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Il centrodestra non rinunci al presidenzialismo per un consenso più ampio

Doppio errore non proporre la riforma costituzionale che era nel programma elettorale. Premierato solo apparentemente più agevole: rischio vicolo cieco

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Come è noto, è appena terminato il primo giro di consultazioni con le forze politiche da parte del ministro per le riforme istituzionali e la semplificazione normativa, senatrice Maria Elisabetta Alberti Casellati, per valutare eventuali convergenze su una delle possibili ipotesi, al fine di realizzare un consenso più ampio delle forze di maggioranza sulla riforma della forma di governo.

Ipotesi premierato

Al riguardo, le cronache politiche hanno riferito che, forse, l’ipotesi che potrebbe conseguire lo scopo sarebbe il c.d. “premierato”, cioè quella soluzione che prevede l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Tale ipotesi avrebbe, secondo i sostenitori, il pregio di stabilizzare l’Esecutivo, salvaguardando la figura di garanzia del presidente della Repubblica che così potrebbe continuare a svolgere il ruolo di motore di riavvio quando il sistema va in panne.

In definitiva, sarebbe considerato da molti come la riforma più conservativa poiché modificherebbe poche disposizioni costituzionali e non inciderebbe radicalmente sulle attribuzioni costituzionali delle figure di garanzia.

Rinuncia della maggioranza

In attesa dei futuri sviluppi, già oggi è possibile svolgere qualche considerazione critica. In primo luogo, se è lodevole l’intento di ricercare un consenso più ampio sulle riforme istituzionali, sembra singolare che ciò avvenga prescindendo del tutto dai rapporti politici emersi dalle recenti elezioni politiche.

Infatti, se fossero confermate le cronache di questi giorni, avremmo la situazione paradossale per la quale le forze politiche che godono di una salda maggioranza in virtù di un robusto successo elettorale rinunciano a proporre la riforma costituzionale che era nel proprio programma elettorale in favore di una soluzione che era parte del programma elettorale di una delle minori forze di opposizione: infatti, il premierato altro non è che il modello del Sindaco d’Italia di Renzi.

Al di là delle considerazioni di natura tecnico-giuridica, non si può escludere un sentimento di confusione da parte dell’elettore di centrodestra di fronte a questo scenario, perché è giusto ricercare un consenso più ampio, ma ciò dovrebbe avvenire sul progetto di riforma presentato agli elettori (o perlomeno non su un progetto di altri).

Il modello Sindaco d’Italia

Sul piano delle valutazioni tecniche, si deve inizialmente confessare che da sempre si ritiene che vi sia una infedele traduzione istituzionale del modello Sindaco d’Italia, il quale trasposto sul piano nazionale dovrebbe significare non già l’elezione diretta del presidente del Consiglio ma semmai quella di un presidente della Repubblica che fosse al contempo capo dell’Esecutivo, secondo il modello del presidenzialismo statunitense.

D’altronde, non si capisce perché a livello comunale e regionale l’elettore sceglie l’organo monocratico di vertice, rispettivamente il sindaco e il presidente di regione, mentre a livello nazionale dovrebbe limitarsi ad eleggere il presidente del Consiglio che in ogni caso resterebbe sul piano istituzionale un gradino sotto il capo dello Stato.

Rischio punto morto

Ma oltre a queste considerazioni, ve ne sono altre più sostanziali sulle quali sarebbe opportuno riflettere bene prima di incamminarsi su un sentiero che rischia di condurre ad un punto morto.

Se è certamente vero che il premierato comporterebbe un numero inferiore di modifiche formali del testo costituzionale rispetto all’introduzione del presidenzialismo o del semipresidenzialismo, sembra però che ciò non sarebbe meno radicale, perché in realtà andrebbe a toccare alcune prerogative fondamentali che rivoluzionerebbero il ruolo dei due presidenti.

Infatti, si dice chiaramente che il potere di scioglimento delle Camere dovrebbe passare al presidente del Consiglio eletto così come il potere di nomina e revoca dei ministri, in analogia a quanto avviene nelle giunte comunali e regionali. Così facendo il presidente della Repubblica sarebbe privato di due delle sue prerogative più importanti, riducendo fortemente la sua capacità di intervento in momenti di crisi del sistema.

Dunque, a noi pare che il premierato sia solo apparentemente una soluzione conservativa degli equilibri istituzionali vigenti, poiché stravolgerebbe il ruolo del capo dello Stato, sottraendogli importanti prerogative.

Inoltre, determinerebbe la necessità di risolvere complesse questioni per fornire al presidente del Consiglio una maggioranza parlamentare (e ciò dovrebbe avvenire rispettando i paletti messi dalla giurisprudenza costituzionale in materia elettorale) e stabilire adeguati meccanismi di collegamento tra Governo e Parlamento, come ad esempio il principio simul stabunt simul cadent, che affievolirebbero ancor di più il già flebile principio di separazione dei poteri.

Il modello semipresidenziale

In tal senso, il semipresidenzialismo sembra essere un sistema che meglio rappresenta l’evoluzione della forma di governo italiana. È noto che talvolta giornalisticamente si è parlato di un presidenzialismo di fatto proprio ad indicare una evoluzione del ruolo politico del Quirinale, consolidando le prerogative del capo dello Stato con una diretta legittimazione democratica e ponendo dei limiti (anche temporali) che la recente prassi della rielezione opportunamente suggerisce.

Un sistema consolidato

Infine, va evidenziato che il modello semipresidenziale è ampiamente noto anche nei suoi possibili difetti, si pensi alle ipotesi di coabitazione, ma potrebbe essere molto meno prudente avventurarsi per un sentiero, il premierato, molto poco battuto.

È, difatti, un sistema poco diffuso, risultando recentemente noto solo il caso di Israele che dopo qualche anno lo ha abbandonato. E forse al riguardo l’analogia con la forma di governo regionale potrebbe peccare per eccesso e non cogliere la maggiore complessità della tematica a livello nazionale.

Naturalmente, è sempre possibile ricercare soluzioni innovative e originali, ma la posta in gioco è alta e potrebbe essere saggio e prudente ricorrere a forme di governo ampiamente consolidate, adattandole alle specificità nostrane e magari cogliendo l’occasione per rimettere ordine al processo di produzione del diritto e rafforzare la separazione tra Esecutivo e Legislativo.

E soprattutto partire dalla volontà espressa dal corpo elettorale non sembra affatto una cattiva idea e, forse, potrebbe essere il vero fattore di discontinuità di questo governo da valorizzare rispetto all’ultimo decennio della storia italiana.

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