Il mondo al contrario degli orfani della dittatura sanitaria

Virologi e giornalisti, da Burioni a Severgnini, ripartito il circo Covid con il suo campionario di paradossi. Intanto, perse le tracce della Commissione d’inchiesta

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Calate le temperature e ridimensionato un po’ il catastrofismo climatico, siamo di nuovo alle prese con l’allarmismo sul Covid. È stato sufficiente che i principali quotidiani e i telegiornali abbiano enfatizzato l’aumento dei contagi e subito si è rimessa in moto la giostra. Più che di un riflesso pavloviano, si tratta di una strategia ormai evidente.

Uso politico del virus

Nel suo libro poi rimasto inedito, l’ex ministro Roberto Speranza discettava di una nuova egemonia culturale da costruire sulla pandemia. Sfumata quell’opportunità, non resta che usare in chiave politica qualsiasi risalita (più o meno grave) delle infezioni. Lo schema è collaudato: chiunque non si omologhi ai precetti della cattedrale sanitaria è considerato un negazionista in combutta con l’universo no-vax.

Non serve nemmeno citare la pletora di virologi tornati alla carica sui mezzi di informazione per comprendere l’aria che tira. Prendiamo, per esempio, il pezzo su La Stampa a firma di Eugenia Tognotti la quale si è lamentata del ritorno del complottismo che porta a “sottovalutare la minaccia”. Nel suo mirino, ci sono i social e i giornali vicini al governo. Dunque, da un lato se l’è presa col popolo bue che, in assenza di obblighi e divieti, non si piega più ai diktat dei profeti di sventura e blatera di restrizioni su Facebook o X. Dall’altro, ne ha approfittato per attaccare direttamente le pubblicazioni filo-governative e, indirettamente, lo stesso Esecutivo che sarebbe insensibile di fronte a queste accorate grida di allarme.

Tanto è vero che un altro ex ministro della salute, Beatrice Lorenzin, sta incalzando Schillaci invitandolo a chiarire la situazione epidemiologica e a illustrare le eventuali azioni di contrasto. Insomma, non siamo dalle parti dell’egemonia culturale cara al compagno di partito della Lorenzin ma, sicuramente, nell’ambito dell’uso politico del virus.

Ministro timido

Peraltro, finora il comportamento dell’attuale ministro è stato a dir poco timido non riuscendosi ad affrancare da tutto l’armamentario di regole e regolette pandemiche che ha ereditato. Ancora oggi capita di doversi recare presso strutture sanitarie che impongono l’uso della mascherina o addirittura pretendono un test negativo per l’accesso.

Ergo, proprio Schillaci non può essere iscritto al partito degli irresponsabili complottisti di cui scrive la Tognotti. Non è, dunque, l’attuale ministro a disincentivare l’uso dei dispositivi di protezione attraverso “la disinformazione sui benefici medico-sanitari” e non riconoscere “il ruolo sociale della scienza”. Chissà a quale scienza si riferisce la Tognotti, visto e considerato che proprio sulle famigerate mascherine esiste ampia letteratura scientifica che le ritiene sostanzialmente inutili (se non dannose in alcuni ambiti, tipo quello scolastico). Ma tant’è, la Tognotti non si schioda dalla sua posizione granitica nonostante tutte le evoluzioni che si sono verificate nell’ultimo triennio.

Fuga dal laboratorio

Le sarà sfuggito anche quanto riportato dal suo stesso giornale su un presunto intervento della CIA per impedire la diffusione di scoperte scientifiche relative alla fuga del virus dal laboratorio di Wuhan. È stato il New York Post – riportando le confidenze al Congresso di una “gola profonda” per primo a far rimbalzare la notizia che è poi stata ripresa dai principali media a stelle e strisce.

Peraltro, su Atlantic Quotidiano, in diverse occasioni a partire già dal marzo 2020, abbiamo trattato la questione pure a dimostrazione dell’inconsistenza di alcune teorie che all’inizio dell’epidemia non potevano essere messe in discussione pena la censura o il biasimo collettivo.

