Anche se è praticamente scomparso dalle cronache, il Covid resta materia incandescente. Lo dimostra il duro confronto tra maggioranza e opposizione alla Camera dei Deputati durante l’approvazione definitiva della Commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza sanitaria.
È pur vero che è sembrato uno scivolone quello della deputata di Fratelli d’Italia, Alice Buonguerrieri, quando ha parlato genericamente di “Conte e Speranza condannati” per poi specificare che si riferiva a due sentenze del Tar che avevano imposto all’ex premier e all’ex ministro la consegna di alcuni documenti relativi all’affaire pandemico. Così come si può concordare con Augusto Minzolini quando su il Giornale invita a non trasformare la Commissione Covid in un tribunale.
Tuttavia, una volta ribadita la preferenza per un approccio saldamente garantista, si deve pure riconoscere che certe questioni non sono più eludibili. Inoltre, per quanto l’opposizione si agiti e alzi i toni della discussione, a norma della Costituzione vigente, le Commissioni d’inchiesta parlamentare sono dotate degli stessi poteri e delle stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria.
Perimetro ridotto
Già sappiamo che il perimetro d’indagine di questa Commissione è stato ridotto dopo l’intervento del capo dello Stato. Per cui, avendo la maggioranza emendato il testo iniziale, sarà precluso qualsiasi approfondimento sulla costituzionalità della normativa pandemica, in particolare sulla valutazione della regolarità dello stato d’emergenza (e delle successive proroghe) nonché sulla legittimità dell’abbondante decretazione d’urgenza a cui hanno fatto ricorso prima Conte (nella forma dei controversi Dpcm) e poi Draghi.
Si discuterà delle altre questioni problematiche quali gli acquisti dei dispositivi di protezione o dei banchi a rotelle, la gestione della campagna di vaccinazione, il mancato aggiornamento del piano pandemico, la verifica del lavoro svolto dalla task-force istituita presso il ministero della Salute e del famoso Comitato tecnico scientifico che è stato al centro della scena per quasi un triennio. Qualche inguaribile ottimista si augura di infilare anche la spinosa faccenda del Green Pass nell’ambito della discussione ma i limiti posti con gli ultimi emendamenti potrebbero precludere questo tipo di valutazione che sarebbe quanto mai opportuna.
Sonni agitati
Eppure, anche in questa versione dimezzata, la Commissione agita i sonni dell’opposizione parlamentare. I più inquieti si sono dimostrati proprio Giuseppe Conte e Roberto Speranza. Si parla della Commissione come di un plotone di esecuzione oppure si tira fuori l’accusa di squadrismo rispetto a un’iniziativa politica che trae – come detto – legittimità dalla stessa Costituzione ed è stata istituita pure seguendo le indicazioni del presidente della Repubblica.
È palese che il livello della polemica assume toni enfatici vista la contrarietà pregiudiziale verso qualsiasi contestazione sulla gestione sanitaria. D’altronde, lo stesso Speranza ha dedicato un capitolo aggiuntivo del suo libro “Perché guariremo” (finalmente tra gli scaffali) alla Commissione vista come fumo negli occhi.
Le critiche non reggono
Insomma, si tende a far passare il concetto che si tratta di un abuso della maggioranza che, per un puro calcolo politico, si arroga il diritto di colpevolizzare coloro i quali hanno affrontato l’emergenza sanitaria. Lo scenario da Argentina dei generali, però, non regge affatto per diverse ragioni. Innanzitutto, le misure adottate nella lunga fase pandemica sono state sempre contestate per quanto la narrazione a senso unico abbia silenziato il dissenso (chissà dov’erano a quell’epoca i presunti difensori del free speech che hanno animato le recenti discussioni sanremesi).
Inoltre, c’è da dire che l’intransigenza del ministro Speranza è stato il comun denominatore dei due governi Conte-Draghi che si sono succeduti nell’era Covid. Le politiche sanitarie sono state inflessibili e non hanno minimamente considerato i danni collaterali che avrebbero provocato alle attività economiche, per non dire delle pesanti ricadute sulle libertà e i diritti individuali.
Peraltro, accusare i promotori della Commissione di strumentalizzare il virus è argomento assai debole visto e considerato che sempre Speranza ha scritto nel suo saggio come la pandemia fosse l’occasione per ristabilire l’egemonia culturale in stile gramsciano della sua parte politica. Ora, provare a ribaltare la situazione risulta un vano tentativo di far dimenticare quanto è stato vergato e pure quanto è stato decretato.
Green Pass e consenso obbligato
Infine, c’è la gigantesca questione del Green Pass (nelle sue varie versioni sempre più restrittive) introdotto dal governo Draghi e del cosiddetto consenso informato che, comunque, veniva richiesto ai cittadini costretti a recarsi presso gli hub. Be’, di informato c’era ben poco. Il consenso era obbligato se si voleva conservare il lavoro, lo stipendio e un minimo di vita sociale.
Ci sarebbe anche da discutere dell’ostracismo verso i dubbiosi o verso coloro che, nonostante tutto, hanno rifiutato le dosi. Ebbene, costoro sono stati trattati come dei paria, come cittadini di serie B, bollati con l’odioso e discriminatorio epiteto di no vax (esteso paradossalmente pure a chi aveva ricevuto le dosi ma senza l’autodafé che richiedeva fideisticamente la propaganda martellante).
Un pericoloso precedente
Magari, al di là delle prevedibili schermaglie parlamentari, si riuscirà ad accendere i riflettori in maniera seria su tutte queste vicende di fondamentale importanza che hanno segnato un pericoloso precedente, come dimostrano le nuove ossessioni della ideologia woke (ambientalismo estremo, il limite a 30 km/h nei centri abitati, il finto pacifismo declinato in chiave anti-atlantista).
Almeno a futura memoria va fatto lo sforzo di ristabilire un minimo di verità e ribadire quali sono i valori inviolabili di una società occidentale. Sempre che, come osservava con arguzia Leonardo Sciascia, questo Paese abbia ancora una memoria da conservare.