Politica

Finalmente una vera riforma della giustizia: ecco punti di forza e insidie

Una riforma ambiziosa che il centrodestra insegue da decenni. Analisi punto per punto: la separazione delle carriere, i due Csm, l’azione disciplinare

Nordio riforma © MarianVejcik tramite Canva.com

Come è noto, nell’ultimo Consiglio dei ministri, lo scorso 29 maggio, è stato approvato il disegno di legge costituzionale per l’introduzione di norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare. Si tratta della c.d. riforma della giustizia, promessa dal centrodestra nel programma delle ultime elezioni politiche, i cui principali capisaldi sono:

  • La separazione delle carriere;
  • La riforma del CSM per ridurre l’incidenza delle correnti della magistratura associata;
  • L’istituzione di una Alta Corte che diverrebbe titolare della giurisdizione disciplinare nei confronti dei magistrati.

Come era facilmente prevedibile, la comunicazione dell’avvio del complesso procedimento di riforma ha determinato numerose e intense reazioni, amplificate dal momento elettorale.

È, difatti, evidente che alcune reazioni trionfalistiche delle forze che maggiormente sostengono le ragioni della riforma sono volte anche a tesaurizzare in chiave elettorale questo passaggio. Ed è anche evidente che una delle principali critiche da parte degli oppositori sia quella di ritenere il passaggio in Consiglio dei ministri sostanzialmente un mero spot elettorale.

Una comunità politica

A parte le fisiologiche turbolenze elettorali, è indubbio che la riforma rappresenti la concretizzazione di aspirazioni e propositi che il centrodestra persegue da decenni. Inoltre, essa completa il puzzle delle riforme istituzionali del governo che si basa su tre principali direttrici, ciascuna delle quali riconducibile ad un preciso attore politico: il premierato in quota Fratelli d’Italia; l’autonomia differenziata in quota Lega; la riforma della giustizia in quota Forza Italia.

E sembra altresì indubbio che ciò indichi indirettamente lo stato di buona salute della maggioranza dopo circa un anno e mezzo di governo. Difatti, a ridosso del voto, sono stati adottati/approvati atti utili alla campagna elettorale di ciascuna forza ancorché il sistema proporzionale delle europee comporti anche una competizione interna alla coalizione che in questo caso è anche fortemente sentita: FdI ha bisogno di confermare sostanzialmente il consenso delle ultime politiche; Lega e Forza Italia si contendono il rango di seconda forza della coalizione con prevedibili effetti nella prossima tornata di nomine pubbliche.

Ciononostante la coalizione tiene e ciascun alleato lealmente sostiene le campagne degli altri, dimostrando che la coalizione di centrodestra non è una mera formula elettorale ma una comunità politica che ha saputo federare realtà distinte e resistere ai mutamenti di rapporti di forza nel frattempo intervenuti.

Riforma radicale

La riforma è assai ambiziosa e questo sembra essere, al contempo, la sua forza e, forse, il suo limite. In altri termini, il progetto ha l’obiettivo di riformare radicalmente l’ordine giudiziario mediante la separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti, i quali costituirebbero due distinti corpi burocratici ai quali accedere con distinti e autonomi concorsi. Conseguentemente ci sarebbero due diversi CSM, uno per ciascun corpo di magistrati.

Ad eccezione dei membri di diritto (presidente della Repubblica, primo presidente di Cassazione e procuratore generale), i componenti sarebbero sorteggiati allo scopo di ridurre l’incidenza delle correnti negli organi di autogoverno. Infine, sarebbe istituita una Alta Corte per esercitare la giurisdizione disciplinare.

Chiunque può intuire la portata strutturalmente innovativa della riforma rispetto allo status quo. Non può certo muoversi quindi la critica di essere una riforma di facciata che nulla muta. Anzi.

Separazione delle carriere

Il punto di maggiore rottura è quello della separazione netta delle due carriere, già a partire dal momento concorsuale. Lo schema concettuale alla base della proposta è nitido e apprezzabile, cioè realizzare la più radicale separazione delle carriere possibile. In definitiva coloro che vorranno divenire pubblici ministeri o giudici si troverebbero nella stessa posizione di coloro che vogliono arruolarsi come ufficiali nell’Esercito o in Marina: saranno entrambi magistrati ma ciascuno appartenente ad un ordine distinto e con specifiche carriere.

