“Era buono, le faceva anche i biscotti…”. Il titolo a tutta pagina sul Corriere della Sera, “Giulia è morta a causa della idea patriarcale del possesso”, fa riferimento al fatto che c’è una malattia sociale che genera violenti? Allora fare i biscotti non è più indice di gentilezza e forse nasconde altro?
Fondamenta da distruggere?
Per Michele Serra su Repubblica è “la malattia del maschio” e ovviamente Concita De Gregorio, altra ossessionata, cavalca e “approfitta” per emettere la stessa opinione riprendendo il commento al film della Cortellesi: “Le fondamenta sono da buttare. Scavare, buttare, rifare da capo”.
Ovviamente si tratta puramente delle fondamenta “patriarcali” di quelle odiose “famiglie normali” (ma quanto sono odiate da certi editorialisti!), che finiscono sul banco degli imputati quasi come complici. Concita le definisce “famiglie conformi”. Eh sì. Tutte le famiglie italiane colpevoli e facenti parte ovviamente di quelle “fondamenta da buttare”. Come se le famiglie “non conformi” (ma quali sarebbero?) fossero migliori.
A ben capire, non avremo molto da attendere per vedere quanto la società “evoluta” e moderna, inclusiva del diverso, che accoglie ogni nuovo sistema sociale, abbia distrutto un sistema che, bene o male, generava stabilità, con ruoli e mansioni ordinate. A guida dei figli. A educare i figli.
Falsa contrapposizione
Il rispetto per Giulia, per il suo corpo massacrato senza ragione, se non quella di un rifiuto che non si accetta, e di una educazione che (invece) non c’è stata, ci obbliga a riflettere su questi tragici fatti. Perché se c’è chi vuole infilarsi in tragedie come queste con il dito puntato sul “patriarcato” della famiglia e della società, come fallimento, o “colpa dello Stato”, di cui tutti facciamo parte a ben intendere, è salita sul carro sbagliato.
Giulia è morta perché ha incontrato sulla sua strada un ragazzo narcisista, pericoloso e violento. Punto. Il fenomeno dei femminicidi, che è pura violenza efferata contro le donne, va fermato. Ma non si può farlo martellando continuamente su una “presunta radice maligna” che sarebbe presente nell’intera società basata sulle “famiglie conformi”! Sarebbero queste le “fondamenta” da distruggere? E andiamo bene!
Alimentare l’idea che la nostra sia una società patriarcale fondata sull’idea del “possesso” della donna e che questa sarebbe una generalizzata “malattia del maschio” italiano è profondamente errato. Così come proclamare ossessivamente che la donna deve liberarsi dal giogo della sopraffazione maschile, in una contrapposizione frontale di affermazione di sé che è ancora la vecchia solfa femminista dell’autodeterminazione. Anche basta. Accendete il cervello: è esattamente la falsa contrapposizione donna soggiogata-maschio dominante a generare il veleno, lo squilibrio e nei casi più estremi, la tragedia.
Ma quale contrapposizione? Giulia rappresenta un inno alla vita, all’intelligenza, alla grazia, ed anche sì, alla famiglia che l’ha amorevolmente cresciuta nelle difficoltà. Perché lo ricordiamo, la famiglia ha da poco perso la mamma di Giulia. Non sminuitela, non raccontatela come vittima di un uomo, e come entrambi figli di una società patriarcale, perché è la fotografia sbagliata. Giulia era l’esempio esempio di donna libera e padrona di sé, colta, capace di laurearsi a soli 22 anni in ingegneria biomedica, supportata proprio dalla sua famiglia.
