Il discorso dell’Andalusia di Giorgia Meloni è, ormai, un classico. Soprattutto i suoi Sì e No, contraddistinti da cristiana chiarezza:
“Sì alla famiglia naturale, no alla lobby LGBT! Sì all’identità sessuale, no all’ideologia gender! Sì alla cultura della vita. No all’abisso della morte. Sì all’universalità della Croce. No alla violenza dell’Islamismo. Sì ai confini sicuri. No all’immigrazione di massa. Sì al lavoro della nostra gente. No alla grande finanza internazionale!”
Le menti benpensanti del 2022 hanno letto solo il primo Sì e il primo No (famiglia naturale contro lobby LGBT) ed è bastato questo per parlare di ritorno al fascismo. Ma voler ben vedere non è la ricerca dell’identità, la protezione della tradizione e della famiglia naturale che dovrebbero far scandalo.
A prescindere dalla difficoltà ad identificare una precisa “lobby LGBT” (alquanto trasversale, ai giorni nostri), quelle parole potrebbero e dovrebbero essere pronunciate da qualunque leader popolare e democristiano, se solo si ricordasse di esserlo.
La vera anomalia
Quel che è anomalo, invece, per un leader conservatore del XXI secolo, è il riferimento alla “grande finanza internazionale” intesa come nemico da combattere. Abbiamo quindi di fronte un nuovo progetto ostile al libero mercato, al capitalismo, alla globalizzazione.
Il fatto che la finanza internazionale venga vista come un’entità che fa perdere “lavoro alla nostra gente” e soprattutto che venga mischiata assieme agli altri grandi draghi da abbattere (la lobby LGBT, l’ideologia gender, l’abisso della cultura della morte, la violenza dell’islamismo, l’immigrazione di massa) legittima tutte quelle tesi che interpretano il capitalismo, soprattutto il capitalismo finanziario, come ente corruttore del mondo.
Vecchie teorie cospirative
Ai tempi della crisi migratoria, ad esempio, questo cortocircuito si manifestò in tutta la sua irrazionale bruttezza. Invece che guardare alla responsabilità di ong e governo italiano, “chi la sapeva lunga” puntava il dito su Soros e Rothschild, la cui unica colpa era quella di dar soldi anche alle suddette ong.
Così, sempre chi, da destra “la sapeva lunga” era convinto che la grande ondata di emigranti dall’Africa fosse pianificata dai grandi finanzieri. Per cosa? Per ottenere tutti gli altri loschi scopi, inclusi l’avanzamento dell’agenda LGBT, del gender, della cultura della morte e dell’islamismo (e di altre forze scristianizzanti), oltre che per rendere noi italiani perennemente disoccupati.
È anche inutile soffermarsi ad esporre l’irrazionalità di queste tesi e dimostrare che non stanno in piedi, perché si fondano su una serie di nessi casuali fra eventi e dottrine fra loro non correlati. È utile invece ricordare che si tratta della riedizione in chiave millennial di antiche teorie cospirative diffuse prima in ambiente reazionario, poi fascista e nazista, dai Savi di Sion al Piano Kalergi.
Il rischio di fare i comunisti di destra
Da Giorgia Meloni ci aspetteremmo che esca da quel tunnel ideologico, buono per alimentare l’odio delle masse, ma non per governare un Paese europeo moderno. L’unico modo per uscire dal tunnel è abbracciare il capitalismo.
Non si tratta solo di predicare l’abbassamento delle tasse: per quello sono bravi tutti (a dirlo, non a farlo). Si tratta invece di smontare tutti i miti contro il capitalismo e contro la globalizzazione che ancora albergano in gran parte della destra italiana, in questo periodo ancor più che nella sinistra.
Ad esempio non deve essere più ritenuto accettabile che esponenti della cultura e della politica di destra citino Marco Rizzo (stalinista) o Diego Fusaro (marxista) per indicare al Pd esempi di sinistra “genuina”. Genuina per chi? E per arrivare a cosa? Per dire che “i veri comunisti siamo noi a destra”?
Ascoltare i lunghi sproloqui filosofici di Fusaro contro il turboliberismo o invitare Ilaria Bifarini (“bocconiana redenta”) per ascoltare le sue tesi terzomondiste e anticapitaliste, che valore aggiunto dà alla destra, rispetto alla sinistra massimalista?
Quelle sono precisamente tutte le tesi che, anche se adottate col contagocce dagli ultimi governi, stanno comunque condannando l’Italia al sottosviluppo, ad essere l’unico Paese in area Ocse in recessione (da prima del Covid e della guerra in Ucraina).
Una destra moderna dovrebbe correggere gli errori dei governi di sinistra, non amplificarli rendendoli più coerenti.
Più credibilità sui temi identitari
Una destra finalmente smarcata dal vecchio pregiudizio anti-capitalista, avrebbe anche modo di parlare con più efficacia degli altri temi più cari al conservatorismo. Perché potrebbe affrontare le lobby LGBT, così come quelle che promuovono aborto ed eutanasia, da pari a pari, nel mercato delle idee, opponendo lobby conservatrici alle loro.
Potrebbe affrontare l’immigrazione nell’unico modo razionale possibile: interrompendo la catena statalista della solidarietà (lo Stato che rimborsa le ong e le cooperative che a loro volta fanno lobbying per aprire le frontiere), da una posizione liberale e non “razzista”.
E combatterebbe meglio anche l’islamismo, individuandone i centri di finanziamento negli Stati stranieri, senza vietare nulla dei nostri investimenti, ma opponendosi a quelle iniziative statali turche o qatariote, ambigue sul terrorismo ed esplicite quando puntano alla nostra colonizzazione culturale.
Per combattere una battaglia razionale, per avere un conservatorismo serio, serve uno sforzo in più e il coraggio di liberarsi di una vecchia e scomoda base elettorale. Che è minoritaria, comunque, e che condanna la destra italiana alle “fogne”, cioè ad un ruolo di opposizione perenne e di legittimità vigilata. Almeno da Giorgia Meloni ce lo possiamo attendere questo salto di qualità?