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Ecco la natura “eversiva” dell’ordinanza del Tribunale di Bologna

Nella formulazione dei quesiti una nozione così larga e generica di stato insicuro, tale da poter escludere da quelli sicuri tutti i paesi terzi di religione musulmana

giudice pro migranti

Senza dubbio alcuno, l’ordinanza del Tribunale di Bologna del 25 ottobre 2024 è assai più rilevante nella querelle fra politica, intesa nella sua duplice veste di potere esecutivo e legislativo, e magistratura, di quanto lo siano le precedenti ordinanze del Tribunale di Roma.

I giudici di Roma

Queste ultime bocciavano i provvedimenti di esclusione dalla protezione internazionale di cittadini provenienti dall’Egitto e dal Bangladesh per non essere quei due paesi “stati sicuri”, se pur considerati tali nell’apposito elenco edito dal Ministero dell’interno, ma qui con la contestuale previsione di possibili eccezioni (territoriali, categoriali ecc.). Ora, proprio per questa contestuale previsione, i due paesi non potevano più ritenersi tali ai sensi della Corte di Giustizia 4 ottobre 2024, che escludeva la definizione di “stati sicuri” per quelli che non fossero in grado di meritarla senza eccezioni.

È stato facile per il governo aggirare questa argomentazione, con l’emanazione di un decreto-legge, che riproponeva l’elenco, comprensivo di Egitto e Bangladesh, ma senza alcuna contestuale previsione di eccezioni, per di più sostituendo la fonte, da norma amministrativa a primaria. Cosa, quest’ultima, che elevava il livello di una eventuale prosecuzione del confronto fra politica magistratura, ma certo non metteva al riparo la norma primaria dalla sotto ordinazione al diritto comunitario.

Il giudice di Bologna

Qui sta la maggiore rilevanza dell’ordinanza del Tribunale di Bologna, che – a prescindere dalla inutile citazione della Germania nazista e dell’Italia fascista come Stati che avrebbero ben potuto essere considerati Stati sicuri, se considerati con riguardo alla stragrande maggioranza della popolazione (ma perché non si cita mai la Russia Stalinista!) – risulta sì appesantita dalla interminabile citazione letterale delle fonti, ma conseguente nella sua argomentazione e univoca nell’interpretazione fornita, con a bersaglio il decreto-legge emanato da ultimo dal governo.

A fronte dell’impugnazione di un provvedimento di esclusione dalla protezione internazionale di un cittadino proveniente dal Bangladesh, in quanto ritenuto stato sicuro, il Tribunale decide per un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, sottoponendole un duplice quesito. Il primo è la proposizione in forma interrogativa della interpretazione proposta dallo stesso Tribunale della normativa comunitaria vigente, in forza della quale avrebbe considerato il Bangladesh uno stato non sicuro, potendosi considerare tale solo quello in cui fossero “integralmente” carenti “persecuzioni dirette in modo sistematico e generalizzato nei confronti degli  appartenenti a specifici gruppi sociali e di rischi di danno grave …, in particolare se in presenza di forme persecutorie o di esposizione a danno grave concernente un gruppo sociale di difficile identificazione – quali ad esempio le persone lgbtiqa+, le minoranze etniche o religiose, le donne esposte a violenza di genere o a tratta ecc. – tali da escludere a detta designazione”.

Il secondo quesito, sempre sotto forma interrogativa, riguarda, alla luce della consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia, l’esistenza di una prevalenza della normativa comunitaria su quelle nazionali “in materia di presupposti della designazione di un terzo come paese di origine sicuro”, sì da far sussistere “sempre l’obbligo per il giudice nazionale di non applicare queste ultime “anche quando trattasi di “disposizioni di rango primario, quali la legge ordinaria”.

Natura eversiva

È del tutto evidente la natura “eversiva” di tale ordinanza rispetto alla posizione giuridica presupposta dal decreto-legge governativo, di una competenza discrezionale nell’individuazione degli stati sicuri, tradotta nella formulazione di elenchi, sulla base delle informazioni ufficiali esistenti, tanto più se formulata attraverso norme primarie.

Tale natura non è di per sé nella formulazione di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea, in presenza di una querelle interpretativa, ma nella formulazione dei quesiti, che danno per scontata che la scelta del Tribunale sia a favore di una nozione estremamente larga e generica di qualificazione di uno stato come insicuro, tale da poter escludere da quelli sicuri tutti i paesi terzi di religione musulmana, che sono poi quelli di maggiore emigrazione.

Ma, soprattutto, a favore di un sindacato pieno sulla applicazione di tale criterio da parte dei giudici nazionali. Il che comporterebbe – come evidenziato dal comportamento del Tribunale a proposito del caso sottopostogli, di un cittadino del Bangladesh, dove tale paese è stato declassato da sicuro ad insicuro, sulla base di informazioni acquisite dal Tribunale stesso – che i giudici non solo potrebbero, ma anzi dovrebbero condurre una istruttoria apposita sulla situazione esistente nel paese di partenza, con conclusioni eventualmente contrastanti con gli elenchi predisposti da normative nazionali.

Confini aperti

È evidente il contrasto di fondo fra, da un lato, la visione “etica” coltivata dalla magistratura, per cui la salvaguardia della persona dello straniero si spinge potenzialmente a negare la qualifica di stato sicuro al paese di provenienza se non caratterizzabile come stato di diritto o addirittura stato democratico sul modello europeo; e dall’altro, la visione “politica” dei governi di gran parte dell’Europa, per cui percorrere la via prescelta dalla magistratura significherebbe aprire le porte all’immigrazione di centinaia di milioni di persone.

Il che vorrebbe dire dare attuazione alla previsione di cui all’art. 10, comma terzo (1), affetta da una sicura ipocrisia, perché i costituenti ben sapevano che fosse fatta valere avrebbe voluto dire dar semaforo verde a tutte le popolazioni dell’Urss e paesi satelliti, dove oggi significherebbe darla a gran parte dell’Africa. Ma al tempo stesso comporterebbe rinunciare in prospettiva a qualsiasi identità europea, qual realizzata nel corso di due mila anni.

(1) Art. 10, comma terzo, Cost. “Lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio  delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.