Ieri, a giornaloni unificati (Corriere, Repubblica, Stampa), il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha risposto alle critiche ricevute per l’introduzione della extratassa sulle banche, incluso il “fuoco amico” dei liberali arrivato, tra gli altri, anche da Nicola Porro e da Atlantico Quotidiano.
Francamente, avremmo preferito una difesa del genere “si avvicina la Legge di Bilancio, abbiamo bisogno di reperire risorse e abbiamo deciso di prendere qualcosa in più dalle banche per tagliare le tasse”. Invece, il presidente Meloni pretende, ahinoi, una difesa di principio dell’extratassa, accusando noi di avere una “concezione distorta del libero mercato“.
Chi parla di socialismo ha una concezione distorta del libero mercato. Non ricordo socialisti che tassano le banche, solo socialisti che danno soldi pubblici alle banche.
Due premesse. Primo, se la stessa extratassa è stata introdotta dal governo socialista spagnolo di Pedro Sànchez, e se la ritroviamo nelle proposte di legge del Pd e di Sinistra italiana, forse parlare di socialismo non è così campato in aria. Secondo, a nostro avviso la premier dovrebbe essere più cauta, perché non glielo auguriamo di certo, ma non dubitiamo che anche il suo governo, come i precedenti, userebbe soldi pubblici per salvare le banche, oltre che extratassarle.
Detto questo, abbiamo provato in questi giorni a spiegare perché, a nostro avviso, l’extratassa rappresenta un serio vulnus e un pericoloso precedente. Tre motivazioni molto concrete, la nostra non è una difesa feticistica del “libero mercato”.
Il concetto di extraprofitto
Il concetto stesso su cui si basa questa imposizione, il concetto di extraprofitto, cioè che una qualsiasi impresa venga colpita ex post perché ad insindacabile giudizio del potere politico il suo profitto è andato troppo “oltre”, oltre non si capisce rispetto a cosa, e senza suoi specifici meriti, per circostanze diciamo “ambientali” particolarmente favorevoli, anch’esse sempre ad insindacabile giudizio del governo, rappresenta una deriva pericolosa.
Un puro e semplice arbitrio, un concetto talmente generico da poter essere esteso con pressoché totale discrezionalità a qualsiasi settore economico. Quindi una intollerabile espansione del potere del governo su cittadini e imprese.
E a dimostrazione di ciò, il concetto di extraprofitto vanta già un precedente, quello del governo Draghi con le compagnie energetiche (causa tra l’altro di contenziosi e di un bel buco di bilancio), mentre da più parti, sia della maggioranza che delle opposizioni, si chiede la sua applicazione nei confronti di altre categorie di imprese.
Se lo Stato si arroga il diritto di stabilire quali siano i profitti “giusti” di un qualunque settore, se un ministro pretende di imporre un tetto ai prezzi, non è improprio parlare di socialismo.
Pur non associandoci alla colpevolizzazione dei balneari, facciamo sommessamente notare che non esiste categoria nei cui confronti si possa parlare di extraprofitti come proprio quella dei balneari, che pagano concessioni irrisorie per semplice distrazione e sciatteria dello Stato.
La retroattività
Secondo motivo, strettamente legato al primo. La retroattività delle tasse uccide la programmazione di investimenti delle imprese e di spesa dei contribuenti, contraddice i principi di certezza del diritto e “fisco amico” proclamati dal governo stesso nella delega fiscale appena approvata, come ha spiegato nel suo articolo Giacomo Canale.
Se passa il principio che l’imposizione fiscale può aumentare retroattivamente, non solo si riconosce allo Stato il dominio assoluto sulle nostre vite – un abominio illiberale, come ha spiegato Rocco Todero – ma si finisce per determinare un sicuro effetto negativo sull’economia, anche se difficilmente e non immediatamente quantificabile, in termini di una minore propensione al consumo e all’assunzione di rischi di impresa e minore affidabilità generale del “sistema Italia”. Ne è valsa la pena, a fronte di un introito finanziariamente modesto?
Impatto su famiglie e imprese
Il terzo motivo è invece di tipo strettamente economico. L’extratassa non va a colpire gli utili, ma il margine di interesse. Che è sì uno degli attivi nei bilanci delle banche, ma può benissimo darsi che per altre circostanze la banca non sia in attivo nonostante un margine di interesse positivo. Quindi si vanno a colpire retroattivamente persino istituti che potrebbero aver chiuso in perdita.
In ogni caso, sforbiciare i profitti bancari con una imposta non prevista e persino retroattiva, andrà comunque a impattare negativamente su famiglie e imprese, perché spingerà le banche a erogare meno prestiti e/o ad aumentare interessi e commissioni scaricando a valle sui clienti il costo dell’extratassa. A volte la “giustizia” è solo di facciata.
Inoltre, se il rialzo dei tassi della Bce ha favorito le banche nel margine di interesse, le ha però sfavorite perché ha sensibilmente ridotto il valore dei titoli di Stato – e sono molti – che hanno in pancia. Fare gettito sul margine di interesse quando esso, come in questa fase, si allarga, porta con sé un’altra implicazione: cosa fare quando quel margine si restringe, sussidiare le banche? Dunque, si vanno a requisire profitti che potrebbero rivelarsi utili un domani, in presenza di circostanze meno favorevoli, per mantenere la capacità di credito.
Se è certamente ragionevole aspettarsi dalle banche, a fronte del rialzo dei tassi, anche un aumento della remunerazione dei depositi, come più volte invocato dalla stessa presidente della Bce Christine Lagarde, si è scelto uno strumento profondamente sbagliato per motivi di fatto e di diritto, non ideologici, che crediamo di aver esposto esaurientemente. Sarebbe stato preferibile, se proprio necessario, alzare una tantum l’aliquota Ires delle banche.
Consenso effimero
Infine, un appunto invece politico. Le banche non stanno simpatiche a quasi nessuno, nemmeno a noi, e l’extratassa riscuote certamente un consenso trasversale nell’elettorato. Ma rischia di rivelarsi un consenso effimero. Arriverà un momento in cui gli elettori si faranno due conti e concluderanno che le loro personali prospettive economiche non sono migliorate. E non saranno migliorate anche a causa di questa e altre misure anti-mercato, come tetti ai prezzi, solo apparentemente popolari, che il governo sta introducendo.
Colpire le banche, o le compagnie aeree, o quelle energetiche (e domani, chissà, i bar che aumentano i prezzi…) può suscitare applausi, ma si consolida una economia di comando e controllo che è nemica della crescita e dell’autonomia dei cittadini, ed è esattamente lo strumento su cui puntano le élites progressiste per attuare i loro programmi di trasformazione delle società occidentali, con il pretesto di una crisi sanitaria o climatica.