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Il ritorno del generale Figliuolo e l’ombra del governo Draghi

Un uomo per tutte le emergenze: fervido sostenitore del Green Pass, a rileggere le sue affermazioni di un paio di anni fa c’è da sorridere, ma amaramente

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La nomina del generale Francesco Paolo Figliuolo a commissario straordinario per la ricostruzione post-alluvione in Emilia Romagna dimostra come l’ombra del governo Draghi si allunghi anche su quello presieduto da Giorgia Meloni.

Discontinuità incompleta

Chi, dopo le elezioni, si attendeva una netta discontinuità rispetto all’Esecutivo di unità nazionale (ribattezzato improvvidamente come il “governo dei migliori”) è rimasto un po’ deluso. Già nei scorsi mesi abbiamo avuto modo di sottolineare le titubanze e le incertezze del ministro Orazio Schillaci, che stenta ad affrancarsi del tutto dalle rigide politiche speranziane.

Ora, il ritorno di Figliuolo in ruolo così importante rappresenta, da parte della nuova maggioranza, una sorta di riconoscimento del suo operato nella fase pandemica. È vero che due partiti della maggioranza sostenevano il governo Draghi ma è altrettanto innegabile che l’attuale governo aveva promesso di archiviare definitivamente la stagione dell’emergenza sanitaria.

Invece, ci ritroviamo con le mascherine ancora obbligatorie in determinati contesti e con Figliuolo di nuovo commissario. La sgrammaticatura politica è evidente per quanto la notizia non abbia avuto molta risonanza sui media, schiacciata dagli sviluppi del conflitto in Ucraina e dalle solite polemiche pretestuose imbastite da un’opposizione in cerca di una bussola per orientarsi.

Sostenitore del Green Pass

In mancanza, ci ha pensato Beppe Severgnini sul Corriere della Sera a magnificare le imprese del generale, un uomo che “trova romantica la logistica” e che sa ascoltare. Sulla logistica non sapremmo dire, quanto all’ascolto c’è da esprimere qualche dubbio visto che, da commissario per l’emergenza sanitaria, fu uno dei più accaniti sostenitori di uno strumento coercitivo come il Green Pass.

I cittadini hanno capito che si lottava per la sopravvivenza”, disse durante il Meeting di Rimini dello scorso anno. Certo, senza carta verde, non si portava letteralmente il pane a casa. Ergo, si trattava di sopravvivere innanzitutto dal punto di vista economico e di assicurarsi un minimo di libertà di movimento.

Tra l’altro, in quell’occasione, mostrò pure un certo fastidio verso chi aveva messo in dubbio i dogmi sanitari: “Sono stati fatti molti dibattiti che potevano anche essere non fatti”. Un’idea della democrazia un po’ particolare quella in cui sono permesse solo le discussioni gradite al generale Figliuolo che, a un certo punto, voleva recarsi “casa per casa” per convincere i recalcitranti. Ma tant’è, nell’era pandemica ne abbiamo sentite di tutti i colori.

Sui vaccini smentito dai fatti

Il problema è che Figliuolo entrò un po’ troppo nella parte, non limitandosi a organizzare gli hub vaccinali ereditati dalla gestione Arcuri ma assunse un ruolo politico con ripetute esternazioni più che discutibili: “Quando raggiungeremo il 90 per cento della popolazione vaccinata e se i comportamenti continueranno a essere responsabili, ci potrebbe essere un allentamento delle misure”. Come abbiamo poi visto, neppure il 100 per cento di inoculazioni sarebbe servito a creare la famosa immunità, perché il virus nelle sue infinite mutazioni e varianti bucava impietosamente il vaccino.

A rileggere oggi affermazioni di un paio di anni fa c’è da sorridere, seppure amaramente. Allora, risulta ancora più beffardo il ritorno del generale per mano, peraltro, di un governo la cui maggiore forza politica aveva aspramente criticato l’approccio autoritario alle questioni sanitarie.

Il problema non è la mimetica

Tornando al panegirico di Severgnini, si ricorda pure il disagio di Michela Murgia per l’uomo in divisa a cui era stato affidato un incarico civile. Be’, mai nulla obiettò la Murgia a proposito delle normative liberticide imposte agli italiani. Il problema, dunque, non era la mimetica ma l’atteggiamento draconiano che ha contagiato un po’ tutti.

Con una vena di sentimentalismo, Severgnini – che ha già scritto un libro a quattro mani con Figliuolo – ci informa che il generale è diventato nonno da nove mesi. Così, quando si intrattengono nelle loro conversazioni, parlano dei rispettivi nipoti: “Gli italiani di domani, quelli che dovranno raddrizzare un Paese che noi sessantenni abbiamo lasciato crescere un po’ storto”. Nel frattempo, seguendo la logica severgniniana, il Paese si allontanerà ancor di più dalla retta via fin quando i nonni non lasceranno spazio ai nipoti. E fin quando esisteranno uomini per tutte le stagioni e per tutte le emergenze.