Politica

L’antifascismo di maniera del Pd, foglia di fico sotto cui nasconde il suo vuoto

E perché Elly non si dice anticomunista? In gioco libertà di opinione e manifestazione: ecco cosa dicono Costituzione, Legge Scelba e Legge Mancino

Schlein Acca Larenzia (La7)

Chi è carico d’anni come il sottoscritto, sa perfettamente che l’antifascismo di maniera è stato la foglia di fico sotto cui il Pci ha cercato di coprire le pudenda di uno stalinismo praticato a tutto campo, sì che solo chiederne la condivisione costituisce alla lettera una provocazione nei confronti di qualsiasi altra forza politica, fosse pure nata dalle ceneri del Msi.

Svuotamento ideale

Il progressivo svuotamento ideale e programmatico nel processo che ha seguito la svolta della Bolognina, è ben testimoniato dal tormentato e tormentoso cambio di nome, Pds, Ds, Pd, quest’ultimo coincidente con il de profundis dell’Ulivo, culminato nella nomina a segretaria di una radical chic iscrittasi al partito solo poco prima dell’investitura.

Il vuoto pneumatico così creatosi è stato per così dire riempito da un rilancio ossessivo dell’antifascismo a fronte di una robusta maggioranza di centrodestra, costruita su una figura femminile di sicura presa popolare, sì che si passa da una denuncia all’altra, come se si fosse sempre alla vigilia di una seconda marcia su Roma.

Costituzione e Legge Scelba

Se si deve giudicare dai sondaggi la cosa ha finito per stancare, ma c’è di più, perché sì è giunti a coinvolgere la stessa libertà di opinione, uno dei cardini di una costituzione democratica come la nostra, che, come tale, è di per sé contraria ad ogni dittatura, fascista o comunista che sia. Di certo c’è che la XII disposizione transitoria, che introducendo una eccezione alla libertà di formare un partito, sancisce nel suo primo comma esplicitamente il divieto di “riorganizzazione sotto qualsiasi forma il partito fascista”.

Ma la prudenza con cui si è mosso il padre costituente vis-à-vis della limitazione di diritti fondamentali, risulta dal secondo comma, per cui si prevede l’introduzione per legge di una deroga all’art. 48, consistente in limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per “i capi responsabili del regime fascista”, ma “per non oltre un quinquennio dall’entrata in vigore della Costituzione”.

E in attuazione della XII disposizione transitoria venne varata la legge n. 645/1952, nota come legge Scelba dal nome del ministro dell’interno che ne fu il proponente. Essa, articolata su una decina di articoli, riguardava solo il primo comma della XII disposizione, cioè la ricostituzione del partito fascista, configurabile ai sensi dell’art. 1 quando “una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando violenza, quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza o svolgendo propaganda razzista ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista”.

Un articolo che doveva fare da referente di due altri reati, tali da ampliarne ulteriormente l’ambito: apologia del fascismo e manifestazioni fasciste. Risultava punibile per l’art. 4 “chiunque fa propaganda per la costituzione di una associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità indicate nell’art. 1”; e per il successivo art. 5 “chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali al disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni fascista”.

A dire il vero la chiamata in causa da parte della magistratura penale non riguardò la ricostituzione del partito fascista, che avrebbe potuto avere come destinatario il Msi fondato nell’immediato Dopoguerra, certo per il non facile riscontro della fattispecie penale, ma anche per il carattere di precedente pericoloso in un contesto politico caratterizzato dalla contestuale presenza di un Pci ancora abbarbicato sulla lotta di classe. Ci si avvalse degli art. 4 e 5, con riferimento all’uso del saluto romano in cerimonie pubbliche, tipico quello della chiamata “del presente” in commemorazioni di personaggi fascisti, poi di caduti per mano di terroristi di sinistra.

Risultava evidente che il richiamo a tali articoli 4 e 5 poteva porsi in contrasto con la libertà di opinione e manifestazione del proprio pensiero di cui all’art. 21 Cost., come venne riconosciuto dalla Corte costituzionale in due sentenze del 1957 e 1958, relative rispettivamente agli articoli in questione.

Secondo una interpretazione ancorata proprio alla XII disposizione transitoria, cui la legge Scelba voleva dare attuazione, l’apologia del fascismo e le manifestazioni fasciste non erano punibili di per sé, ma solo ed in quanto risultassero propedeutiche, in ragione del contesto o dell’ambiente, alla ricostituzione del partito fascista.

Legge Mancino

La vicenda, si può dire, venne riaperta dalla legge Mancino del 1993, dal nome dell’allora ministro degli interni, che patrocinò il decreto-legge poi debitamente convertito, che al suo art. 2, comma 1, punisce “chiunque, in pubbliche riunioni, compie manifestazioni esteriori o ostenti emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazione, associazione, movimento o gruppo di cui all’articolo 3 della legge 13 0ttobre 1975, n. 654”, cioè “avente fra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, razionali o religiosi”.

E qui proprio con particolare riguardo alla fattispecie costituita da celebrazioni commemorative di giovani neofascisti assassinati da appartenenti a formazioni di sinistra estrema, la stessa giurisprudenza di legittimità si è divisa, con la tenenza ad assolvere in forza dell’art. 5 della legge Scelba o a condannare in base all’art. 2 della legge Mancino.

Di fatto in vista di una possibile condanna, per privilegiare la legge Scelba era necessario provare l’esistenza di “un pericolo concreto”, quale dato dall’essere le celebrazioni commemorative propedeutiche alla ricostituzione del partito fascista; mentre per privilegiare la legge Mancino bastava accertare la presenza di “un pericolo astratto”, quale costituito dall’essere le celebrazioni caratterizzate da manifestazioni e simboli propri di formazioni discriminatorie e violente come per antonomasia quelle neofasciste. Non occorre specificare che la scelta risentiva volta a volta della composizione e dell’orientamento politico del collegio giudicante.

