La stanchezza della guerra: non abbandonare gli ucraini ma nemmeno gli italiani

Sarebbe un errore ignorare le preoccupazioni per gli effetti della guerra e delle sanzioni, ma un errore più grande smarrire la bussola euro-atlantica

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Sono passati poco più di dieci mesi dall’inizio della “operazione militare speciale” voluta da Vladimir Putin in Ucraina. E gli italiani stanno iniziando a mostrare segni di insofferenza per l’aumento delle bollette, e in generale del costo dell’energia, in parte dovuti alle sanzioni adottate da Stati Uniti e Ue per cercare di indebolire il tessuto economico russo.

Il sondaggio

Per toccare con mano il pessimismo e la disaffezione che serpeggiano ormai da settimane nella nostra opinione pubblica basta consultare l’ultimo sondaggio di Nando Pagnoncelli, pubblicato sul Corriere della Sera del 3 gennaio, secondo cui il 47 per cento degli italiani – quasi la metà della popolazione – non voglia schierarsi né con la Russia né con l’Ucraina.

Uno scenario che sarebbe apparso surreale se non addirittura impossibile lo scorso 24 febbraio, quando le principali forze politiche nazionali (anche chi, nei mesi successivi, avrebbe invitato gli ucraini a deporre le armi nel nome di un pacifismo peloso e strumentale) condannarono all’unanimità le azioni di Putin.

Gli effetti delle sanzioni

Prima di continuare, occorre una doverosa premessa: sarebbe politicamente suicida per il governo Meloni ignorare i timori di ristoratori, commercianti e piccoli imprenditori, a maggior ragione se questi ultimi costituiscono una larga fetta dell’elettorato di centrodestra.

Coloro che risentono degli effetti delle sanzioni, un’arma a doppio taglio, dannosa tanto per i russi quanto per noi occidentali, devono essere sostenuti, non lasciati soli. E soprattutto dovrebbero essere risparmiate lezioni di moralità a chi, sull’onda della disperazione per se stesso e per la propria famiglia, auspica la fine immediata del conflitto.

Anche perché, come ammoniva Giulio Andreotti, “molti di coloro che parlano di etica a forza di discuterne non hanno poi il tempo di praticarla” (tutt’altro discorso vale per i russofili spontanei e spintanei che “orsineggiano” nei talk show, cavalcando il malcontento popolare).

Scelte impopolari

Eppure, talvolta, nella storia passata e presente, le circostanze hanno richiesto (e forse richiedono tuttora?) scelte divisive, laceranti, impopolari, ma non per questo sbagliate. Anzi. Si pensi a ciò che accadde durante gli anni di piombo, quando il pentapartito al governo rifiutò di scendere a patti con i brigatisti per provare a ottenere la scarcerazione di Aldo Moro.

Dall’eventuale trattativa fra Stato e terroristi sarebbe germinato un precedente, reiterabile e dunque pericoloso: i sequestri e le potenziali vittime sarebbero state innumerevoli. Allora come in altri casi, pochi ma non pochissimi, la ragion di Stato prevalse.

La lezione del Covid

Una lezione importante che, ahinoi, non è stata perseguita dalla nostra classe politica (tutta: di destra e di sinistra) in tempo di Covid, quando abbiamo sacrificato la libertà alla salute, il coraggio alla viltà, l’onore alla codardia. Quando, insomma, abbiamo rinunciato alla vita per paura della morte.

Dovrebbe tenerlo bene a mente chi ancora oggi parla di “modello italiano”, nonostante numerosi studi ne abbiano confermato l’inefficacia, come la ricerca di itinerari previdenziali di cui ha meritoriamente dato conto Maurizio Belpietro su La Verità del 2 gennaio.

Durante la pandemia, la politica si fece travolgere dall’emotività. Fomentò il panico anziché contenerlo, assecondando la narrazione allarmistica di alcuni virologi attirati dalla luce dei riflettori. Ma soprattutto scelse di imboccare la strada più semplice, ignara delle conseguenze che ciò avrebbe provocato, specialmente sui più giovani, letteralmente privati di due anni di vita.

La bussola dell’Occidente

Oggi, Giorgia Meloni non deve ricadere nello stesso (tragico) errore: inseguire il consenso può essere fruttuoso nel breve periodo, ma con il passare del tempo rischia di rivelarsi un boomerang.

Il fatto che quasi il 50 per cento degli italiani mantenga una posizione equidistante fra Russia e Ucraina non deve indurre la destra a cambiare posizione sul conflitto in corso. Per una ragione di merito e due metodo.

Primo, l’Italia non può prescindere dai suoi storici partner internazionali, che fungono da garanzia per la nostra sicurezza e non solo.

Secondo, se Fratelli d’Italia ha conquistato il 26 per cento dei consensi lo scorso 25 settembre è anche grazie alla sua salda collocazione euro-atlantica e alle parole durissime spese contro l’aggressione russa all’Ucraina.

Terzo, i due partiti della coalizione più ondivaghi ed equilibristi sull’argomento, nella fattispecie Lega e Forza Italia, sono scesi – non solo per questo motivo, è ovvio – all’8 per cento. Giorgia Meloni non smarrisca la bussola dell’Occidente. Anche se in futuro dovesse pagarne il prezzo in termini elettorali.

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