“Ci sono sempre i tempi supplementari“, aveva dichiarato sibillino il ministro leghista Giancarlo Giorgetti ancor prima del voto di fiducia di ieri al Senato. E tempi supplementari furono. A fischiarne l’inizio il presidente Mattarella, respingendo le dimissioni di Draghi e rinviando il premier alle Camere “affinché si effettui, nella sede propria, una valutazione della situazione”. In breve, la tanto invocata “verifica”.
Una decisione ineccepibile dal punto di vista della correttezza istituzionale quella di parlamentarizzare la crisi, tanto più che – ed è un aspetto di non poco conto – il governo non è mai stato sfiduciato dalle Camere. Anzi, ieri al Senato la fiducia gli è stata rinnovata da un’ampia maggioranza (172 sì) nonostante il non voto dei 5 Stelle.
Non avendo il Movimento 5 Stelle votato la fiducia, ma nemmeno la sfiducia, e non avendo ritirato la sua delegazione di ministri dal governo, serviva un’apertura formale della crisi, arrivata con le dimissioni del presidente del Consiglio, e una sua parlamentarizzazione.
Un passaggio alle Camere che secondo il quirinalista del Corriere Marzio Breda il premier avrebbe espressamente chiesto al presidente di risparmiargli, a nostro avviso non tanto per il timore di farsi bocciare, quanto per non offrire a Conte e ai 5 Stelle l’occasione di proseguire con la loro sceneggiata.
L’esito più probabile, infatti, è che mercoledì finisca tutto a tarallucci e vino, che quelli votino la fiducia sorridenti, pronti, dal giorno dopo, a ricominciare con i distinguo e gli strappi. E che, capita l’antifona, al giochino si aggreghi anche la Lega. Una fiducia mercoledì non garantirebbe affatto Draghi da mesi di logoramento e capricci elettorali dei partiti.
Cinque giorni per inchiodare Draghi
Insomma, Draghi ha provato ad andarsene, ma accettando di essere rimandato davanti alle Camere per la verifica, di fatto ha concesso ai suoi carcerieri, Mattarella e Pd, altri cinque giorni – i tempi supplementari – che questi useranno per inchiodarlo alla croce che dovrà portare fino a fine legislatura. Sempre secondo Breda, il presidente della Repubblica gli avrebbe detto: “Qualunque cosa succeda, tu da Palazzo Chigi non ti muovi. Ci siamo capiti?”
Dunque, alla fine l’iter della crisi sembra essere stato concertato tra il Quirinale, Palazzo Chigi e il Nazareno. Già in Cdm, infatti, annunciando l’intenzione di rassegnare le dimissioni, dunque ancor prima di vedersele respinte dal presidente Mattarella, Draghi ha anticipato ai suoi ministri che avrebbe riferito mercoledì alle Camere, segno evidente che il percorso dimissioni-respinte-verifica era già stato concordato.
Stessa maggioranza, stesso governo
Attenzione però, perché il tentativo non è quello di cercare un’altra maggioranza, un Draghi-bis.
No, a leggere le dichiarazioni di Letta e di altri esponenti piddini, come i ministri Franceschini e Orlando, si direbbe che il Pd sia abbastanza fiducioso di poter recuperare il Movimento 5 Stelle, il quale fino ad oggi in effetti ha sempre dichiarato che avrebbe votato la fiducia al governo Draghi e che il dissenso era nel merito del decreto aiuti.
“Mercoledì sarà la giornata decisiva, non oggi. In Parlamento, alla luce del sole, tutte le forze politiche dovranno dire agli italiani cosa intendono fare”, ha dichiarato Franceschini al termine del Cdm.
“Ora ci sono cinque giorni per lavorare affinché il Parlamento confermi la fiducia al governo Draghi“, ha cinguettato Enrico Letta su Twitter. “Credo che sia interesse di tutti che il governo prosegua. Un interesse che sta maturando anche con fortissime spinte che provengono da ovunque, anche dalle parti sociali, dal mondo del lavoro, dall’Ue”.
In una nota il Pd fa sapere che il partito è “al lavoro perché mercoledì alle Camere si ricrei la maggioranza e il governo Draghi possa ripartire”.
Anche il ministro Luigi Di Maio si associa: “Lavoriamo affinché mercoledì in aula emerga una solida maggioranza a sostegno di questo governo. È il momento della maturità e del senso di responsabilità”.
Insomma, appare evidente che si sta parlando di questa maggioranza e di questo governo, non di altro, della “conferma” della fiducia al governo Draghi, non di un Draghi-bis senza 5 Stelle, evocato solo da Matteo Renzi.
E in questi cinque giorni, il vasto partito della stabilità, guidato dal Pd, produrrà il massimo sforzo. Le pressioni su Conte e i 5 Stelle saranno enormi e si sono già manifestate ieri: Bruxelles, Confindustria, Vaticano, spread.
Una pantomima
Davanti alla volontà manifestata dal premier di andarsene, e quindi alla prospettiva di determinare la fine anticipata della legislatura, la palla è di nuovo nel campo dei 5 Stelle. Ma siamo ancora al bluff e contro-bluff.
Draghi, infatti, non si trova ancora di fronte ad una uscita dei 5 Stelle dal governo e quindi non sappiamo se terrebbe fede alle sue parole (“non c’è governo senza 5 Stelle”, né un Draghi-bis), né lo sapremo se, come tutto lascia presagire, mercoledì il primo bluff a cadere sarà quello di Conte, quando confermerà la fiducia al governo.
Insomma, siamo alla pantomima. Esistono elevate probabilità che alla fine di questa crisi resti tutto come prima.
Sconcerta ma non sorprende vedere Lega e Forza Italia ancora una volta spettatori paganti di una partita che viene decisa altrove, ma d’altronde è questa una delle conseguenze di aver rieletto Mattarella.
Ora Fratelli d’Italia aspetterà gli ex alleati al varco e se mercoledì si renderanno disponibili a tirare a campare, ciò non potrà che provocare ulteriori lacerazioni in quello che fu il centrodestra.
L’elefante nella stanza
Resta l’elefante nella stanza: le ragioni che erano alla base dell’unità nazionale sono esaurite da tempo (l’emergenza Covid, la campagna vaccinale, il Pnrr).
Ogni giorno da mesi il governo è chiamato a scelte politiche, dalla guerra in Ucraina alla crisi energetica, che esulano dal suo mandato originario. Per questo è già da un pezzo un governo politico. Non è lo strappo di Conte a renderlo tale, semmai quello è un effetto.
Ora si tratta di vedere se Draghi vorrà prenderne atto. Sia che accetti di proseguire alla luce di un voto di fiducia che non lo garantirebbe certo da future tensioni, sia che si renda disponibile ad un bis senza 5 Stelle, dovrà piegarsi alle dinamiche della politica.
E resta l’anomalia tutta italiana. Possibile sia sempre “irresponsabile” aprire una crisi di governo? Possibile che l’Italia sia l’unico Paese a dover affrontare le “emergenze” con un governo di unità nazionale anziché nella normale dialettica politica? Non è irresponsabile forse affrontarle con un governo balneare e non espressione di una chiara volontà popolare?
Problemi ed emergenze di varia natura ci saranno sempre, ma a maggior ragione su come affrontarle abbiamo bisogno di una sana competizione tra opzioni politiche alternative.