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Ecco cosa spinge davvero a rischiare la vita su un barchino per arrivare in Italia

Non la miseria, né le guerre, né l’impossibilità di utilizzare canali legali. Smontiamo i soliti luoghi comuni sui migranti di un articolo del Corriere

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C’è una differenza chiara e netta tra giornalismo e propaganda: il primo si occupa di verificare l’attendibilità delle fonti e raccontare i fatti, lasciando poi al lettore il compito di farsi una sua opinione, mentre la seconda i fatti li distorce intenzionalmente per portare avanti una precisa agenda politica.

La narrazione del Corriere

Sembra che dalle parti del Corriere della Sera non abbiano ben presente questa differenza, soprattutto leggendo articoli come questo. L’intento è chiaro anche ai più ingenui: una narrazione strappalacrime, un poverinismo esasperato per sostenere un approccio immigrazionista, giustificandolo con le solite balle trite e ritrite: i migranti scappano da guerra e povertà.

Scopo dell’articolo sarebbe quello di spiegare come mai i clandestini preferiscono arrivare sui barconi piuttosto che in modo regolare. L’intenzione, nemmeno troppo velata, è quella di sostenere che alla fine è colpa nostra, come se pretendere di controllare alla frontiera chi ti entra in casa sia un crimine contro l’umanità.

Miseria in Senegal?

Facciamola insieme, allora, l’analisi del testo, un po’ come si faceva una volta alle elementari. Scrive Jacopo Storni, autore dell’articolo:

Ablaye Fall ha lasciato il Senegal perché in Senegal stava male. Miseria dilagante, il futuro incerto, i genitori malati, l’assenza di lavoro.

Miseria dilagante? In Senegal? Basta visionare questa tabella per rendersi conto che in Africa il Senegal è in 24esima posizione per Pil pro-capite, su un totale di 51 Paesi. Insomma, un onorevole posto a metà classifica. Cosa dovrebbero dire i congolesi allora, dal basso della loro 49esima posizione?

Dovrebbero fuggire in massa dalla miseria diretti in Europa. Peccato che di congolesi sui famosi barconi di fatto non ce ne siano. Vale la pena aggiungere che chi lascia il Senegal per l’Europa non è certamente in miseria, altrimenti non avrebbe nemmeno i soldi per un viaggio irregolare. Considerazione ovvia che però non sfiora neppure la mente dell’articolista.

Visti per l’Italia impossibili?

L’articolo continua, raccontando di come il signor Fall abbia preferito spendere 2.000 euro per un viaggio clandestino invece di prendere comodamente l’aereo. In effetti, è sufficiente una semplice ricerca su internet per vedere che un volo Dakar-Roma si aggira intorno ai 400 euro, una cifra insomma tutt’altro che impossibile.

Perché mai? Continua Storni riferendosi ad Ablaye Fall:

Non ha neppure provato a bussare a una delle ambasciate europee per ottenere un visto, magari soltanto turistico. Perché già sapeva – come sanno tutti gli africani aspiranti migranti – che le ambasciate europee, quei visti li negano sommariamente.

Ma è davvero così difficile ottenere un visto turistico per l’Italia? Vediamo cosa dice il Ministero degli esteri:

Un cittadino senegalese che voglia andare in Italia, mettiamo per visitare il cugino che risieda e lavori legalmente nella penisola, deve presentare domanda di visto turistico all’ambasciata a Dakar, includendo tra i vari documenti il modulo di richiesta, una prova di avere fondi a sufficienza per la durata del soggiorno e un’assicurazione sanitaria. Il tutto può essere fatto online.

Cosa ci sarebbe di irragionevole in queste richieste? Quali sarebbero i requisiti impossibili da soddisfare?

L’assicurazione sanitaria

Sempre secondo il Ministero degli esteri, chi fa domanda di visto per un soggiorno di 10 giorni deve dimostrare di avere a disposizione circa 450 euro. Non spenderli, attenzione, ma dimostrare di averli in caso di bisogno.

Per fare un altro esempio, ad un italiano che voglia visitare il Canada come turista è raccomandata caldamente, anche se non imposta, un’assicurazione sanitaria. Giustamente, si direbbe. Visto che i contribuenti canadesi proprio non ne vogliono sapere di pagare l’ospedale ad un italiano di passaggio, in caso di ricovero, o il turista mostra la copertura assicurativa, oppure si prepari a tirare fuori la carta di credito. Quindi, dove sarebbe l’oltraggio al senso di umanità?

Vale la pena spendere qualche parola in più sul discorso assicurazione. Vero è che viene richiesta una polizza che copra fino a 30 mila euro, come confermato anche dal sito della Farnesina. Questo però non significa affatto che si debbano spendere 30 mila euro.

Al contrario, i costi sono assolutamente alla portata di tutti, o quasi. Questo pacchetto parte da 319 euro (ed include vari altri servizi, quindi non si limita alla sola assicurazione), mentre secondo questo sito si parte da un minimo di 36 euro.

Non è gratis, e ci mancherebbe, ma non si tratta di una spesa impossibile per un africano pronto a sborsare anche 2.000 euro e a mettere a rischio la vita su imbarcazioni di fortuna.

Meglio senza documenti

Ovviamente le regole cambiano se l’intenzione non è quella di fare il turista per godere di cibo ed arte o di visitare un familiare, ma quella di lavorare. E cosa ci sarebbe di strano? Se un italiano in visita negli Stati Uniti si innamora perdutamente di New York, non può aspettarsi di sbarcare il lunario facendo il barista a Brooklyn. O meglio, potrebbe pure, ma come clandestino, col rischio di essere imbarcato sul primo volo disponibile per l’Italia.

Cosa spinge allora un senegalese (per rimanere in tema) a tentare la traversata del Mediterraneo? Non l’impossibilità di utilizzare canali legali (lo prova tra l’altro la presenza di una folta comunità senegalese che vive e lavora legalmente in Italia, essendosi avvalsa di mezzi legittimi), ma la semplice considerazione che sia molto più facile rimanere in Europa arrivandoci su un barcone senza documenti che rendano possibile il riconoscimento, piuttosto che in aereo, dove ogni singolo passeggero viene controllato.

I veri profughi

Nell’articolo di Storni non mancano infine né riferimenti ai famigerati centri di detenzione in Libia (così terribili che i migranti che ci passano arrivano poi tutti in Italia con smartphone, segno tangibile della crudeltà dei libici), né a chi fugge dalla guerra, ad ulteriore riprova dell’intento puramente propagandistico del pezzo pubblicato dal Corriere della Sera.

I profughi, quelli veri, che scappano da conflitti, si sistemano provvisoriamente nei Paesi confinanti in attesa di tornare a casa il prima possibile. Basti pensare a questo proposito agli sfollati siriani in Giordania o ai rifugiati ucraini in Polonia.

Negli altri casi, soprattutto quando nei Paesi in questione non ci sono conflitti, si deve necessariamente parlare di migranti economici. Scelta assolutamente legittima, a patto di non voler saltare la fila e di entrare in casa d’altri con tanta buona educazione, con i documenti in regola e soprattutto dopo essere stati invitati.