a molti editorialisti che vanno per la maggiore) che l’avversione si è manifestata verso le imposizioni e verso tutte le norme illiberali dell’epoca pandemica, che oggi più di allora appaiono eccessive, sproporzionate, inadeguate, inefficaci, vessatorie, discriminatorie, punitive, nonché dettate da intenti etici più che medici. L’inghippo è stato aver creato un punto di frizione tra libertà e scienza che, nell’accezione burioniana, non sarebbe democratica.

È questo il nodo gordiano che tanti sembrano non voler affrontare o addirittura eludere. Senza neppure considerare il modo in cui è stato utilizzato il principale strumento liberticida, cioè il Green Pass. Dapprima, è stato descritto come il certificato che avrebbe dovuto garantire ambienti protetti dal contagio e poi, di fronte alle proteste, è stato spacciato come mezzo indispensabile per il ritorno alla vita normale.

Così, i diritti fondamentali sono stati subordinati al possesso di un documento sanitario introdotto per decreto. Come dire: volete il Green Pass o il lockdown? Oggi, la solfa giustificazionista è irritante come sempre: eravamo in emergenza e certe misure erano inevitabili. Be’, è troppo comodo cavarsela in maniera così semplicistica mostrando, peraltro, una certa idiosincrasia nei confronti di qualsiasi indagine o approfondimento sui tanti episodi controversi legati al triennio pandemico.

La polarizzazione della società

È troppo riduttivo far riferimento a un mondo “incattivito, diviso o diseguale” come scrive ancora Giordano o alla necessità di una “pacificazione sociale” come richiesta dal governatore Luca Zaia (di cui si ricordano ordinanze assai intransigenti durante la fase di emergenza) sempre sul Corriere.

Non va dimenticato che il clima velenoso, l’intolleranza, la polarizzazione della società, la caccia al capro espiatorio sono stati creati dall’intreccio inestricabile tra la normativa dispotica e la narrazione prevalente che ha appoggiato acriticamente (anzi, spesso assecondato) tutte le misure draconiane, fonte di accese contrapposizioni e di acrimonia nei confronti di chi si è opposto o ha protestato contro il regime sanitario.

Peraltro, questo tipo di impostazione rigida prosegue pure a pandemia finita. Almeno in Italia, chiunque non si allinei ai precetti pandemici viene additato come un terrapiattista, un superstizioso, un cavernicolo, fino ad arrivare al più dispregiativo tra gli epiteti: quello di no-vax che è come il blu e sta bene su tutto.

È sufficiente che qualcuno si macchi di un’azione riprovevole per essere classificato come un nemico della “scienza”, pure se la questione sanitaria non entra minimamente in ballo.

A tal proposito, basterebbe citare uno studio effettuato da alcuni scienziati canadesi secondo cui chi ha rifiutato le dosi anti-Covid avrebbe più possibilità di essere coinvolto in un incidente stradale. Infatti, costoro sarebbero individui allergici alle regole, non avrebbero molta fiducia nelle istituzioni, sarebbero sostenitori delle libertà individuali e sottovaluterebbero i rischi della vita.

Tanto è vero che, sulla base di questi teoremi, si è ipotizzato pure di creare polizze assicurative su misura per vaccinati e non, con aggravio di spese per i renitenti all’iniezione. Insomma, se non si tratta di un delirio, poco ci manca.

Per cui, al di là dell’assurdo riferimento all’attaccamento alle libertà individuali (dovrebbe essere motivo di merito), il no-vax è diventato il paria di questa società moderna fondata su precetti sanitari contrari ai diritti.

Danno alla democrazia liberale

Non ci si accorge che, avallando queste distorsioni ideologiche, si sta provocando un enorme danno alla democrazia liberale, almeno così come l’abbiamo vissuta e conosciuta in Occidente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale a oggi.

Questo processo di trasformazione sta assottigliando le prerogative dei cittadini e convertendo lo Stato di diritto in Stato etico. I margini per arrestare questa deriva sono sempre più stretti, visto che i principali media fanno da grancassa ad altre nuove religioni come, per esempio, l’ambientalismo.

Ecco che, in un contesto così poco rassicurante, la contro-narrazione diventa quasi uno strumento di legittima difesa, un modo per tenere viva la memoria e non piegarsi all’ineluttabile. “Pacificazione” non può significare rimozione, né condanna all’oblio.