Eppure, non sono bastate neppure le smentite clamorose su alcuni teoremi (quello draghiano resterà nella storia: il Green Pass è la garanzia di trovarsi tra persone non contagiate o non contagiose) per provocare un ripensamento rispetto a certi atteggiamenti fin troppo intransigenti. Al contrario, si persevera nella narrazione a senso unico.

I censori social

L’onnipresente Roberto Burioni, riferendosi a chi lo contesta, ha perfino accusato i suoi detrattori di aver libertà di opinione. D’altronde, se la scienza non è democratica come da assioma burioniano, allora pure l’informazione può essere “somministrata con modalità meno democratiche”, ricordando le parole dell’ex premier Mario Monti a La7.

Per non dire del lavoro di filtro effettuato dai fact-checkers in servizio permanente sui social. Qualsiasi teoria, anche autorevole, contraria al pandemicamente corretto è stata rimossa dal web. Una di queste riguardava proprio l’incidente nel laboratorio di Wuhan. Ma, nel mondo al contrario prodotto dallo stato di emergenza permanente, i libertari sono considerati dei pericolosi fanatici mentre i censori si atteggiano a sinceri democratici che agiscono per il bene della comunità.

Severgnini

Per cui, in questo campionario di paradossi, capita di leggere con sconcerto quanto scritto da Beppe Severgnini qualche giorno fa sul Corriere della Sera a proposito di un sentimento di stanchezza verso la libertà. Da cosa deriva questa preoccupazione? Non solo dalla possibile rielezione di Donald Trump per lui indigesta ma anche da questa Italia “edonista e distratta” che si affiderebbe pigramente all’autorità come ai tempi del fascismo. Per cui, secondo l’ardita tesi severgniniana, il pericolo è che si baratti la libertà con la tranquillità di affidarsi al dittatore di turno.

Non contento del livello di parossismo raggiunto, si è scagliato pure contro quelli che avrebbero un’idea grottesca di libertà citando a esempio – udite e tremate – la libertà di non vaccinarsi e la libertà di imbottirsi di cocaina. Come se le due cose fossero assimilabili, come se il rifiuto di un trattamento sanitario obbligatorio (peraltro, in linea con il dettato costituzionale) possa essere paragonato all’assunzione di sostanze stupefacenti (al di là del fatto che il mero consumo – pur deprecabile – non è più attività considerata illecita nel nostro ordinamento).

Ergo, Severgnini non solo non centra il bersaglio ma si attorciglia in un ragionamento sconclusionato. Basterebbe ricordargli quali sono stati i Paesi (non propriamente democratici) ad aver introdotto come l’Italia (unica nel panorama occidentale) la vaccinazione obbligatoria o strumenti oppressivi e discriminatori come il Green Pass.

Così come bisognerebbe rammentargli l’inutilità di tutti questi obblighi stante il dato incontrovertibile che questi vaccini non arrestano la trasmissione del virus. Chissà se è più amante della libertà chi guarda i fatti in maniera laica o chi cede alla tentazione dell’approccio dogmatico. Magari ci illuminerà in uno dei suoi prossimi corsivi.

Di nuovo in pericolo

Sorprende che pure Riccardo Mazzoni su Il Tempo abbia magnificato il Green Pass indicato come “un passo necessario per spingere le vaccinazioni e far ripartite le aziende”. A suo dire, la misura non è da considerare illiberale perché “il certificato verde tutelava un diritto naturale, quello di non essere contagiati”. Peccato che pure i possessori della tanto agognata tessera potessero infettarsi e contagiare a loro volta.

E peccato che quest’allarmismo generalizzato rischi di mettere nuovamente in pericolo le nostre libertà e i nostri diritti. Peccato pure che si siano perse le tracce della Commissione d’inchiesta che sarebbe il luogo deputato per discutere ancora del virus arrivato dalla Cina e delle assurde misure di contrasto che ne sono seguite.

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