Politica

Due anni senza Antonio Martino, un liberale fuori dal coro

Economista, allievo di Friedman, già ministro degli esteri e della difesa. Rispettato ma non ascoltato a sufficienza, il centrodestra ritrovi la sua lezione

Antonio Martino

Sono trascorsi due anni dalla scomparsa prematura di Antonio Martino. Ho un ricordo molto nitido di quel 5 marzo 2022. Quando appresi la notizia della sua morte, fui pervaso da una profonda tristezza. Non riuscivo a crederci. Se ne andava all’improvviso un uomo straordinario, un intellettuale eterodosso e ostinatamente fuori dal coro, un freedom fighter che ha saputo appassionare intere generazioni al verbo della libertà.

Fatta eccezione per un paio di giornali, nessuna testata rese un omaggio dignitoso all’economista messinese. Basta dare un’occhiata ai pezzi in memoria di Antonio Martino sui principali quotidiani per farsi un’idea: qualche colonnina a margine, frasi di circostanza scritte senza impegno né un filo d’emozione, richiami generici (e piuttosto insignificanti, aggiungo io) al carattere “provocatorio” del suo pensiero. Cosa ci sarebbe di “provocatorio” nelle geniali intuizioni di Martino?

Credo che i benpensanti progressisti abbiano confuso le “provocazioni” con l’integrità, la coerenza e lo spessore di una cultura a dir poco invidiabile. Sì, perché Antonio Martino è stato un gigante nel panorama culturale italiano degli ultimi decenni. Il più esperto conoscitore dell’economia. L’artefice della rivoluzione liberale che ha ispirato la discesa in campo berlusconiana del 1994. Un formidabile archivio vivente di aneddoti, aforismi e citazioni, un avido lettore di Wodehouse, un professore universitario dalla rara sensibilità, un animo arguto e gioviale. E, soprattutto, uno studioso dalle convinzioni granitiche. Come amava ripetere spesso, “si possono accettare i compromessi sui dettagli, mai sui principi”.

Una famiglia liberale

È facile scoprire le radici della filosofia di Antonio Martino. Suo padre Gaetano, esponente di primo piano del Partito liberale italiano, ricoprì l’incarico di ministro degli affari esteri dal settembre 1954 al maggio 1957. Curiosità della sorte, il figlio avrebbe presieduto lo stesso dicastero a distanza di quasi mezzo secolo. Fondamentale fu il contributo di Gaetano Martino nel rilancio dell’integrazione europea a metà degli anni Cinquanta. Il promotore della Conferenza di Messina portò in breve tempo alla ratifica dei Trattati di Roma, sui quali si è costituito il nucleo della Comunità economica europea.

L’architettura comunitaria promossa da Martino (padre) ambiva alla libera circolazione di merci, persone e capitali sul territorio europeo – un disegno lontano anni luce da quello dell’odierna Ue-Levitano nata con il Trattato di Maastricht, che Martino (figlio) non ha esitato a criticare per la deriva ipertrofica e ultrastatalista. In merito all’accusa di “euroscetticismo” mossa dai suoi detrattori, ribatteva così:

Tutti i grandi uomini sono stati liberali. Il dogmatico fa danni, lo scettico non ha mai fatto danni. Pol Pot, Stalin, Hitler, Mao erano tutti dogmatici. Gli scettici non hanno mai fatto male a nessuno. Quando mi dicono che sono euroscettico, sono felice: perché il meglio del pensiero umano viene dagli scettici.

L’incontro con Milton Friedman

Dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza con il massimo dei voti, Antonio Martino si specializzò presso il Dipartimento di Economia della University of Chicago. Qui conobbe colui che sarebbe diventato il suo mentore, il premio Nobel per l’economia Milton Friedman. La loro amicizia è durata per tutta la vita. Possiamo dire che l’incontro tra il padre della teoria monetarista e il giovane liberale siciliano abbia prodotto uno tra i sodalizi più intensi dell’età contemporanea.

Antonio Martino ha avuto il merito di diffondere nel nostro Paese i temi cari agli Chicago boys: il laissez-faire come modello indispensabile per garantire lo sviluppo economico e la crescita, la riduzione della spesa pubblica, la flat tax (contrapposta alla progressività delle imposte), il rifiuto di un welfare state onnipresente e di una burocrazia elefantiaca, la tutela della concorrenza dalla pianificazione dirigista, la salvaguardia del risparmio, il primato della libertà individuale sulla sfera politica.

Nemo propheta in patria

Una parentesi che merita di essere raccontata è la candidatura alla segreteria del Pli durante il Congresso del 1988. Martino era contrario alla formula lib-lab caldeggiata da Renato Altissimo e sognava un partito simile ai libertarians statunitensi. Tenne un intervento (acclamatissimo) contro l’obbligo di indossare il casco, metafora che alludeva alla longa manus dello stato – rigorosamente con la s minuscola, Einaudi docet. Risultato: la mozione Martino ottenne più applausi che voti. Nemo propheta in patria.

Tessera n. 2 di Forza Italia, Martino plasmò l’identità degli azzurri definendone i punti programmatici. Aveva in mente una forza politica all’avanguardia, basata sulla triade liberale-liberista-libertaria. Ma la modestia della classe dirigente e il fuoco amico degli alleati non consentirono al Polo di centrare il bersaglio. Molte idee martiniane (dalla riforma fiscale alla semplificazione amministrativa, dalle privatizzazioni al sistema dei voucher) devono essere ancora messe in pratica.

La sua mancata elezione al Quirinale nel 2015 è stata l’ennesimo errore di un centrodestra che sembra aver tradito (o quantomeno dimenticato) la sua vocazione originaria. Martino è stato sì rispettato, ma non ascoltato a sufficienza dai suoi colleghi di partito. Oggi il governo gode di una maggioranza tale che – se solo volesse – potrebbe dare seguito alla sua lezione.

Semplicemente liberale

Antonio Martino era semplicemente liberale nel modo di porgersi, di riflettere, di agire. Le decisioni intraprese da ministro degli esteri prima e da ministro della difesa poi si legano indissolubilmente alla sua Weltanschauung. Pensiamo all’abrogazione della leva militare obbligatoria. Sono portato a pensare che questo provvedimento abbia come cardine il principio dell’auto-proprietà, la self-ownership che John Locke ha teorizzato nel suo Secondo trattato sul governo.

Le righe che seguono, tratte da “Semplicemente liberale”, racchiudono il significato recondito del liberalismo secondo Antonio Martino:

Essere liberale oggi significa saper essere conservatore, quando si tratta di difendere libertà già acquisite, e radicale, quando si tratta di conquistare spazi di libertà ancora negati. Reazionario per recuperare libertà che sono andate smarrite, rivoluzionario quando la conquista della libertà non lascia spazio ad al altrettante alternative. E progressista sempre, perché senza libertà non c’è progresso.

È questo il testamento spirituale che dobbiamo preservare a tutti i costi. Ci manchi, Antonio.