Politica

Ecco quanto sono assurdi gli impegni del G20 sul clima

Meloni tenta di portare un pizzico di pragmatismo a New Delhi. Conti alla mano, cosa significherebbe per l’Italia “triplicare” l’energia rinnovabile entro il 2030

Meloni Modi Giorgia Meloni incontra il premier indiano Modi al G20 di New Dehli

* Con la collaborazione di Vincent Vega

Il nostro presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha tentato di portare al G20 di New Delhi una ventata di pragmatismo, bisogna dargliene atto, sulle politiche climatiche. L’approccio del nostro governo è ormai chiaro da tempo: abbracciare la narrazione del cambiamento climatico, cercando di smussare, moderare, rallentare la transizione in modo da rendere sostenibile il suo impatto socio-economico.

Teoria e pratica

In teoria, sembrerebbe un approccio ragionevole. In pratica, deve fare i conti con chi ragionevole non è. E i risultati sono, crediamo, sotto gli occhi di tutti. Nell’ultimo anno, a Bruxelles, quasi tutta la legislazione green più radicale è passata – resta solo quella sulla casa – mentre a stento si riescono a rinviare di qualche mese, a casa nostra, misure tremendamente afflittive, e prive di basi scientifiche, come il blocco della circolazione dei diesel Euro 5.

Atlantico Quotidiano ritiene che quello della “riduzione del danno” sia un approccio perdente, del tutto insufficiente a evitare agli italiani i gravissimi danni socio-economici impliciti nella cosiddetta transizione green.

Non c’è crisi

Come sostengono il premio Nobel John Clauser e altri 1.600 scienziati non c’è alcuna “crisi climatica”, il clima è in continuo mutamento, e la CO2 non è un gas nocivo da combattere. Quindi, non c’è motivo di spendere trilioni di dollari e limitare le libertà dei cittadini per una transizione a tappe forzate che, semmai, dovrà affermarsi nelle normali dinamiche di mercato, senza incentivi, obblighi e restrizioni. Per noi il treno va fermato, non rallentato. In una parola: Greenexit.

Invito al pragmatismo

Ma tornando a New Delhi, Meloni ha avvertito i partner del G20 che “la risposta al cambiamento climatico deve riguardare davvero tutti, altrimenti pensare che possa portare risultati apprezzabili è pura utopia”. Ha osservato che “al di là degli impegni per il contenimento del riscaldamento in corso, dobbiamo considerare prioritaria l’adozione di tutte le misure utili alla mitigazione delle conseguenze dei cambiamenti climatici, che impattano soprattutto sui Paesi del sud del mondo”.

E infine – messaggio più importante – ha messo in guardia da “approcci troppo radicali o troppo asimmetrici tra gli Stati, in particolare quelli più industrializzati, nella transizione ecologica ed energetica in cui siamo tutti coinvolti”, perché finirebbero per “non garantire soluzioni efficaci” e per provocare “pericolosi squilibri tra le nazioni e all’interno delle nazioni stesse”. Insomma, un invito alla moderazione e al pragmatismo.

La sparata del G20

Sebbene nella dichiarazione adottata dai leader, non a caso sotto la presidenza indiana, non sia contemplata una data entro cui fare a meno delle fonti fossili, tuttavia non manca la sparata, purtroppo tipica di questi summit: l’impegno a “triplicare” la produzione di energia da fonti rinnovabili entro il 2030.

Il che, come ha osservato il nostro Vincent Vega, sarebbe in linea con l’obiettivo net zero entro il 2050 che si è posta l’Unione europea. Un obiettivo, quello delle emissioni zero, che su Atlantico Quotidiano abbiamo già dimostrato come sia completamente irrealistico, né desiderabile.

Cosa significa triplicare le rinnovabili

E sempre grazie al nostro Vincent Vega siamo in grado di rivelarvi cosa implicherebbe per l’Italia “triplicare” la produzione di energia da fonti rinnovabili entro il 2030.

Oggi, la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili in Italia si aggira intorno ai 100 TWh/anno. Pertanto, per il raggiungimento dell’obiettivo appena siglato, l’Italia si sta impegnando, in buona sostanza, a portare questa produzione a 300 TWh/anno. Poiché gli invasi per la produzione di energia idroelettrica sono pressoché tutti già sfruttati, questo equivale a dover aumentare la produzione di energia elettrica da eolico, fotovoltaico e biomasse di 200 TWh/anno.

Supponendo di mantenere le stesse percentuali odierne (38 per cento da eolico, 52 da fotovoltaico e 10 dalle biomasse), ciò equivale a dover produrre ulteriori 76 TWh/anno da fonte eolica, ulteriori 104 TWh/anno da fonte fotovoltaica ed ulteriori 20 TWh/anno da fonte biomasse. Per far questo, occorrerà procedere nei prossimi 7 anni alla costruzione di nuove centrali eoliche, fotovoltaiche e a biomasse come segue:

(1) 16.044 nuove turbine eoliche da 2 MW di targa, 2.292 nuove turbine l’anno da oggi al 2030;
(2) 820 km2 di nuovi pannelli fotovoltaici, 117 km2 ogni anno da oggi al 2030;
(3) 420 nuove centrali a biomassa da 10 MW nominali, 60 nuove centrali l’anno da oggi al 2030. Per alimentare le quali occorrerebbero poi a regime ulteriori 60 milioni di tonnellate l’anno di cippato di legno, 1 volta e 1/2 la nostra produzione annua attuale.

In termini di materie prime: calcestruzzo 13 mln ton; vetro 6,6 mln ton; acciaio 4,5 mln ton; alluminio 850mila ton; fibra di vetro 410mila ton; silicio 390mila ton; tedlar 356mila ton; rame 81mila ton; zinco 3mila ton.

Questione di narrazione

Ovviamente, nessuno dei partecipanti al G20 si preoccupa di quanto siano realistici questi impegni, gli unici idioti a galoppare per rispettarli siamo noi europei. Ma anche se irrealistici, anche se nessuno ci crede, è chiaro che queste dichiarazioni contribuiscono alla narrazione, alimentano l’allarmismo e le aspettative dei climatisti, forniscono il frame per le decisioni che poi i singoli governi andranno ad adottare.