Droghe leggere, perché legalizzare/2: ascesa e crollo del proibizionismo

Quando e come nacque il proibizionismo della marijuana e in quali Stati è già superato. Anche nel mondo conservatore ci sono voci a favore della legalizzazione

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Nell’articolo precedente abbiamo esaminato e confutato alcuni dei principali luoghi comuni del proibizionismo su marijuana e hashish. È ora tempo di gettare uno sguardo sul proibizionismo in sé, inteso come ideologia.

Il proibizionismo non funziona

La fragilità teorica del proibizionismo è resa evidente dal linguaggio estremamente povero e ipersemplificato utilizzato dai politici. “La droga è droga”, è uno degli slogan che vanno per la maggiore.

È invece necessario chiarire che non esiste “la” droga, come un contenitore del male assoluto in cui mettere tutto ciò che non piace, quasi fosse uno scatolone, ma esistono “le” droghe, ciascuna diversa per effetti e tipologia di consumatori.

Dire “la droga è un male che va combattuto” non è altro che fare ricorso ad uno slogan adatto ad un elettorato semi-analfabeta, e l’elettorato italiano certo merita più rispetto e considerazione. Se si vuole sostenere una battaglia proibizionista, che almeno lo si faccia con motivazioni serie, ammesso ce ne siano.

In concreto cosa propongono i proibizionisti per far funzionare i divieti, visto che si trovano droghe anche nelle carceri, ossia in posti per definizione sottoposti a stretta sorveglianza? In fin dei conti, se il proibizionismo funzionasse non ci sarebbero discussioni sull’antiproibizionismo.

Destra e sinistra

Ed invece, a distanza di decenni, siamo sempre lì e, come sempre, anche in questa legislatura verranno depositate proposte di legge per legalizzare i derivati della canapa che non porteranno a niente. D’altra parte, se la sinistra avesse veramente a cuore il problema, avrebbe legalizzato da tempo, potendo contare sui numeri in Parlamento (si pensi all’accoppiata Pd-5 Stelle della scorsa legislatura).

Se la sinistra gioca con gli slogan senza passare ai fatti, pur di prendere qualche voto in più, alla destra va se non altro riconosciuta la coerenza di opporsi ad ogni idea di legalizzazione, anche se con motivi perlomeno discutibili.

Gli ultrà del tutto vietato (non tutto in realtà, solo quello che non si adatta ai loro personalissimi gusti) insistono dicendo che se il proibizionismo non funziona è perché le leggi non sono abbastanza dure. Basterebbe inasprire le sanzioni per risolvere il problema.

Due casi

Al contrario, bastano invece due semplici esempi per dimostrare l’insostenibilità di questa posizione.

Negli Stati Uniti, nel 1920, vennero proibiti il commercio e la produzione di alcool con un emendamento costituzionale. Nel 1929, l’insuccesso dell’iniziativa spinse le autorità a punire penalmente non solo chi vendeva e produceva alcolici, ma anche chi li consumava. Insomma, nessuna distinzione tra spaccio ed uso personale. Suona familiare, vero?

Come finì è cosa nota e risaputa: fu, gioco di parole intenzionale, un fiasco talmente clamoroso che nel 1933 il proibizionismo venne abrogato e l’alcool ritornò legale.

L’altro esempio è quello di casa nostra. In Italia il regime proibizionista su marijuana e hashish entrò in vigore nel 1954 con la legge n. 1041. Anche in questo caso la legge non faceva differenze tra spaccio e possesso personale, con sanzioni penali persino per i semplici consumatori. [30]

Eppure, nonostante una delle leggi più dure d’Europa, in Italia come altrove il consumo dei prodotti derivati dalla canapa esplose a partire dagli anni ’60. A questo punto come si fa a credere che basti inasprire le pene per scoraggiare il consumo?

La canapa nella storia

Un aspetto poco noto è l’uso che si è fatto storicamente della canapa. Qualcuno forse pensa che marijuana e hashish siano saltati fuori così, all’improvviso, “inventati” da qualche capellone hippie degli anni ’60.

