La Corte deve ascoltare la Costituzione, non “la scienza” (sbagliata)

“Abbiamo ascoltato la scienza”, rivendica la presidente Sciarra. Ma quale “scienza”? Il presupposto dell’obbligo si è rivelato, proprio sul piano scientifico, inconsistente

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La recente sentenza della Corte Costituzionale in materia di obblighi sanitari e relative sanzioni aveva destato molte perplessità, peraltro già puntualmente espresse su Atlantico Quotidiano.

Così come avevano destato il nostro stupore le reazioni trionfanti di alcuni quotidiani tra cui La Stampa che aveva titolato “Ha vinto la scienza”, dimenticando che la Consulta si occupa di compatibilità tra le norme e i principi costituzionali, non di farmacologia.

“Abbiamo ascoltato la scienza”

Peraltro, un’analisi più articolata di questa decisione potrà svilupparsi solo quando saranno rese note le motivazioni. Nel frattempo, tuttavia, il presidente della stessa Corte, Silvana Sciarra, ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera in cui ha parlato anche di questa recente sentenza che ha scatenato un’animata discussione con inevitabili polemiche.

Il filo conduttore delle nostre decisioni è stata la non irragionevolezza delle scelte adottate dal legislatore, sulla scorta dei risultati raggiunti dalla scienza”, questo è l’incipit della conversazione con Giovanni Bianconi. A cui si aggiunge un ulteriore passaggio nel corpo dell’intervista:

Da fuori si pensa subito a divisioni e contrasti, ma le camere di consiglio lunghe sono un segnale di approfondimento e condivisione, soprattutto su temi eticamente sensibili come quelli che coinvolgono l’autodeterminazione delle persone. Per arrivare a decisioni condivise ci vuole tempo, le argomentazioni saranno sviluppate in tre distinte sentenze. Per ora posso solo dire che la Corte ha ascoltato la scienza, come del resto è avvenuto più volte in passato, in tema di vaccinazioni e altro.

Presupposto scientifico inconsistente

Per quanto riguarda l’irragionevolezza di certe scelte governative, basterebbe citare le parole dell’ex premier Mario Draghi, quando assicurò che il Green Pass sarebbe stato la garanzia di ritrovarsi in aree sicure e protette dal contagio. Già allora, invece, si sapeva che pure chi era in regola con le dosi poteva contrarre la malattia e risultare veicolo del virus.

Ergo, si può discutere sullo scudo offerto dall’iniezione o dalle iniezioni ma sarebbe un argomento sganciato dal diritto perché il nodo gordiano della vicenda è che il presupposto su cui si è basata la rigida normazione del precedente esecutivo si è rivelato, scientificamente parlando, inconsistente.

Autodeterminazione azzerata

Quanto alle questioni etiche, proprio perché riguardano l’autodeterminazione degli individui, bisognerebbe privilegiare la libertà di scelta del singolo. Al contrario, sia attraverso l’obbligo diretto che a mezzo di quello surrettizio rappresentato dal Green Pass, il campo dell’autodeterminazione è stato notevolmente ridotto, fino a essere azzerato in alcuni casi.

È davvero compatibile una siffatta impostazione con i principi costituzionali vigenti? Peraltro, la Corte non solo ha ritenuto ragionevole la legislazione di epoca draghiana ma anche “non sproporzionata”, cioè reputando equo privare dello stipendio o escludere dalla vita sociale i renitenti alla puntura.

Comunità scientifica divisa

Per cui, appare quanto meno discutibile che una pronuncia di questo tipo possa essere stata fondata sui risultati raggiunti dalla scienza perché, in questo caso, bisognerebbe considerare che la stessa comunità scientifica non è affatto un consesso dogmatico simile a un Concistoro.

D’altronde, proprio perché stiamo parlando di un farmaco sviluppato in così poco tempo e somministrato in emergenza a gran parte della popolazione, non si è ancora consolidata una letteratura scientifica sul punto.

Anzi, crescono i dubbi e le voci dissenzienti (seppure censurate da gran parte della stampa nostrana) sul mancato rispetto del principio di precauzione, soprattutto per quanto riguarda la profilassi delle fasce più giovani della popolazioni per le quali il rapporto tra benefici e rischi pende dalla parte dei secondi. Tanto è vero che alcuni Paesi, come la Danimarca e la Svezia, hanno interrotto le somministrazioni ai minori.

La giurisprudenza della Corte

D’altronde, era stata proprio una famosa sentenza della Corte – la n. 5/2018 – a perimetrare i limiti dei trattamenti sanitari obbligatori stabilendo tre principi cardine:

1) l’interesse della collettività a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale; 2) la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili; 3) se nell’ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio sia prevista comunque la corresponsione di una “equa indennità” in favore del danneggiato.

Scienza e giurisprudenza

Al di là del fatto che sulle reazioni avverse, da noi, vige la congiura del silenzio dei media mainstream con tanto di guardiani del pensiero unico in servizio permanente effettivo, sotto altro aspetto quello che sembra difettare è proprio l’interesse della collettività nel momento in cui i vaccini anti-Covid hanno dimostrato di non aver efficacia sterilizzante e quindi di non essere in grado di arrestare il contagio.

Ergo, volendo ricondurre il dibattito su un piano squisitamente giuridico, non convince questo richiamo generico alla scienza che, seppure ritenuto una linea guida dalla Corte, va in netto contrasto con una concezione liberale della società. Anche perché gli orientamenti giurisprudenziali non possono essere certo condizionati o indirizzati da quelli mutevoli e discordanti della variegata comunità scientifica.

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