L’orrendo assassinio di Giulia Cecchettin ha dato la stura ad una congerie parossistica di considerazioni e, come si suol dire adesso, “dietrologie” che nulla hanno a che vedere coi termini malamente presi a prestito dalla maggioranza dei media e da tutti i politici della sinistra italica per trovare un colpevole, anzi milioni di colpevoli, da aggiungere all’assassino della sventurata Giulia.
Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza, perché, di questo passo, si corre il rischio di ricercare altrove il dolo, in qualche modo emendandolo, ascrivibile ai veri colpevoli dei più deprecabili delitti, anche quando siano rei confessi.
Cosa significa patriarcato
Partiamo dalla definizione di “patriarcato” che ci fornisce l’Enciclopiedia Treccani, la cui autorevolezza spero sia indubbia anche in questi tempi di stordimento generale.
Patriarcato – In antropologia, tipo di sistema sociale in cui vige il “diritto paterno” ossia il controllo esclusivo dell’autorità domestica, pubblica e politica da parte dei maschi più anziani del gruppo. (…) Questa tesi fu ripresa da S. Freud, secondo il quale la società umana ebbe origine dall’orda patriarcale dominata dal padre o dal maschio più anziano.
Francamente, tale efficace e corretta definizione di patriarcato non attaglia per nulla all’ambiente sociale (del quale, si badi bene, sappiamo nulla) nel quale quel delitto venne premeditato e commesso. Proprio niente. Sono cose ben diverse, cari partecipanti alle fiaccolate e cari maldestri fantini del cavallo della strumentalizzazione politica, se non sciacallaggio, dell’omicidio orrendo commesso dall’ex fidanzato della vittima.
Si noti bene: ho scritto “omicidio” e non “femminicidio”, perché, almeno ad oggi, il reato di femminicidio non esiste (sul punto, la nostra legge penale non distingue tra i generi), bensì quello di omicidio volontario aggravato dalle relazioni personali (oltre ad altre aggravanti che non sta a noi configurare né perseguire). Ergastolo.
Ma non allarghiamo il campo delle fattispecie penali applicabili: ci poterebbero lontano dal nocciolo del discorso che stiamo facendo e rimaniamo alla faccenda del “patriarcato” e della “società patriarcale”.
Nel diritto romano
Probabilmente, la prima traccia dettagliata e ben documentata forma di patriarcato è quella che ci deriva dall’istituzione, presente nel diritto romano, del “pater familias”, col quale si delineava, più che una figura in particolare, un intero sistema giuridico che spaziava dall’amministrazione dei beni della famiglia, alla potestà assoluta del pater sui figli, potendone perfino deciderne la morte, oppure venderli e diseredarli a proprio piacimento.
Fermi tutti. Parliamo di oltre 2000 anni fa, quando i sacrifici umani erano non soltanto comuni, ma pure assolutamente leciti e ritenuti doverosi, e quando dare gli schiavi in pasto ai leoni era uno spasso indicibile, per il quale si pagava pure il biglietto. Capita l’antifona?
Prima di abbandonare l’epoca della Repubblica di Roma (poiché, in fase imperiale, l’istituto del pater familias si annacquò sensibilmente) è doveroso ricordare che era possibile, in determinate occasioni, sottrarsi alla potestà paterna assoluta, sia per i maschi che per le femmine, attraverso istituti giuridici allora vigenti come la manumissio (che restituiva la libertà agli schiavi) o l’adrogatio (qualcosa di simile alla nostra di adozione), col quale si poteva passare sotto la potestà di un altro pater familias.
Chiusa, per necessità di spazio, l’istituzione del pater familias, ma non prima di aver ricordato che una delle figure più apprezzate e venerata di quel periodo fu Cornelia, figlia di Scipione l’Africano, la quale, essendo rimasta vedova, rifiutò di passare a nuove nozze, affidando in tal modo l’educazione dei suoi figli (i Gracchi) ad un altro pater, ma provvedendovi lei stessa ed essendo lei stessa il capo della sua famiglia.