Al contrario, l’uomo ne conosce da millenni gli effetti psicoattivi. Gli antichi greci raccontavano dell’abitudine degli sciti di bruciare canapa sotto tendoni, per inalarne i vapori. [31]

Nell’odierno Xinjiang (teatro della lotta degli uiguri contro il regime comunista cinese) in una sepoltura, assieme a mummie conservate grazie al clima secco del deserto, è stata ritrovata marijuana di 2700 anni fa, usata dal popolo dei tocari. [32]

Nei molti Altai, in Siberia, sono stati trovati i resti di una donna risalenti al V secolo a. C. Nella sepoltura c’erano anche fiori di canapa, utilizzati probabilmente sia per riti sciamanici che a scopo medico, dal momento che la donna ne faceva forse uso per calmare i dolori del tumore al seno da cui era affetta. [33, 34]

Così come tracce di canapa fumata sono state trovate in pipe rinvenute nella proprietà di William Shakespeare, anche se non c’è certezza che il grande scrittore inglese ne abbia fatto uso. [35]

Le origini della proibizione

Visto un uso così antico della canapa, è ovvio chiedersi da dove arrivino le leggi restrittive ancora in vigore in molti stati. Cosa sanno i proibizionisti delle reali motivazioni dietro la proibizione?

La canapa era già stata proibita in altri Paesi (nel 1923 in Canada con motivazioni tutt’ora poco chiare agli storici) ma è quello che avviene negli Stati Uniti che costituisce un punto di svolta.

Per i paradossi che solo le vicende umane possono creare, il proibizionismo mette radici nel Paese che più di tutti si basa sulle libertà personali. Non c’è tutt’ora unanimità in ambito storiografico sui motivi economici dietro le leggi repressive, mentre sembrano chiare le motivazioni razziali e di controllo delle minoranze etniche. [36]

L’origine della proibizione nella versione (messa in dubbio da alcuni) dell’attivista Jack Herer, è un puzzle che, una volta ricomposto, racconta una storia affascinante di giochi di potere, affari e razzismo nell’America degli anni ’30 del secolo scorso. È un giallo avvincente, uno di quei polizieschi dove l’innocente viene incastrato da sbirri corrotti.

Il “giallo” della prima proibizione

Ed è proprio un poliziotto il protagonista della nostra storia. Si chiama Harry J. Anslinger ed è sposato con la nipote di Andrew W. Mellon (al tempo segretario al Tesoro e a capo di una grossa banca, non esistendo ancora alcuna legge sul conflitto di interessi). È Mellon stesso a nominarlo responsabile dell’appena istituito Federal Bureau of Narcotics.

Anslinger è un tipo sveglio e con pochi scrupoli: ci mette un attimo a capire di dover consolidare la sua posizione. Ha fiutato l’aria in anticipo e sa che il proibizionismo sull’alcool, sempre più impopolare, non reggerà ancora a lungo. Servono quindi ragioni valide per mantenere in vita il dipartimento di cui è a capo. Nuove ragioni significa nuove sostanze da proibire.

Se la marijuana è la sostanza sbagliata al momento sbagliato, Anslinger è invece l’uomo giusto al momento giusto e al posto giusto per fare il lavoro sporco. La sua voglia di proibizione infatti combacia alla perfezione con gli interessi di uomini d’affari spregiudicati.

Tra questi c’è William Randolph Hearst (colui che ispirò il personaggio di Charles Foster Kane nel celebre film “Quarto Potere” di Orson Welles), che ha investito una notevole somma di denaro in piantagioni di alberi per ricavarne carta per i suoi giornali, e non può che guardare alla canapa come a una scomoda concorrente in affari, visto che dalle sue fibre si può ricavare per l’appunto carta.

La vedono allo stesso modo i grandi imprenditori del sempre più importante settore petrolchimico (dalla canapa si possono in effetti ricavare materiali alternativi alla plastica).

Cos’hanno in comune un grosso editore di giornali scandalistici e diversi petrolieri? I soldi presi in prestito delle banche, che per riaverli indietro con tanto di interessi devono tifare per il successo dei loro clienti. E chi c’è tra i più grossi banchieri americani? Proprio I’Andrew Mellon citato poco sopra.

Più chiaro il quadro adesso? Tutti questi soggetti hanno i loro buoni motivi per detestare la canapa. È dunque arrivato il momento di ricomporre il puzzle, aggiungendo un tocco di razzismo come cornice per tenerlo assieme.

Abbiamo un poliziotto-burocrate che cerca di rimanere attaccato alla poltrona in tutti modi, con un’antipatia innata verso i jazzisti (avrebbe voluto metterli tutti in galera) e una buona dose di razzismo verso gli ispanici (la marijuana era spesso fumata da immigrati messicani), casualmente imparentato con un grosso banchiere che ha prestato denaro all’industria cartaria e a quella petrolchimica (concorrenti della canapa). Per questa pianta le cose cominciano a mettersi molto male, anche se manca ancora la pistola fumante.

Scatta dunque il piano per incastrarla. Hearst comincia a far uscire sui suoi giornali articoli di cronaca (a volte inventati di sana pianta, a volte alterati in modo conveniente) che vedono la marijuana protagonista di crimini violenti.

