Dice che il Pnrr sta per fallire. Cioè, che l’Italietta non è capace di farne uso. Ah sì?! Ma è poi un peccato?
Tutto subito e dopo niente
191,5 miliardi da spendere in pochissimi anni. Ad esempio, sarà pure stata una idea simpatica invitare i Comuni a spendere 15,05 miliardi per “la resilienza del territorio”. Ma, se quei Comuni sono stati tenuti a stecchetto da almeno 11 anni … eh beh non si vede come possano improvvisamente spendere l’impossibile a comando. Specie se si tratta di un comando transitorio: “ieri non dovevi spendere, oggi devi spendere un sacco, domani dovrai tornare a non spendere”.
Praticamente, mancano i tecnici ed offrire posti a tempo non funziona. E mancano pure le imprese ma, per lavorare soli tre anni, nessuna si prende il rischio di assumere.
E fa ridere il ministro dell’economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti (già entusiasta del Pnrr), sabato ridottosi a ventilare un ennesimo “provvedimento per migliorare l’organizzazione della struttura della pubblica amministrazione per il Pnrr”.
In generale, la macchina dello Stato italiano è stata educata, sin da Tangentopoli, a non investire: solo un ingenuo poteva immaginare essa potesse, improvvisamente, mettersi a farlo.
Gretinismo trionfante
191,5 miliardi da spendere gretinate. La voce più grossa sono i 59,46 miliardi in “rivoluzione verde e transizione ecologica”. Ad esempio, il “rafforzamento mobilità ciclistica” … che sta all’incremento del Pil come la proverbiale buca nella sabbia di Keynes.
Oppure, “sviluppo infrastrutturale ricarica elettrica” … la quale manifestamente non sta in piedi da sola. Nonché “sviluppo biometano” … senza che nessuno si domandi perché dovremmo incentivare una fonte energetica più cara di quelle delle economie libere dalla Ue e nostre concorrenti. Cioè nuovi costi, strutturali, che strutturalmente ridurranno la futura crescita del Pil.
Ed ancora, “flotte bus e treni verdi” … senza essersi prima assicurati che vengano prodotti, almeno in gran parte, in Italia: così creando una dipendenza da fornitori collocati in Paesi esteri, plausibilmente sul territorio dei nostri cari “alleati” leuropei.
Ed ancora, 15,36 miliardi in “efficienza energetica degli edifici” … come se a Messina facesse il freddo di Helsingør. Ed ancora, altri soldi per la “promozione” di campi off-shore innovativi, come se sul Tirreno soffiasse il vento del Mare del Nord.
Come diavolo abbiano fatto fior di economisti a scambiare tale mangiatoia per un strumento di crescita strutturale, lo sa solo Dio.
Ora e sempre contribuenti netti
191,5 miliardi, dei quali 122,6 sotto forma di prestiti … certamente da rimborsare. I restanti 68,9 sotto forma di “sovvenzioni”: inizialmente detti “a fondo perduto” … in effetti anch’essi da rimborsare con contributi futuri alla Ue. Certo, con un margine positivo di forse 15-20 miliardi … ma basterà usare meno del 90-95 per cento del fondo, per annullare tale margine e ritrovarsi nella consueta condizione di contribuenti netti.
Solo un ingenuo poteva pensare che i Leuropei fossero improvvisamente divenuti disposti a trasferirci più fondi di quanti ne versiamo.
Un Pnrr da buttare
Con tutto ciò, non si vuole sostenere che un programma di investimenti sia cosa mala, anzi: l’Italia ne ha un disperato bisogno. Ma di investimenti scaglionati negli anni … non tutti subito. Essendosi prima dotati delle strutture necessarie … non rincorrendo collaborazioni improvvisate. Pensati a Roma o a Brisighella … non a Bruxelles. Indirizzati in modo da sollecitare la produzione nazionale … non quella tedesca.
Meglio ancora se finanziati da Roma o Brisighella … non attraverso un portage brussellese. Ma, di quest’ultimo aspetto, per ora siamo convinti solo noi che siamo sovranisti. In ogni caso il Pnrr, così com’è, è da buttare. Che stia per fallire, non è affatto un peccato, bensì una benedizione.
Meloni sembra essersene accorta
Di qualcosa deve essersi accorta Giorgia Meloni, se è vero che sta cercando almeno di ridestinare i fondi in funzione della sopravvenuta crisi energetica. Magari a beneficio del nascituro hub italiano del gas.
Ed ancora venerdì ribadiva: “un Pnrr che non abbiamo scritto noi e che va reso compatibile anche con le priorità nuove per la nostra nazione”.
Pure Confindustria sembra essersene accorta
Di qualcosa si è accorto persino il Carlo Bonomi di Confindustria. La cui conversione troviamo riflessa dal Fubini.
In primo luogo, da cambiare sarebbe la destinazione dei fondi: “gli stadi di Firenze e Venezia non hanno niente a che fare con la logica del Recovery … La sperimentazione del trasporto su gomma all’idrogeno non sembra praticabile. I trattori o treni all’idrogeno, non ne parliamo. Anche i campi eolici off-shore nel Mediterraneo sono idee audaci, non progetti realizzabili a costi competitivi”. A beneficio degli investimenti gasieri, sembrerebbe.
