La Repubblica parlamentare italiana ha i suoi riti che ben conosciamo e che si trascinano stancamente di legislatura in legislatura. I quali sono ormai noti anche presso le cancellerie straniere, sebbene in qualche capitale europea e occidentale ancora ci si sorprenda delle astruse dinamiche della politica di Roma.
Con il mancato voto di fiducia al decreto aiuti da parte del Movimento 5 Stelle, le successive dimissioni, respinte dal Quirinale, del premier Mario Draghi, e l’apertura di fatto della crisi di governo, siamo, di nuovo e per l’ennesima volta peraltro, intrappolati nelle logiche più deteriori del sistema politico italiano.
Il solito copione
Come è già successo in tante stagioni politiche precedenti, anche oggi si assiste all’avvitamento delle relazioni tra i partiti di maggioranza, in particolare tra uno di questi e il premier, e all’entrata del Paese in una sorta di sospensione.
Viene sprecato del tempo prezioso e buona parte delle forze parlamentari, anziché indicare soluzioni e alternative chiare al caos, occupa le giornate a tessere trame più o meno inconfessabili, magari da dare in pasto all’opinione pubblica soltanto all’ultimo secondo utile.
È già capitato spesso, e pure in queste ore sembra si voglia mantenere il punto su determinate degenerazioni del sistema, divenute ormai prassi e regola. Ovvero, le logiche e gli interessi di palazzo vengono prima degli elettori e del loro sacrosanto diritto di esprimersi.
Di tutto pur di evitare il voto
In una democrazia sana, se il governo in carica perde la fiducia della maggioranza del Parlamento, oppure, come nel caso del premier Draghi e del leader pentastellato Giuseppe Conte, si ritrova davanti alla rottura di un patto di fiducia, non c’è altra via che quella delle elezioni anticipate.
In Italia si cerca invece, spesso e volentieri, di applicare l’accanimento terapeutico a legislature già decotte e magari costituite, a causa di scissioni e diaspore nel frattempo sopraggiunte, da equilibri politici mutati rispetto a quelli usciti dall’ultimo voto popolare.
C’è sempre qualche ostacolo, qualche emergenza che fa apparire le elezioni come un pericoloso salto nel buio, ma ricordiamo, a coloro i quali brigano sempre per bypassare in tutti i modi il giudizio dell’elettorato, che determinate crisi, come appunto il Covid, la guerra in Ucraina e la tenuta dell’economia, non toccano soltanto l’Italia. Eppure, altrove si vota anche durante frangenti particolarmente problematici.
Tutto può ancora cambiare, ma per il momento l’aria che si respira non è certo quella di elezioni anticipate. C’è una spinta fortissima, mediatica e politica, da parte non solo del Partito democratico, di Matteo Renzi e dei vari centristi, ma anche dei “poteri forti”, dei sindaci, delle associazioni più disparate, (solo le bocciofile, forse, non sono state reclutate) verso un bis di Mario Draghi.
Che si giunga poi alla soluzione caldeggiata da Lega e Forza Italia, vale a dire un Draghi-bis senza 5 Stelle, oppure a ciò che auspica Enrico Letta, un bis sostenuto da una nuova diaspora dei 5 Stelle, è difficile prevederlo ora, ma è quasi certo che si prenderanno in considerazione tutte le formule possibili e soprattutto utili ad allontanare il ritorno alle urne.
Il Quirinale punterà a tenere in vita la legislatura anche di fronte ad una eventuale indisponibilità di Draghi. Quanto scritto finora può essere smentito fra qualche giorno, ma è ben difficile che accada.