I mille volti del populista radical chic: Calenda prepara l’ennesima giravolta

Come le scale di Hogwarts, ma le sue inclinazioni naturali alla fine escono fuori. La separazione da Renzi, il gruppo al Senato e la scialuppa di salvataggio del Pd

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Uno, nessuno, centomila. Ama definirsi liberale, ma sposa la linea Schlein-Conte sul salario minimo, l’esatto contrario di ciò che un liberale vero si sognerebbe in tema di politica economica; si dice garantista ma pretende le dimissioni del ministro Daniela Santanchè a seguito di un’inchiesta giornalistica; si dice “né di destra né di sinistra”, ma si allea sistematicamente con il Pd alle varie elezioni amministrative e regionali.

Chi è Carlo Calenda

Ma chi è davvero Carlo Calenda? Doveste chiederglielo, forse nemmeno lui saprebbe rispondervi. Nel 2013 si candida con Scelta Civica, la lista dell’allora premier Mario Monti, senza essere eletto. Nel 2018 aderisce al Pd di Matteo Renzi, e nel 2019 viene eletto al Parlamento europeo nelle liste del Pd, che lascerà lo stesso anno per fondare un suo partito.

All’indomani della caduta del Governo Draghi, si scaglia contro i “traditori” del Paese, responsabili di aver commesso “il più grave errore della storia repubblicana”. Peccato che se Mario Draghi è arrivato dove è arrivato, gran parte del merito è anche dell’allora Governo guidato da Silvio Berlusconi, che tramite una mastodontica opera di moral suasion riuscì a piazzare l’allora capo di Bankitalia a capo della Bce.

Dunque, per le elezioni del 2022 sigla un’alleanza elettorale con il Pd che solo una settimana dopo rompe per costituire il Terzo Polo assieme a Matteo Renzi, con il quale strappa nell’aprile del 2023.

Per l’ultimo anno e mezzo è andato in giro per l’Italia vendendo un progetto che nessuno ha capito, la tanto decantata “agenda Draghi” che non è mai esistita e mai esisterà e che l’ex leader del Terzo Polo ha usato come specchietto per le allodole illudendosi che il solo nome di Mario Draghi gli avrebbe portato qualche consenso.

La scialuppa Pd

Dopo mesi di tensione e conscio del totale fallimento del suo progetto politico, Calenda sta già programmando da tempo un suo ritorno a Canossa, tra le braccia della segretaria più a sinistra nella storia del Partito democratico.

I renziani, stufi delle continue bordate del compagno Calenda, premono affinché si proceda alla separazione dei gruppi parlamentari, il che ha fatto tremare i banchi in Azione.

Infatti, per poter costituire un gruppo parlamentare autonomo, al Senato occorrono almeno 6 senatori, mentre alla Camera servono 14 deputati. Se a Montecitorio, previa deroga, nessuno dei due leader avrebbe problemi significativi per formare un gruppo, è al Senato che il sogno di Renzi di spedire Calenda nel gruppo misto potrebbe concretizzarsi.

Il senatore di Rignano dormirebbe sonni tranquilli a Palazzo Madama, avendo a disposizione 6 senatori, mentre i 4 di Azione non sarebbero sufficienti per formare un gruppo autonomo. Questo significherebbe per il senatore dei Parioli vedersi costretto al gruppo Misto, alle dipendenze di Bonelli e Fratoianni, ai quali dovrebbe rivolgersi per avere persino una penna in prestito.

Per questo, come riportato ieri da Francesco Boezi sul Giornale, Elly Schelin sarebbe pronta ad offrire a Calenda una scialuppa di salvataggio, cedendogli in prestito due senatori. Manca solo l’ufficialità e l’ennesimo bluff di sarà svelato.

Inclinazioni naturali

Ci ha provato in tutti modi, Mr. Capalbio, a mascherare le sue inclinazioni naturali, a tratti sovietiche, come dimostra l’ultimo polverone sollevato sulla presenza al Twiga di alcuni esponenti di Italia Viva da parte del suo piccolo partitino maoista, che ad ogni tornata elettorale vede i propri consensi evaporare alla luce del sole.

Sarà il caldo estivo, o sarà forse che gli italiani hanno capito la presa di giro, sul serio, per riprendere il suo slogan, di chi ha cercato in tutti i modi di vestire i panni del liberale, riformista in grado portare a compimento quella tanto attesa rivoluzione liberale, rompendo gli schemi e ridisegnando le logiche della politica italiana. Pensava che scippando due ex ministre al partito di Berlusconi lo avrebbe surclassato, svuotato di consensi e di classe dirigente. Peccato per lui sia accaduto il contrario.

Le scale di Hogwarts

Ma il vero dramma di Calenda è un altro: non sa far politica, sa solo riempirsi la bocca di frasi perbeniste, contestare ogni cosa con quel suo solito tono supponente ed arrogante mediante il quale tenta di dar voce a quell’Italia bene che non vota Meloni perché da ignoranti e nemmeno il Pd perché non abbastanza di sinistra.

Quella parte di Italia che si sente moralmente, eticamente e soprattutto culturalmente superiore e che tratta coloro i quali non la pensano allo stesso modo come un branco di cialtroni analfabeti da guardare dall’alto al basso. Gli stessi che contestano i populismi di destra e sinistra, ma che non si rendono conto di andar dietro all’unico vero populista di alto borgo.

Un progetto politico destinato al fallimento in partenza, vista l’ipocrisia di certa gente, sempre pronta ad inseguire la tendenza del momento, ma che appena ravvedrà in qualcun altro la novità sarà pronta a buttarsi a capofitto.

Ebbene, quell’Italia non ha nulla a che vedere con il mondo moderato del liberalismo e dell’europeismo che Calenda dice di voler rappresentare. Quegli italiani un rifugio l’hanno già trovato nel berlusconismo, che oltre ai valori di fiducia nel talento, nell’intraprendenza e nella libertà, in tutti i sensi, ha trasmesso un insegnamento fondamentale. La vita è una questione di scelta: o si sta da una parte o dall’altra.

Calenda, ormai si sa, è un po’ come le scale di Hogwarts; gli piace cambiare. Tuttavia, se si dovesse trovare un filo conduttore della sua poco brillante carriera politica il compito sarebbe abbastanza facile: continue retromarce, voltafaccia, fallimenti, ma soprattutto tanta irrilevanza.

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