Ha incontrato sulla sua strada un ragazzo, a cui si era affezionata, ma al quale non era in alcun modo subalterna. Basta con chi, come la Repubblica, parla a nome della sorella di Giulia: “Non c’è un solo posto dove, come donna, puoi essere sicura in Italia. Non ci sono uomini di cui ti puoi fidare, lo Stato ha fallito, è incapace di proteggere le sue figlie e non è disposto a educare i suoi figli. Rendi responsabile quell’amico che fa sempre battute inappropriate, che tratta le donne come oggetti, eccessivamente possessivo della sua ragazza. Qualcosa deve cambiare”, in un racconto ancora ossessivo, verso uno Stato che di fatto negli anni, con una politica di sinistra ha demonizzato una società patriarcale che in tutta evidenza non esiste. Non più da anni, diciamo.
Cultura della vita
I dati sono allarmanti – sebbene l’Italia sia (vivaddio) il fanalino di coda rispetto ad altri Paesi del mondo – e ci dicono che la violenza esiste, la violenza omicida purtroppo esiste, ma sono e saranno proprio le “fondamenta” che qualcuno vorrebbe distruggere a salvarci. La famiglia, l’educazione.
Rispetto ai dati mondiali è da noi che si conta il minor numero casi di femminicidio, meno di 300 l’anno, proprio perché abbiamo una grande cultura della vita, tramandata. Esiste una cultura antica del valore e del rispetto della donna in quanto tale. In quanto madre, in quanto figlia, in quanto donna, e valore sociale. Perché oltraggiare la storia di Giulia raccontandola come vittima di un’Italia patriarcale e violenta?
Figli fragili
Giulia, come tante altre, è vittima di narcisisti e fragili, cresciuti nella “bambagia” a cui niente viene mai negato. Dove sta l’errore? Ce lo chiediamo ogni volta. Sta qui. Non stiamo educando, stiamo crescendo una generazione di figli fragili, difendendoli sempre da tutto (scuola compresa) per tutelarli dal conflitto, dal dolore, dalla possibilità e necessità di sbagliare, cadere, rialzarsi più forti… perché abbiamo paura di farli soffrire. E non vediamo neppure davvero chi sono i nostri figli, presi dal turbinio del nostro sempre più incessante presente. È un errore madornale.
Perché la vita, prima o poi, ti porta a dover affrontare i “no” ed il dolore, e se tu non sei pronto, ti rifugi nella tua confortevole zona che ti hanno generato. E non accetti ti venga negato ciò che hai sempre avuto. E perché mai dovresti? Per te è normalità. Quindi, una generazione che ha contestato i padri, magari a ragione, oggi è diventata serva dei propri figli. Non è capace di dire dei “no”, di orientare senza usare l’autoritarismo, ma l’esperienza.
C’è una sorta di armistizio: io ti faccio fare quello che vuoi, tu non mi infliggi la tensione di un conflitto. Ed io sto tranquillo. La scuola (esiste ancora?) educava anche a conoscere le sconfitte, a far fronte a momenti di difficoltà e di delusione. La dimensione limitata del giudizio, quello delle mura di una classe, ti consentiva di ripartire, se eri caduto. Ora tutto è universale, rapido, spietato.
Smettiamola
Quindi, non addossate la morte di Giulia alla società patriarcale. Perché così facendo oltraggiate una splendida ragazza e gli straordinari traguardi che la sua vita, ormai irrimediabilmente spezzata ma che non va ulteriormente calpestata, le ha permesso di raggiungere, anche con il sostegno di quella famiglia che ora è distrutta dal dolore. Il suo assassino deve pagare e pagherà, me lo auguro, per il suo grave e insano gesto, ma noi tutti dobbiamo evitare che accadano altre storie come quelle di Giulia.
Per favore, smettiamola con questa ossessionante contrapposizione delle ragazze ai ragazzi, delle donne agli uomini: sono nate, siamo nati, per unirci, per amarci e non per odiarci in una competizione, quella sì sessista, che è senza senso. Non ci sono fondamenta da distruggere. C’è anzi da ricostruire, riedificare sempre meglio, ricreare l’educazione famigliare, scolastica, sociale, buttando giù semmai l’opportunismo “cinico” e irriverente di qualche editorialista ossessionato, e senz’anima.