Politica

I giudici riscrivono in senso “no border” un diritto d’asilo concepito per i Sacharov

L’esito della sentenza è talmente assurdo da eliminare la distinzione tra immigrati regolari e non, sconfinando così nella riscrittura politica della legge

Manifestazione Catania Salvini Iolanda Apostolico?

I recenti provvedimenti del Tribunale di Catania che non hanno convalidato il trattenimento in vista di un successivo rimpatrio di alcuni immigrati irregolari suscitano più di una perplessità e sembrano essere per tanti aspetti uno dei numerosi segnali che anche il diritto si sta pian piano accodando (anche se per fortuna il discorso non va generalizzato) alla cultura politicamente corretta, cosa più vera da noi che in altri Paesi (soprattutto in quelli anglosassoni, dove il diritto mantiene una sua struttura costante, fatta dei principi derivanti dalla tradizione giudiziaria).

L’incertezza applicativa delle norme, che da sempre caratterizza il sistema italiano (una eredità della Controriforma, la cui mentalità ancora domina per molti versi la nostra cultura civile e giuridica) si presta molto bene ad essere fatta propria dalla nuova mentalità politicamente corretta, la quale si basa com’è noto sulla destrutturazione di tutti i concetti e di tutte le regole ritenuti “repressivi”, in particolare se riferiti ai gruppi da favorire quali sono gli immigrati, non importa se regolari o clandestini (dato che le regole vanno decostruite).

Sentenze discutibili

Detto con tutto il rispetto, i provvedimenti del Tribunale etneo sono estremamente discutibili dal punto di vista giuridico: le loro motivazioni sembrano un poco stiracchiate e ampiamente contraddittorie e le decisioni non riescono nella operazione (invero difficile visto che la normativa italiana rispecchia quella dell’Unione europea con pochi cambiamenti) di dimostrare l’illegittimità delle norme sulle quali il provvedimento di trattenimento era basato.

Risparmio al lettore una analisi troppo tecnica: basti dire che nel testo dei provvedimenti le norme (italiane ed europee) vengono divise in sostanza in due blocchi che determinano due ragionamenti separati, che però portano entrambi all’unica conclusione della illegittimità delle decisioni delle autorità amministrative.

Nel primo blocco le particolari norme italiane sul trattenimento forzoso degli immigrati irregolari provenienti da Paesi considerati “sicuri” (quale la Tunisia) sono contrapposte a quelle generali dell’Unione europea che si riferiscono a casi diversi e quindi sono giudicate illegittime perché in contrasto con queste ultime, le quali sono ritenute di rango superiore; nel secondo le norme particolari europee riferibili al caso specifico sono considerate a loro volta illegittime in quanto in contrasto con quelle generali italiane, che di rango superiore non sono, e si riferiscono peraltro a loro volta a casi diversi.

Ma fin qui siamo solo di fronte ad un ragionamento (a parere del sottoscritto) sbagliato, ad una motivazione contraddittoria del provvedimento e in sostanza ad un errore nel caso specifico che si spera non diventerà regola. Argomenti diversi per contestare giuridicamente gli atti dell’amministrazione sarebbero stati certamente più meritevoli di essere presi in considerazione (anche forse non condivisibili): dalla possibile incostituzionalità dei trattenimenti, al mancato rispetto di alcune regole di procedura ecc.

La deriva del diritto di asilo

Vorrei però soffermarmi su un punto dei provvedimenti particolarmente importante perché è sintomo di una evoluzione in negativo, di una deriva che riguarda il modo di concepire i diritti individuali, in questo caso il diritto di asilo dei soggetti provenienti da Paesi che non rispetterebbero i diritti umani, anche se considerati “sicuri”.

Si tratta del punto in cui si richiama l’articolo della nostra Costituzione (art.10 c.3) che prevede il diritto di asilo per lo straniero a cui “sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche”, una norma stabilita in origine per consentire di accogliere in Italia le vittime della repressione da parte degli stati governati da regimi autoritari, allora ancora presenti in buona parte dell’Europa oltre la “cortina di ferro”, ma in qualche caso anche all’interno del mondo occidentale.

