Mentre il caso di Cecilia Sala, ostaggio nelle mani del regime iraniano, non sembra destinato a risolversi in tempi brevi, e viene per lo più strumentalizzato dai giornali e dalle opposizioni di sinistra per polemizzare con il governo Meloni e gli Stati Uniti, sono molteplici gli eventi di queste prime ore del 2025 che ci ricordano come il virus islamista si stia diffondendo all’interno dei nostri confini a causa di decenni di immigrazione incontrollata.
Due sono ad oggi le più grandi minacce alla sopravvivenza dell’Europa, al suo benessere e alla sua stabilità politico-sociale. Una è l’agenda green, che ha ulteriormente accelerato la deindustrializzazione già in atto; l’altra è appunto l’immigrazione, in particolare islamica.
La presa di Piazza Duomo
Stupri, accoltellamenti, come quello di Rimini, e altre aggressioni sono ormai all’ordine del giorno, tanto da generare una certa assuefazione mediatica. Distrattamente, nei titoli si omette il soggetto, quando non si falsifica del tutto la matrice dell’attacco.
Ma anche le scene viste a Capodanno a Piazza Duomo, a Milano, ricordano quelle già viste a Berlino, Parigi, Bruxelles e in molte altre città del centro e nord Europa. Una “presa” della piazza da parte delle cosiddette gang (molto poco “baby”) di extracomunitari, per lo più magrebini, nient’affatto casuale, evidentemente organizzata, ripresa con gli smartphone e trasmessa sui social, come a dire: qui ormai comandiamo noi.
Lentamente ma inesorabilmente stiamo assistendo anche a casa nostra ad un film già visto in Francia, Belgio e Germania, mentre in questi anni qualcuno si illudeva che no, qui da noi sarebbe stato diverso. Eravamo semplicemente indietro di qualche anno.
Anche in Italia come in altri Paesi europei interi quartieri stanno diventando off limits per le forze dell’ordine, come si è visto a Corvetto con il caso Ramy. Ma ogni occasione è buona, anche Capodanno, come abbiamo visto a Bruxelles e di nuovo a Milano, quartiere San Siro, per scatenare guerriglie urbane fatte di roghi, barricate e molotov. Non a caso Milano, con la sua amministrazione di sinistra e il sindaco Salah, più preoccupato di vietare il fumo all’aperto e bandire le auto a benzina e diesel.
I nuovi italiani
L’integrazione è una chimera e in particolare sono le seconde e terze generazioni a non volersi integrare e a sviluppare anzi sentimenti di odio nei confronti del Paese che ha accolto i loro genitori offrendogli opportunità e welfare. Altro che disagio, questi ragazzi non sono certo cresciuti nella povertà e nella privazione di diritti fondamentali.
Eppure, si nota un evidente processo di radicalizzazione. I soggetti pericolosi, si dirà, possono sempre essere espulsi. Già, finché non diventano cittadini italiani, allora tutto si fa più complicato.
Molti degli islamisti che hanno “animato” il Capodanno di Piazza Duomo a Milano sventolando bandiere turche, siriane, palestinesi, etc, e intonando slogan di odio contro l’Italia e gli italiani hanno alle spalle più di un ciclo scolastico – condizione che per qualcuno, purtroppo anche forze di governo, dovrebbe essere sufficiente a garantire la concessione della cittadinanza. Anzi, molti dei ragazzi magrebini visti in piazza potrebbero già averne diritto a norme vigenti, al compimento dei 18 anni. Il che non può che inquietare.
Cittadinanza più difficile
Al governo Meloni va dato atto di aver invertito la rotta e grazie alle sue politiche, per esempio, il numero di sbarchi si è ridotto sensibilmente, passando da 157 mila nel 2023 a 66 mila nel 2024. Se da un lato iniziative come i centri di trattenimento in Albania, volte a scoraggiare le partenze dal Nord Africa, sono senz’altro utili, è però evidente che la situazione sempre più critica nelle nostre città richiede ricette drastiche sia in termini di respingimenti e di espulsioni di massa, sia di gestione dell’ordine pubblico.
Norme più restrittive che consentano espulsioni facili – e non asilo o protezioni internazionali facili come oggi – e che riducano la discrezionalità dei magistrati, le cui decisioni andrebbero attentamente “monitorate”. Servirebbe sì una nuova legge sulla cittadinanza, ma più restrittiva di quella attuale. Ci andranno di mezzo anche bravi ragazzi? Sì, è inevitabile, ma purtroppo abbiamo a che fare con una brutta “bestia” e non sparirà dopo qualche bel discorso di fine anno.
Andrebbe trovato un modo anche per differenziare il trattamento a seconda dei Paesi di provenienza, perché è sotto gli occhi di tutti che l’integrazione di soggetti provenienti da Paesi di religione e cultura islamiche o dell’Africa subsahariana è pressoché impossibile.
Per fortuna il vento negli Usa, con la rielezione di Donald Trump, ma anche in Europa, sta cambiando. Il governo Meloni e i partiti che compongono la maggioranza dovranno farne tesoro e spiegare le vele, sono ancora in tempo per far parte della soluzione e non diventare parte del problema (com’è accaduto ai Conservatori britannici). Ma devono darsi una mossa.