In Italia ha sempre e solo corso legale il pacifismo dei deboli

Non si è mai costruita alcuna pace, nemmeno quella degli ultimi 70 anni, se non impedendo ad altri, con la minaccia delle armi, di renderla impossibile

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In Italia, e in Europa, ha sempre e solo corso legale il pacifismo dei deboli. Il diritto dei vinti piace ai politici e all’opinione pubblica. Il nostro Paese pullula di veline e lettori di Khalil Gibran che desiderano la pace nel mondo, appendono la bandiera arcobaleno ai balconi e s’illudono che la triade diritto-diplomazia-cooperazione sia una panacea per tutti i mali.

I pacifisti

I pacifisti sono tipi umani molto particolari, decisamente candidi, autenticamente convinti che il mondo possa diventare un locus amoenus, dove tutti i torti e i conflitti possono essere superati attraverso azioni di dissenso pacifico e di dialogo.

Ricordano Gandhi quando invitava gli ebrei a gettarsi in mare dalle scogliere per risvegliare il popolo tedesco dall’incubo nazista o, ancora, quando suggeriva agli inglesi di lasciarsi invadere dalla Wehrmacht, perché l’importante era non farsi occupare la mente e l’anima. I pacifisti invitano sempre il prossimo a “studiare la storia” che, a sentir loro, insegnerebbe che “la guerra non porta da nessuna parte”.

La pace a tutti i costi

Niente di più falso. La storia insegna esattamente il contrario, ovvero che inseguire la pace a tutti i costi è controproducente, soprattutto quando l’interlocutore è uno stato totalitario, dittatoriale o teocratico. Nessuna diplomazia è possibile coi tiranni decisi a far valere il proprio ius ad bellum, cioè il loro “diritto a fare la guerra”.

La vicenda della Conferenza di Monaco del 1938 è, in tal senso, esemplare. Ogni accordo con un soggetti come Hitler, e oggi come Putin e Khamenei, è solo tempo strappato a uno scontro inevitabile. Gli appetiti dei dittatori e delle canaglie internazionali non si placano con un pezzo di carta dal solenne nome di “trattato”.

L’ex Consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, John Bolton, ha spesso ricordato nei suoi articoli che la diplomazia è un mezzo, non un fine, e quando la composizione pacifica delle fratture non è possibile, allora si usa la forza.

La guerra in Europa

Robert Kagan si è guadagnato l’onore di aver descritto, andando oltre singole amministrazioni e personalità, la mentalità pacifista europea in un suo articolo del 2002, “Power and Weakness”, che ha influenzato la discussione su entrambe le sponde dell’Atlantico sui temi della guerra e della pace, del diritto e della morale.

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha messo gli europei davanti a un fatto compiuto: la guerra non è stata bandita dal vecchio continente. In un anno, numerose nazioni europee, compresa la riluttante Germania, sono rapidamente passate dal godimento del “dividendo della pace” post-Guerra Fredda a un maggiore impegno per rafforzare adeguatamente le loro forze armate.

Il pacifismo oltranzista

Questo nuovo riarmo europeo, con tanto di richieste di adesione alla Nato di Finlandia e Svezia, ha profondamente scosso i partigiani della “pace-a-ogni-costo” che ammorbano i salotti televisivi. Il pacifismo oltranzista, quello incapace di distinguere l’aggressore dall’aggredito, ignora che non si è mai riuscita a costruire nessuna pace, nemmeno quella degli ultimi settant’anni, se non impedendo ad altri, con la minaccia delle armi, di renderla impossibile.

Come ai tempi della “guerra al terrore” proclamata da George W. Bush, i pacifisti si sono limitati a dire la cosa più ovvia: “basta guerra”. Certo, le guerre sono atroci, ma i belligeranti non sono tutti uguali.

La pace di quelli che riempiono le piazze con la bandiera arcobaleno è senza gloria, il loro amore per l’uomo senza giustizia e la loro dialettica senza ordine né autentica comprensione. Essi, in fondo, esprimono un nichilismo che non riconosce nulla come degno di valore, salvo una “pace” che ricorda la tranquillità dei cimiteri.

Due strade

Il pacifismo ricorda il riflesso del mollusco che, minacciato, si rannicchia sotto al guscio. La situazione internazionale presenta solo due strade: infliggere una pesante sconfitta alla Russia, mandando un chiaro messaggio a tutte le tirannie; oppure abbandonare l’Ucraina e, di conseguenza tutti i liberali e i democratici del mondo, a un destino di oppressione e terrore.

La prima via è quella auspicabile perché, come ha scritto Paul Berman: “la libertà degli altri significa la nostra sicurezza. E allora sosteniamo la libertà degli altri”.

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