Questo articolo, come è fisiologico che accada è stato applicato in modo diverso nel corso dei decenni; il suo significato è stato progressivamente ampliato ed esteso a tutta una serie di casi considerati analoghi a quelli dove la negazione delle libertà era provocata in maniera diretta dall’azione statale, ad esempio quando tale negazione era il frutto di situazioni sociali o rivalità politiche e religiose fomentate dal potere pubblico o che quest’ultimo non riusciva ad impedire.

Nelle decisioni in esame però si va oltre, nel senso che si riconosce l’ammissibilità di richiedere la protezione internazionale e cioè di richiedere asilo ad esempio, come accaduto nel casi in esame, per chi si sente perseguitato dai cercatori d’oro, o dai suoceri.

Il diritto non è matematica ed è soggetto all’interpretazione, spesso mutevole e sempre in parte opinabile di chi decide, ma nemmeno il diritto è infinitamente elastico e può essere piegato a tutte le interpretazioni possibili, perché oltre un certo limite perde la sua funzione e si trasforma “oggettivamente” in politica, cioè nella materia che siamo trattando, perde la sua funzione di tutela dei diritti dei singoli a ricevere asilo in Italia e diventa di fatto una disciplina generale dell’immigrazione che è compito della politica emanare ed eventualmente modificare.

Che in questo senso la decisione del Tribunale sia andata oltre questo limite deriva, a parere di chi scrive, da una semplice constatazione di buon senso, al quale anche una disciplina tecnica come quella giuridica è inevitabilmente soggetta: in effetti è molto difficile vedere in chi fugge dai cercatori d’oro un novello Solženicyn o un novello Sacharov. Molti hanno fatto notare ironicamente la situazione, ma forse è il caso di andare oltre le battute, perché le decisioni in esame sono specchio di un fenomeno più ampio che riguarda il modo di concepire il diritto di asilo e più in generale i diritti individuali.

Diritti cattivi contro buoni

La virtù e la giustizia (naturalmente per quanto si può parlare di giustizia in questo mondo imperfetto) stanno sempre nel mezzo e mai come in quest’epoca chi definisce il contenuto e l’ampiezza dei diritti individuali dovrebbe tenere presente questo detto di saggezza. Esistono due modi di negare i diritti individuali: il primo consiste nel restringerli troppo e quindi nel riconoscerli a condizioni quasi impossibili.

Il secondo (di cui troppo spesso non si tiene conto) consiste invece nell’espanderli a dismisura, privandoli di fatto di un loro contenuto autonomo e lasciando in sostanza il loro riconoscimento alla discrezionalità di chi decide. Questa situazione va forse chiarita meglio, perché come ho accennato è da essa che deriva il pericolo di una tutela insufficiente dei diritti individuali, ma anche quello di una confusione tra diritto e politica.

Ogni contadino conosce il detto secondo cui “l’erba cattiva scaccia quella buona” dato che le graminacee infestanti possono soffocare le piante coltivate. Un economista inglese del XVI secolo, Thomas Gresham (1519-1579) applicò il detto alla moneta affermando che le monete cattive (quelle danneggiate, con un basso valore intrinseco) scacciano quelle buone (quelle perfette), e la sua legge in seguito fu applicata al prevalere della carta moneta sul conio metallico.

Il discorso può però tranquillamente applicarsi anche ai diritti. Ma in che senso i diritti “cattivi”, cioè di poco valore intrinseco scacciano quelli “buoni”? Nel senso che un richiedente asilo (ai sensi dell’art.10 c.3 Cost.), se prevalesse ovviamente l’indirizzo dei provvedimenti del Tribunale di Catania, avrebbe certamente più convenienza ad affermare di essere perseguitato per i motivi più fantasiosi, senza peraltro la necessità di dovere dimostrare i fatti (cosa non richiesta dal Tribunale), piuttosto che a provare di essere ad esempio un perseguitato per motivi politici o per motivi religiosi, cosa più difficile da dimostrare e sempre soggetta valutazioni discutibili, dato che i regimi totalitari sono spesso molto abili a travestire da reati comuni le azioni dei dissidenti politici o religiosi.