Oggi fa certamente sorridere, anzi ridere, ma negli anni ’30 la marijuana viene presentata come l’erba del demonio che trasforma bravi ragazzi in belve assatanate e, orrore orrore, spinge le brave ragazze bianche ad accoppiarsi con i negri. L’opinione pubblica viene terrorizzata da questa erba fumata come fosse una normale sigaretta, che porta ad una esplosione di crimini violenti.

Da manuale il caso di Victor Licata, un giovane che stermina la famiglia a colpi di ascia in Florida. I giornali di Hearst danno grande risalto alla vicenda, sottolineando che il giovane prima del massacro avesse fumato marijuana. Tutto vero, ma manca un dettaglio, sapientemente celato dalla stampa: Victor Licata è schizofrenico. È dunque un soggetto con evidenti problemi, non un giovane adulto equilibrato.

Questa ed altre storie bastano per creare allarme nell’opinione pubblica che chiede a gran voce siano presi provvedimenti. Viene persino prodotto un film propagandistico, nel 1936, Reefer Madness, che diventerà a suo modo leggendario, tanto è ridicolo, inaccurato e grossolano. [37]

A questo punto è solo questione di tempo prima che nel 1937 venga approvata la proibizione a livello federale. Missione compiuta per Anslinger, che dopo la Seconda Guerra Mondiale sarà attivissimo nel promuovere il proibizionismo a livello internazionale. [38, 39]

L’Italia seguirà nel 1954 con la draconiana legge n. 1041. Viene il sospetto che se la canapa fosse stata solo una pianta psicoattiva con nessuna utilità economica, forse non sarebbe stata proibita ma regolamentata come alcool e tabacco.

Se da una parte sono state mosse critiche alla teoria di una cospirazione di natura economica ai danni della canapa e dei suoi prodotti [40], dall’altra appare discutibile l’idea di proibire una pianta che esiste da 38 milioni di anni; sarebbe come dichiarare illegale il Vesuvio perché pericoloso.

La fine dello stigma su chi fuma

Qualcuno pensa ancora che la marijuana sia roba da ragazzini in cerca di trasgressione o per emarginati scappati da casa. La realtà è molto diversa. Sono tanti gli adulti che fumano, e parliamo di persone con lavoro, famiglia ed una normale vita sociale. [41]

Adulti che secondo il neuropsicofarmacologo Gian Luigi Gessa non corrono particolari rischi fumando marijuana. [42]

Negli USA è abbastanza noto l’amore per la marijuana di Ted Turner: si dice che il fondatore della Cnn fumasse pure nel suo ufficio per combattere lo stress. Come lui, tanti altri imprenditori di successo fanno o hanno fatto uso di droghe leggere. [43]

Difficile immaginarli tutti come zombie col cervello in pappa, come i proibizionisti amano descrivere gli amanti della canapa. Anche Elon Musk si è concesso qualche tiro da una canna in diretta durante il celebre podcast condotto da Joe Rogan. [44]

È un fatto che oramai ci sia una piena accettazione sociale nei confronti di coloro che usano droghe leggere. Una politica intelligente dovrebbe saper interpretare quello che avviene nel mondo e fornire risposte e soluzioni; arroccarsi su prese di posizione di principio (specie se in contrasto con l’evidenza) è poco politico e, soprattutto, poco intelligente.

Il crollo del proibizionismo

La crescente normalizzazione del consumo di canapa va di pari passo con l’abbandono dei divieti. Sono sempre di più gli Stati a mettere in dubbio l’attuale regime di proibizione, tutt’ora soggetto a convenzioni internazionali.

Negli Stati Uniti la marijuana è legale a scopo ricreativo in 19 Stati (tra cui diversi governati dai Repubblicani), nel distretto federale di Washington, a Guam e nelle isole Vergini Americane, mentre in molti altri Stati è legale a scopo medico.

In Canada, Uruguay, Malta, Messico, Thailandia, Sudafrica e Georgia la marijuana è già legale, espressamente in base alla legge o indirettamente tramite sentenze delle rispettive corti costituzionali. In Lussemburgo il governo ha presentato nel 2021 una proposta di legge per legalizzare la coltivazione domestica fino a 4 piante. [45]

In Germania la coalizione di sinistra uscita vincitrice dalle ultime elezioni si è già espressa a favore della legalizzazione ed il ministro della giustizia Marco Buschmann è al lavoro sulla proposta di legge, anche se ci sono timori su possibili contrasti con le normative europee. Interessante poi il fatto che qualche parlamentare della CDU, ora all’opposizione, si sia detto favorevole all’iniziativa. [46, 47, 48]