La Cassazione

A questo punto la stessa Corte di Cassazione, ben consapevole della ricaduta negativa di una simile oscillazione giurisprudenziale in una realtà come la nostra ancora tenacemente divisa sulla presenza o meno di una rinascita del fascismo, ha scelto di chiamare in causa le Sezioni Unite e, sottoponendo loro il quesito “Se la condotta consistente nel portare in avanti il braccio nel saluto fascista, evocativa della gestualità tipica del disciolto partito fascista, tenuta nel corso di una manifestazione pubblica, senza la preventiva identificazione dei partecipanti quali esponenti di una associazione esistente che propugni gli ideali del predetto partito, integri la fattispecie di reato di cui all’art. 2 d. l. 26 aprile 1993, n. 122, convertito dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, ovvero quella prevista dall’art. 5 legge 5 giugno 1952,n. 645; se entrambe le disposizioni configurino un reato di pericolo concreto o di pericolo astratto e se le stesse siano fra loro in rapporto di specialità oppure possono concorrere”.

La risposta delle Sezioni Unite, così come deducibile dall’anticipazione del dispositivo, non sembra dare una risposta netta alla questione sottopostole, sì da dover attendere la motivazione, che, però, si prospetta relativamente aperta, sì da lasciar area di manovra alla discrezionalità ermeneutica della magistratura penale. Se considerata alla luce della netta alternativa con cui è stata formulata la questione sottoposta alle Sezioni Unite, fra l’art. 5 della legge Scelba e l’art. 2 della legge Mancino, la prima parte della soluzione adottata suonerebbe univoca a favore dell’art. 5 della legge Scelba: “La condotta tenuta nel corso di pubblica manifestazione consistente nella risposta alla chiamata del presente e nel saluto romano, rituali entrambi evocativi della gestualità propria del disciolto partito fascista, integra il delitto previsto dall’art.5 della legge 20 giugno 1952, n. 645,ove, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idonea ad integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista, vietata dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione”.

Solo che la seconda parte della soluzione adottata dà l’impressione di rimettere in gioco l’art. 2 della legge Mancino, dato che “a determinate condizioni, anche il delitto previsto dall’art. 2 del decreto legge 26 aprile 1993, convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 1993n. 205 che vieta il compimento di manifestazioni esteriori, proprie o usuali di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno fra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.

Tenuto presente che nella stessa questione sottoposta alle Sezioni Unite si escludeva comunque dalla copertura dell’art. 5 della legge Scelba l’ipotesi che ci fosse una “preventiva identificazione dei partecipanti quali esponenti di una associazione esistente che propugni gli ideali del predetto partito”; tenuto presente questo, sembra doversene dedurre una fattiva e visibile adesione dei partecipanti ad una organizzazione esistente vietata proprio dall’art.  2 della legge Mancino, per aver promosso, patrocinato coi suoi simboli, mobilitato i suoi aderenti.

Per di più in chiusura, le Sezioni Unite escludono la rilevanza di alcuni marchingegni adottati dalla giurisprudenza penale per differenziare l’applicabilità della legge Scelba o della legge Mancino: ritenere sussistente fra le due norme un “rapporto di specialità”, con la prevalenza della prima rispetto alla seconda, in quanto speciale; ammettere la concorrenza fra le due fattispecie “sia materialmente che formalmente in presenza dei presupposti di legge”.

Libertà di opinione

Non resta che darsi un arrivederci al momento della pubblicazione della motivazione, ma, riprendendo la notazione fatta all’inizio, c’è da enfatizzare come sia in gioco la libertà di opinione e di manifestazione del proprio pensiero che risalta in particolare quando riguarda posizioni non solo minoritarie ma anche pesantemente critiche rispetto alla stessa Costituzione, sempre che non costituiscano istigazione a commettere un reato o non siano accompagnate da violenza.

Di per sé solo un passato fascista o neofascista non può essere considerato una condanna ad una marginalizzazione giuridica dalla vita politica, se è vero, come è vero che, a quanto ricordato sopra, lo stesso costituente nello scrivere la XII disposizione ha escluso la eleggibilità dei “capi del regime fascista” per non più di un quinquennio dall’entrata in vigore della Costituzione.

Accusa strumentale

A stare all’attuale Pd, che continua a vivere di rendita con la continua allerta del “fascismo alle porte”, il passato rileva perché continuamente richiamato dal presente, oggi più che mai con un governo di centrodestra fortemente radicato nel consenso del Paese. Ma, a rivelarne la strumentalità, basti dire che a fronte dell’accusa del convergere di tutta l’attività riformatrice del governo verso una capo-democrazia, sembrerebbe bastare una semplice affermazione della Meloni di essere antifascista.

Naturalmente, in una prospettiva di scambio, Elly Schlein a sua volta dovrebbe ammettere di essere anticomunista, cosa che si potrebbe immaginare aver luogo nel programmato dibattito televisivo. Solo rimane dell’amaro in bocca, che cioè una grande democrazia, come senza dubbio è quella italiana, alla distanza di tre quarti di secolo dalla fine del regime fascista, debba aver paura di celebrazioni commemorative fatte secondo un rituale in linea con le idee dei giovani assassinati da altri giovani di estrema sinistra peraltro mai identificati.

Mi sentirei di dire che la nostra democrazia è più forte di quanto il Pci/Pds/Ds/Pd credono o fanno finta di credere, rivendicando a sé il ruolo di guardiani a fronte di ogni presunta deriva autoritaria. Solo che, oggi come oggi, se gli si nega questo ruolo, come del tutto artificioso, che cosa gli resta.

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