Politica

Dibattito grillinizzato, anche nel centrodestra riflessi anti-imprese

Ferragosto funestato dalle “comunistate” del ministro Urso: nel mirino anche le categorie che hanno riposto speranza in un governo di centrodestra pro-imprese

Adolfo Urso a La7

E meno male che doveva essere il governo del “non disturbare chi vuole fare”

Ci aveva avvertiti ieri mattina Daniele Capezzone, nella sua imperdibile rassegna stampa, che sarebbe stata una giornata difficilissima, sconfortante, per i lettori pro-mercato e atlantisti dei giornali. E così è stata. Passi pure la sensazione di “avanzi della cena di due sere fa ripassati in padella” (ma secondo noi nemmeno ripassati), in fin dei conti era Ferragosto per tutti.

Dibattito grillinizzato

Ciò che sorprende – o no, dipende dalle aspettative – di questa settimana ferragostana, è la “vittoria culturale dei grillini“, osserva Capezzone, i cui segni sono ovunque nel dibattito politico e, di riflesso, sui giornali, nonostante la flessione di consensi nei sondaggi. Dettano l’agenda: alla sinistra e ai giornali di sinistra – e questo, sebbene non scontato, è almeno comprensibile – ma quel che sconcerta e sconforta, anche alla maggioranza di governo e ai giornali di destra.

Prima con il reddito di cittadinanza, che il governo Meloni, temendo di non mostrare sufficiente attenzione ai “poveri”, non ha avuto il coraggio di cancellare, trasformandolo in una specie di assegno di sussistenza che va a sommarsi ad altri sussidi; ora con il salario minimo, al quale per lo stesso motivo le forze di maggioranza hanno regalato una immotivata centralità mediatica, sebbene sostengano un approccio diverso da quello delle opposizioni al problema dei salari bassi.

Comunistate

Ma parliamoci chiaro, più di tutto il resto, sono state l’extratassa sulle banche, e ancor più la giustificazione iper-statalista fornita dal premier in persona, e le “comunistate” del ministro Adolfo Urso, a determinare il mood del dibattito politico e del governo in queste due settimane. Il rischio, che paventavamo, è di un defining moment statalista del governo Meloni.

Persino su il Giornale, la principale testata di centrodestra, troviamo un’apertura sui rincari, “Iene di Ferragosto”, da Fatto Quotidiano, e un surreale suggerimento a trovare una terza via “tra statalismo sovietico e iper-liberismo americano”. Una terza via socialdemocratica in cui in realtà siamo già totalmente immersi, con gli esiti che vediamo, mentre di “iper-liberismo” non si vede nemmeno l’ombra, nemmeno negli Usa… Forse, se siamo fortunati, lo vedremo in Argentina

E anche la giornata di ieri è stata funestata dalla quotidiana “comunistata” del ministro Urso, che continua la sua crociata contro compagnie aeree e multinazionali, ma non solo. Rialzi “anomali”? Mandiamo la Guardia di Finanza, è la risposta che ci saremmo aspettati da un ministro Pd o grillino.

“Questo governo non accetta ricatti di lobby né di multinazionali: il far west è finito”, tuona il ministro, che dovrebbe però spiegarci dove sia il “far west”, se viviamo in un Paese, e in un Continente, dove tutto è iper-regolamentato fino all’ultima virgola ed extratassato. Il suo stesso governo sembrava il primo ad esserne consapevole, quando fino a ieri si poneva l’obiettivo di semplificare e “non disturbare chi vuole fare”.

A gennaio se la prese con i benzinai per gli aumenti dei prezzi dei carburanti – su cui l’extraprofitto, o meglio l’extrafurto, è quello dello Stato, che incassa più del 50 per cento del prezzo da accise e Iva. Ora lo scaricabarile è più difficile da riproporre, perché implicitamente ammetterebbe che le misure del governo, tra cui l’esposizione del prezzo medio, sono state inefficaci se non controproducenti.