In Svizzera è in corso un esperimento di parziale legalizzazione. In alcune città è possibile acquistare marijuana a scopo ricreativo. L’intento è quello di raccogliere dati, a partire dal controllo della salute dei consumatori, per poi prendere una decisione finale in merito ad una completa legalizzazione. [49]

Cosa faranno i proibizionisti quando agli italiani basterà farsi qualche ora di macchina per fumare legalmente? Pensano davvero sia furbo regalare soldi agli svizzeri o ai tedeschi? Metteranno uomini in divisa alla frontiera che dicano “Mi raccomando, non fumi”, un po’ come i genitori si raccomandano con i figli adolescenti di non fare pazzie quando escono di casa?

Piaccia o meno, il proibizionismo sui prodotti della canapa sta crollando. O si continua con i divieti quando il resto del mondo si adegua, o si legalizza e governa il fenomeno.

I proibizionisti non si rassegnano

Messi alle strette, i proibizionisti attaccano a testa bassa le realtà che hanno legalizzato parlando, spesso senza fondamento, di aumenti degli incidenti stradali, dei crimini, dei ricoveri ospedalieri, ecc. Anche in questo caso ci permettiamo di fare una domanda: se la legalizzazione è veramente il disastro che sostengono, perché mai in Colorado dopo 10 anni nessuno vuole ripristinare un regime di proibizione?

Perché nel corso degli anni altri Stati americani hanno copiato (come detto, sono ora 19) quello che dovrebbe essere un fallimento sotto gli occhi di tutti? [50] Perché anche in altri Paesi del mondo si è legalizzato o si sta procedendo in tal senso?

In attesa di una risposta convincente diamo la parola ai fatti prima di parlare frettolosamente di fiasco. Secondo questa ricerca, in base ai dati disponibili non ci sono evidenze per sostenere un aumento o una diminuzione dei reati e degli incidenti stradali a seguito della legalizzazione della marijuana in diversi Stati Usa. [51]

Nemmeno in Canada sembrano esserci stati particolari cambiamenti in un senso o nell’altro dopo la legalizzazione di quattro anni fa, ad esclusione ovviamente del calo di arresti legato al possesso e commercio di droghe leggere e dell’aumento degli introiti governativi dovuti alla tassazione. [52, 53]

Questa ricerca poi evidenzia sì un aumentato rischio di psicosi, ma solo per alcuni adolescenti (e non per gli adulti), forse per via di una particolare predisposizione genetica. [54]

L’aumento di ricoveri da intossicazione di THC rilevato in alcuni studi è spesso ricondotto all’uso dei cosiddetti edibles, ossia alimenti che contengono marijuana, dal momento che gli effetti di un’assunzione orale risultano più forti e duraturi.

Conservatori per la legalizzazione

Vale la pena concludere che marijuana e hashish pagano il fatto di essere stati resi popolari dalla contestazione del 1968 e di aver trovato terreno fertile soprattutto a sinistra, mentre la destra sembra li voglia mantenere proibiti per una sorta di ripicca ideologica piuttosto che per ragioni scientifiche.

Eppure, la battaglia antiproibizionista non deve necessariamente essere appannaggio della sola sinistra. Anche nel mondo conservatore ci sono voci a favore della legalizzazione: Rand Paul negli Stati Uniti, Nigel Farage nel Regno Unito ed il libertario Javier Milei in Argentina. In Italia lo scomparso Antonio Martino non fece mai mistero del suo antiproibizionismo.

Nei Paesi Bassi la normativa che introdusse la tolleranza (non la piena legalizzazione) della canapa e permise di aprire i coffee-shops fu approvata nel 1976 su iniziativa del ministro della giustizia Dries van Agt, leader di un partito cristiano-democratico.

Ci sono ottime ragioni anche a destra per un approccio antiproibizionista, che porti a rigettare in modo coerente tanto il socialismo economico quanto il socialismo etico.

In una prospettiva liberale i diritti individuali dovrebbero prevalere sempre e comunque, con lo Stato che rimane fuori dal nostro portacenere e la smette di trattare i cittadini come bambini da sculacciare per il loro stesso bene, soprattutto quando si tratta di adulti.

Una prospettiva conservatrice dovrebbe invece mostrarsi pragmatica e realista: marijuana e hashish potranno anche essere un male, ma legalizzarli è il male minore e ci permette di combattere meglio altri e ben più gravi crimini, scindendo una volta per tutte il peccato dal reato e smettendola di perseguire i cosiddetti victimless crimes.

A meno che non si voglia pensare che esista una fantomatica società che sarebbe vittima dei comportamenti individuali.

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