In secondo luogo – aggiunge altrove il Fubini – da cambiare sarebbe pure il metodo di erogazione: “più emerge che il Pnrr è ormai una palude, più penso che il modo di non sprecarlo sia usarlo per crediti d’imposta alle imprese che investono in tecnologie e energia verde”. Come si vede, non è solo Meloni a pensare che è tutto sbagliato, tutto da rifare.
Il catalogo degli errori della sinistra
Resta da capire come sia possibile che il presidente Sergio Mattarella, e gli ex premier Gonde e Draghi abbiano accettato una simile sconcezza. Le possibilità sono quattro.
(1) L’inconsapevolezza. La stessa ancor oggi mostrata da Mattarella, per il quale “l’Italia, in questo momento, è protagonista di un importante cambiamento, reso possibile tramite i programmi che l’Ue ha propiziato con il Next Generation EU”.
Concetto ripreso da Elly Schlein: “Il Pnrr [tel quel, così com’è] non è patrimonio di un partito o di una forza politica e non è patrimonio solo del governo”. Spiegato Gentiloni: “la transizione c’è e non si può essere l’ultimo vagone del treno che cerca di trattenere gli altri, perché così non si va da nessuna parte”.
Ed elaborato da De Benedetti che, parlando accanto alla Schlein, ha negato che ridestinare i fondi a beneficio dell’hub europeo del gas possa recare alcun vantaggio al Paese. Per evitare che le risorse vengano dirottate via dagli investimenti gretini, ci si mette pure Landini col suo attacco al nuovo Codice degli appalti.
Se non bastasse, da chissà dove intervengono episodi quali la vandalizzazione della fontana di Piazza di Spagna. Ma è un errore, per tutti i motivi che abbiamo sin qui esposto.
(2) La debolezza finanziaria. Dovuta ai vincoli finanziari legati alla appartenenza alla moneta unica: “meglio un piano di investimenti che fa schifo, che nessun piano di investimenti”, qualcuno può aver pensato.
Ma è un errore: presto ci troveremo contribuenti netti di un piano di investimenti che fa schifo. Cioè, ancora più indebitati ed in cambio di niente.
(3) La strumentalità. Il Pnrr non serve ad investire, bensì a costringerci a fare le riformeh. Infatti, Draghi fa scrivere al fido Giavazzi che: “non è la presunta lentezza il punto di contrasto con la Commissione europea … ma, ad esempio, alcune norme sulla concorrenza come la durata delle concessioni dei porti che è stata estesa fino al punto di renderle di fatto permanenti. Ma qui torniamo ai balneari e al catasto, temi sui quali la maggioranza non sembra voler recedere dalla difesa di rendite indifendibili”.
Coerentemente, lo stesso Mattarella si è spinto a manifestare il desiderio di mettere il Paese “alla stanga” … intendendosi, con tale espressione, un richiamo all’obbedienza del governo e del popolo sovrano che lo ha eletto, equiparati ad una bestia da soma che deve solo obbedire al padrone leuropeo. Ma è un errore, in quanto la bestia è da soma ma non scema. E il padrone nulla può, se essa si rifiuta.
(4) La fede cieca. L’illusione che il Pnrr abbia costituito una svolta istituzionale nella storia dell’Ue: sognano che esso possa essere ripetuto con altri programmi, che magari facciano meno schifo.
Ancor oggi, Gonde blatera “dell’idea di un’Europa solidale”. E Gentiloni ne delira: “si esce avendo politiche di bilancio meno universali e più mirate e usando le risorse europee”. Ma è un errore: grazie a Dio, i tedeschi rifiutano assolutamente il bis.
Una disfida del tutto politica
È per l’insieme di questi motivi che il presidente Mattarella considererebbe il fallimento dell’attuale Pnrr come “un disastro, uno scenario che il Quirinale vuole assolutamente evitare”. Ancora oggi e contro ogni evidenza.
Abbastanza per intuire come la discussione non sia solo burocratica. Bensì anche profondamente politica. Dalla quale può discendere una delle seguenti tre conseguenze:
– o Meloni si arrende e la destra italiana aderisce al Pd;
– oppure, Bruxelles rinuncia al proprio gretinismo. Ed allora vedremo le nuove proposte italiane materializzarsi: gasiere, anzitutto. In tal caso, la crisi definitiva de Leuropa sarà rinviata di un altro giro;
– oppure, Bruxelles rimane gretina e a Roma resterà l’unica alternativa di recuperare forza ed autonomia finanziaria, per poi decidere noi dove e come ci piacerà spendere i nostri soldi. Ciò che si può fare solo imponendo il controllo movimenti capitali, per poi avviarsi serenamente all’uscita da Leuro.
Come si vede, a capire cos’è il Pnrr Meloni ci è arrivata. Non è del tutto escluso che, prima o poi, comprenda anche il resto.