“Non disturbare chi vuole fare”

Come dicevamo, quando si parla in questi termini dei rincari estivi, nel mirino finiscono non solo le compagnie aeree, ma inevitabilmente anche benzinai, ristoratori, albergatori, in generale il turismo e il mondo del commercio, le categorie che avevano riposto qualche speranza in un governo di centrodestra pro-imprese.

Un governo che si era presentato con tutt’altro volto, si sta caratterizzando per una caccia allo speculatore, in alcuni casi mettendo nel mirino persino categorie non certo ostili al centrodestra, che credevamo fosse d’altri tempi e, soprattutto, di altre parti politiche. Riportiamo qui un passaggio del discorso del presidente del Consiglio Giorgia Meloni, durante il dibattito sulla prima fiducia, che ci fece ben sperare.

Perché tutti gli obiettivi di crescita possano essere raggiunti, serve una rivoluzione culturale nel rapporto tra Stato e sistema produttivo, che deve essere paritetico e di reciproca fiducia. Chi oggi ha la forza e la volontà di fare impresa in Italia va sostenuto e agevolato, non vessato e guardato con sospetto. Perché la ricchezza la creano le imprese con i loro lavoratori, non lo Stato tramite editto o decreto. E allora il nostro motto sarà “non disturbare chi vuole fare”.

Ora, giudichi il lettore se quello che abbiamo visto e sentito nelle ultime due settimane è coerente o meno con questo approccio.

Dov’è finito il “non disturbare chi vuole fare”, e il “fisco amico” della delega fiscale da poco approvata, nel momento in cui viene dichiarata guerra alle banche, alle compagnie aeree e alle multinazionali (che dovrebbero invece essere rassicurate ed incoraggiate ad investire in Italia), ma anche ai distributori e ai ristoratori?

Pregiudizio anti-imprese

Il messaggio puramente demagogico che il governo consegna ai cittadini, ai giovani e ai lavoratori, è che la colpa dei rincari è delle imprese cattive (non solo le banche, come temevamo). L’autolesionismo è duplice: economico, perché difficilmente una diagnosi sbagliata conduce ad una cura efficace; e politico, perché come dicevamo molte categorie accusate di rialzare i prezzi sono vicine ai partiti di maggioranza.

Non è speculazione, si chiama inflazione. I prezzi aumentano, lo sappiamo. E sarebbe richiesto ai ministri il possesso di nozioni minime di come funzioni una economia di mercato (non esageriamo, di quasi-mercato): quando la domanda aumenta, i prezzi salgono, specie quando c’è tensione nell’offerta. Inutile, e anzi controproducente, pretendere di contrastare l’inflazione con extratasse, tetti ai prezzi, guardia di finanza e minacce varie, che alimentano un clima cupo sul già poco rassicurante e asfittico panorama economico italiano, in un Paese già pervaso da un pregiudizio anti-imprese.

L’inflazione non è colpa delle imprese, è causata dall’eccesso di moneta, quindi dalle banche centrali, a cui la politica chiede di stampare moneta come se non ci fosse un domani, e da una crisi dell’offerta – e probabilmente oggi vediamo all’opera entrambi i fattori.

Un governo che volesse frenare la corsa dei prezzi dovrebbe innanzitutto non ostacolare la politica monetaria restrittiva delle banche centrali, per esempio evitando nuova spesa pubblica, e agire sul lato dell’offerta, rimuovendo colli di bottiglia, alleggerendo carichi fiscali e burocratici. Ma purtroppo, sia a livello europeo che nazionale, principalmente con le politiche climatiche e il Pnrr, stiamo facendo esattamente l’opposto.

Questo, però, non può essere scaricato sulle imprese che cercano di mantenere i loro margini di profitto. Ce lo aspettiamo dai grillini e dal Pd, non da un governo di centrodestra.

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