La separazione delle carriere vuole avere una sua proiezione funzionale, poiché realizza al massimo grado l’impianto accusatorio del processo penale, come d’altronde l’esperienza statunitense insegna da qualche secolo, ponendo l’accusa in una posizione di parità con la difesa, anche dal punto di vista della appartenenza organica ad un distinto corpo di funzionari rispetto al giudice.

Forti resistenze

Se da un punto di vista teorico, la radicale separazione delle carriere proposta sembra quella più lineare e conseguente, non si può ignorare che sul piano pratico presenterà numerose incognite, perché rappresenterebbe davvero un cambiamento epocale per la nostra storia istituzionale. Ed è inevitabile prevedere innanzitutto forti resistenze al cambiamento, talvolta anche con buoni argomenti, come, ad esempio, la difesa dell’attuale forma di concorso per l’accesso alla magistratura che ha rappresentato una valida forma di selezione della classe dirigente pubblica, atteso che spesso i vertici ministeriali hanno attinto dalle magistrature i loro componenti negli incarichi più importanti.

Inoltre, se si avrà la forza politica di realizzare la riforma (e ciò in ultima analisi dipenderà dal grado di consenso che le forze di maggioranza riusciranno a mantenere nel corso della legislatura) sarà necessario prevedere una disciplina transitoria articolata e complessa che spesso in passato è stato il tallone di Achille di molte altre riforme.

I due Csm

La previsione dei due CSM è coerente con la totale separazione delle carriere e il mantenimento dei caratteri costituzionali di indipendenza e autonomia di cui deve godere ogni magistratura. D’altronde, già oggi ogni magistratura (ordinaria, amministrativa, contabile, militare e tributaria) ha il suo organo di autogoverno. Pertanto, la proposta sarebbe la traduzione istituzionale della articolazione della magistratura ordinaria in magistratura inquirente e magistratura giudicante: due magistrature distinte con due organi di autogoverno differenti, come, ripetiamo, avviene già oggi. La novità sarebbe nella separazione delle due carriere che oggi compongono la magistratura ordinaria.

La questione del sorteggio dei componenti è forse l’elemento della riforma che appare più debole anche in ragioni dei motivi che la supportano. Infatti, si vogliono sorteggiare i componenti affinché le correnti della magistratura associata abbiano meno peso, soprattutto (ma non solo) in materia di conferimento di incarichi direttivi e semi direttivi.

La finalità è meritoria, ma se, ad esempio, oggi il 94 per cento dei magistrati è iscritto all’Anm (e quindi fa parte di una corrente), è probabile che la maggior parte dei componenti estratti a sorte sia un magistrato associato ed è quindi possibile che certe dinamiche si ripresentino.

Inoltre, il sorteggio potrebbe non evitare le dinamiche correntizie con il rischio di far venire meno la loro rappresentatività della magistratura associativa, a meno di non prevedere un sorteggio ponderato sulla base della rappresentanza delle correnti. Si potrà obiettare che se si introduce il sorteggio vi potrebbe essere un calo degli iscritti nella magistratura associata, ma ne dubitiamo fortemente perché sarebbe riduttivo ritenere che il successo della magistratura associata dipenda esclusivamente dalla loro capacità di supportare le istanze dei singoli magistrati negli organi di autogoverno.

La Corte disciplinare

Infine vi è la questione dell’Alta Corte per la giurisdizione disciplinare. A prima vista questa innovazione vuole porre rimedio alla percepita inefficacia dell’esercizio dell’azione disciplinare che tante volte sembra condizionata da una innata tutela corporativa. È possibile che la proposta aiuti in tal senso perché spesso le modifiche organizzative consentono una più efficace tutela, anche se non ci convince del tutto l’idea della necessità di un apposito giudice disciplinare, peraltro con una composizione molto articolata e complessa che rievoca la formazione di un organo di autogoverno.

Si ritiene che la separazione delle carriere con la conseguente riorganizzazione dei due CSM possa essere sufficiente a riformare radicalmente l’ordine giudiziario, senza bisogno di aggiungere altra carne al fuoco. D’altronde, si sa: il meglio è nemico del bene.