Discrezionalità infinita

Il rischio è come detto che una impostazione di questo genere, anziché ancorarsi ad una base solida, magari difficile da definire e soggetta (come è inevitabile che sia) a qualche cambiamento, ma saldamente legata ad un contenuto centrale del diritto di asilo che tuteli chi è veramente perseguitato dal potere pubblico di un dato Paese, finisca per dar vita ad una sorta di ”nebulosa” giuridica totalmente fuori controllo dove i singoli Tribunali chiamati a decidere avrebbero una discrezionalità quasi infinita nel riconoscere o meno i motivi che danno adito al  citato diritto.

Con tutto il rispetto per chi ha deciso e per la parte in causa, la persecuzione da parte dei cercatori d’oro come motivo per la richiesta di asilo (o di protezione) raggiunge un limite di indeterminatezza al di qua del quale ci può stare quasi tutto e il suo contrario.

Un Paese veramente libero non può che basarsi sul governo delle leggi – per carità, pur sempre applicate dagli uomini e pur sempre in maniera elastica, ma in base a criteri bene definiti – e non sulla discrezionalità dei singoli, altrimenti si corre il rischio, per usare un’espressione cara ad uno dei più grandi giuristi americani, il giudice della Corte suprema Antonin Scalia (1936-2016), di cadere nella “dittatura dei togati”, sostituendo la discrezionalità giudiziaria alle scelte del legislatore.

Sentenza “no border”

Con questo siamo al secondo punto: le conseguenze politiche di una impostazione eccessivamente “allargata” della tutela dei diritti individuali, nel nostro caso del diritto di asilo. Si è discusso molto sui mass media sul carattere politico dei provvedimenti del Tribunale di Catania e sulla figura della giudice che le ha emanate, Iolanda Apostolico.

Detto che l’atteggiamento di quest’ultima è stato estremamente criticabile, vorrei però soffermarmi su un aspetto più “di fondo” che rende “oggettivamente” i provvedimenti in esame delle decisioni di portata politica, quasi che l’andare “fuori controllo” della tutela dei diritti individuali fosse anche il segno di un’attività giudiziaria che eccede i propri limiti.

La prova più evidente di tutto questo è, a mio parere, in una semplice riflessione anche in questo caso di buon senso: se la tutela del diritto di asilo fosse tanto estesa, chi ne potrebbe essere escluso? La decisione, se generalizzata, cioè se adottata da tutti i Tribunali, finirebbe in sostanza per abrogare la legge, che non verrebbe più applicata, stravolgendo tutta la politica dell’immigrazione, italiana ed europea.

Non avrebbe più senso distinguere tra immigrati regolari e immigrati irregolari, ma le frontiere (almeno quelle italiane) diventerebbero di fatto totalmente “aperte” e il problema immigrazione sarebbe definitivamente definito nel senso della abrogazione del potere di polizia di frontiera delle autorità competenti: un effetto che andrebbe ben oltre l’ambito giuridico e che chiaramente sconfinerebbe nella politica.

Esiti assurdi

Il compito del potere giudiziario a tutela dei diritti individuali è insostituibile in uno stato moderno, anche nei sistemi come il nostro nel quale il singolo giudice non ha il potere di disapplicare la legge ritenuta incostituzionale, ma solo di rimettere la decisione alla Corte costituzionale, mentre può disapplicare la legge ritenuta in contrasto con la normativa dell’Unione europea.

Quando però l’eventuale disapplicazione porterebbe a conseguenze sostanzialmente assurde, è buona norma che il Tribunale chiamato a decidere adotti quello che i giudici americani (che hanno sempre il potere di disapplicare le norme incostituzionali) chiamano “self-restraint”, tutelando sì i diritti individuali (compreso quello di asilo) ma nel loro giusto contenuto, e mantenendo in tal modo il giusto rapporto tra diritto e politica, cosa indispensabile per un corretto funzionamento dello stato.