Politica

L’antifascismo comunista rubacchia mentori e martiri dalla cultura socialista

L’antifascismo di Matteotti non era certo quello di Gramsci e Togliatti. I comunisti coltivavano un’utopia che avrebbe significato la sovietizzazione del Paese

Antonio Scurati (La7)

Mi pare strano che uno storico come Antonio Scurati, che si è dedicato ad una fortunata ricostruzione di Benito Mussolini, tanto fascinosa da sembrare romanzata alla giuria del Premio Strega, non abbia colto come una stessa parola possa aver rivestito un diverso significato, a cominciare proprio da “anti-fascista”.

Il vero Matteotti

Comincia il suo stracitato monologo, richiamando l’assassinio di Giacomo Matteotti, per poi planare sulle tre più grandi rappresaglie naziste, Fosse Ardeatine, Marzabotto, Sant’Anna, concludere infine con la richiesta rivolta al presidente del Consiglio di dichiararsi pubblicamente antifascista. Con fine ironia, Marco Travaglio ha osservato, che alla fine se la Meloni si convincesse, ne ricaverebbe in più l’accusa di essere bugiarda, ma non è questa la questione rilevante, ma in che senso dovrebbe soddisfare la richiesta.

Se si dovesse ripartire da Matteotti, l’uomo a cui Riccardo Nencini ha dedicato una biografia, intitolandola significativamente “Solo”, il suo antifascismo non era certo quello di Gramsci e Togliatti, per i quali era un social-fascista, battezzato “Pellegrino del nulla” e, rispettivamente “Social traditore”. In una sua lettera ai compagni comunisti, Matteotti tracciava una linea fra riformismo e massimalismo, sottolineando come non ci fosse nulla di comune fra loro, come non ci sarebbe stata nell’opposizione al sorgente regime, anzi si intravede la critica per cui la nascita del PCI avrebbe facilitato l’ascesa di Mussolini.

Matteotti non può essere citato come un martire dell’antifascismo comunista del primo Dopoguerra, ma neppure dell’antifascismo del secondo Dopoguerra, che trova a suo protagonista sempre “il migliore”, che lo ha coltivato per poter coprire sotto la comune battaglia condotta contro il nazifascismo il referente ideologico, politico, economico costituito dall’Urss, con a suo coerente sviluppo l’appoggio incondizionato alla feroce repressione nei confronti delle “democrazie progressiste” dell’Est.

La pretesa del Pd

Certo, il Pd di oggi non è il PCI di ieri, ma, dato che pretende sempre che un governo diverso dal suo debba fare i conti con il proprio passato, con un refrain sempre uguale, da De Gasperi a Craxi, da Berlusconi alla Meloni, sarebbe bene che li facesse davvero, dicendo chiaramente che i padri fondatori avevano avuto torto marcio.

Sono un vecchio signore, cui l’età ha concesso il privilegio di seguire di persona l’intera sequenza della nostra storia, essendo nato nel 1938, avrei solo da raccontare un tremendo episodio di sangue da parte dei partigiani all’indomani della liberazione, ma sono stato un socialista, ho conosciuto l’arrogante sicurezza dei compagni comunisti: no al piano Marshall, no all’Europa nascente, no alla Nato, tutto e sempre all’insegna dell’antifascismo, quello stesso che senza alcuna autocritica, che significa rinnegare la propria storia, rubacchia dall’autentica cultura socialista mentori e martiri.

Certo, i comunisti sono stati pars magna nella Resistenza, ma al di là della loro determinazione di collaborare a liberare l’Italia di un regime soffocante, coltivavano un’utopia che, se si fosse realizzata, avrebbe significato la sovietizzazione del Paese.

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