Nel Medioevo
Nel Medioevo, altre figure femminili di assoluto rilievo, come Matilde di Canossa, che, pure essendosi più volte ammogliata, continuò ad esercitare il suo potere assoluto, giungendo a fare inginocchiare Re Enrico IV di Franconia di fronte al Pontefice da lei sostenuto, proprio nel suo castello di Canossa.
Non propriamente una mogliettina accondiscendente e sottoposta al maschio. Neppure la tredicenne ed analfabeta Giovanna d’Arco dovette chiedere protezione a un uomo per marciare su Compiegne alla testa di un esercito. Lo fece e basta, pagando con il rogo senza ritrattare i suoi ideali.
Tempi moderni
Parlando della contemporaneità, vogliamo fare un cenno alla Regina Elisabetta II, a Margaret Thatcher, a Golda Meir ed alle altre innumerevoli grandi donne che, semmai, ai propri mariti concessero soltanto l’onore di accompagnarle nelle cerimonie? È necessario ricordarlo perché, se dovessimo dare retta alla sciocchezza del sistema patriarcale che sarebbe vigente oggi, per le donne sarebbe segnato un ruolo di sottomissione, violenza e martirio. No, signori, non è affatto così e lo sapete benissimo. Vi fa solo comodo sostenerlo.
Volete dire “destra”
Dite “patriarcato” ma dovreste avere il coraggio di dirla tutta, seguendo il vostro perverso schema mentale: volevate dire la destra e tutto ciò che ne sia, a vostra detta, l’espressione. Il giochetto cultura di destra uguale uomini violenti e conniventi che non vedono l’ora di sfogare istinti bestiali sulle donne è falso, privo di fondamento e molto pericoloso. Gli assassini, di ambo i sessi, sono sempre esistiti, da Caino in avanti, e, purtroppo, continueranno ad esistere.
Benissimo insegnare ai giovani maschi a rispettare le ragazze e a non farne le vittime della loro gelosia morbosa. Gelosia che, proprio perché morbosa, difficilmente si potrà eradicare o prevenire. Ma “la società” c’entra meno di quanto si dica e non ci si venga a dire che in Italia siamo sottoposti al martellamento costante del predominio maschile. Semmai, da qualche anno almeno, accade esattamente il contrario.
Maschi criminalizzati
“Maschio” è quasi un insulto, vogliamo negarlo? Ciò nondimeno, certi orrendi ed ingiustificati crimini contro le donne non diminuiscono. Ma non è la società, intesa come sistema organizzato di persone civili, ad averne la colpa. Sono i singoli, lasciatemi dire: maschi e femmine, che stanno dando fuori di matto sempre più frequentemente. Bene, anzi benissimo, approntare contromisure di legge per arginare il fenomeno. Più o meno efficaci che siano, l’importante è provarle tutte.
Ma non risolveremo con le immancabili fiaccolate, coi cartelli issati in piazza contenenti slogan triti e ritriti (di cui i violenti e delinquenti se ne fanno un baffo) e non serve a nulla buttarla sulla presunta “società patriarcale” che, non soltanto, in Italia non esiste affatto e che con il concetto di patriarcato, almeno quello che c’insegna l’antropologia, non ha nulla a che vedere.
Non servono altri reati
Liberissimi di ritenere che chiunque sia o venga considerato di destra sia una sorta di mandante morale di certe schifezze; fa parte della democrazia prendersela con gli avversari politici anche dicendo una fesseria, ma, perlomeno, si cerchi di farlo facendo nomi e cognomi di chi, di preciso , avrebbe dato un fattivo e incontrovertibile contributo a spingere la mano armata del criminale del momento, il quale non è vittima di alcun sistema, ma il colpevole di un delitto. Come tale va punito secondo la nostra legge penale, che non è affatto tenera in materia di omicidio e che non richiede di certo la canonizzazione di nuovi reati più specifici.
Questa eterna mania italiana di creare sempre nuove fattispecie di reato, anche laddove il nostro codice penale non ne avesse affatto bisogno, costituisce un altro punto debole ed una possibile fonte di capziose scriminanti. La certezza del diritto potrebbe benissimo basarsi sulle norme esistenti, con le giuste pene che prevedono. Basta applicarle. Ma con questa panzana del patriarcato sarebbe ora di finirla e dedicarsi ad attuare le norme senza troppa ipocrisia.