No, cerchiamo di capirci. Dalle grandi manovre della sinistra trapela un concetto condiviso tra tutti loro: si cerca di portare l’elettorato di qua e di là, come se fossero sacchi di patate.
Elettori da educare
I nostri ex comunisti, socialisti o democristiani, perché questi abbiamo a sinistra, sono talmente avvezzi a considerare il loro elettorato alla stregua dei mentecatti, che proprio non intendono un concetto chiaro e dirimente della politica in democrazia: non sono gli elettori a dovere assecondare le bizze e le giravolte dei loro rappresentanti in Parlamento, ma l’esatto contrario.
In un sistema parlamentare civile (non dico perfetto perché la perfezione in politica non esiste), chi si presenti al voto per ottenerlo da una vasta massa di elettori non dovrebbe mai dimenticare di utilizzare, se proprio non volesse utilizzare la testa, almeno gli occhi e le orecchie, piuttosto che la lingua sciolta e le veloci dita da social media.
Sembrano così lontani i tempi in cui i politici erano buoni osservatori della società, sempre dinamicamente mutevole a causa della variazione della percezione di benessere dei consociati, e da tali pratiche sapevano trarre la loro linea politica.
Oggi accade, soprattutto nella salottiera sinistra nostrana, l’esatto contrario: si tira per la giacchetta il povero e sfessato elettore per farlo aderire ai loro principi (in quest’ultima parola mettete voi l’accento sulla prima o seconda “i”). Si parte, dunque, da uno sconsolante assunto: l’elettore è un idiota da educare e indirizzare dove loro hanno deciso che debba andare.
Nemmeno i dittatori
Tale insostenibile andazzo, oltretutto, non è nemmeno tipico delle ultime dittature che abbiamo visto o subito negli ultimi due secoli. Il dittatore, se mi passate il termine, “moderno”, semplicemente, della gente se ne frega altamente e mira unicamente al culto della propria prorompente personalità.
A differenza dei tribuni della plebe, gli autocrati degli ultimi tempi non ascoltano minimamente i propri referenti sul campo. Che si chiamino Putin o Xi Jinping, o in altro modo impronunciabile, cambiano i metodi, ma non la sostanza: l’opinione pubblica conta zero e la giustificazione del ”bene comune” è del tutto scomparsa dai loro discorsi.
In tali attuali schemi neo-dittatoriali, l’unica manifestazione (obbligatoria) del consenso, nonostante la smaccata negazione dei più importanti diritti individuali, consiste nelle manifestazioni di massa, talmente tarocche e preconfezionate da apparire quasi ridicole, e forse soltanto tale caratteristica li accomuna alle dittature più “classiche”.
Le due categorie della sinistra
Quindi, se nemmeno ai veri dittatori interessa più orientare politicamente i loro sudditi, limitandosi a guidarli, a quale schema sociopolitico potremmo perlomeno accostare i nostri post-comunisti (comunisti veri, passati, mancati, aspiranti, inconsapevoli che siano), più o meno travisati da “veri democratici” o da “progressisti”?
Bella domanda. Forse, ma non v’è certezza assoluta, a due sole categorie: gli antagonisti e gli arrabbiati, categorie che talvolta si fondono in una danza che sarebbe troppo perfido definire simile a quella macabra di Camille Saint Saens e che, di conseguenza, potremmo assimilare alla break dance, nella quale si gira sulla testa come forsennati più che usarla, quella che si pratica nei posti meno adatti, in cui ci si abbandona ad istinti primordiali.
Gli antagonisti
Alla categoria degli antagonisti possiamo ascrivere quella consistente parte dei sinistri il cui programma, alla fine della fiera, è quello di opporsi alle non meglio specificate “destre”. Più in là, ma, soprattutto, più in profondità di quello, non sanno andare.
Copiando il mantra del primo Bossi, il quale, prendendosela coi “terroni” in genere riscuoteva i suoi incontestabili successi (nel suo caso soltanto al Nord), prendersela con “le destre” parrebbe oggi un valido programma elettorale, basato, quindi, più che sui propositi, sulle percezioni personali di quella pressappoco metà degli italiani che hanno la matita copiativa che va istintivamente a sinistra, da sempre.
Gli arrabbiati
Alla categoria degli arrabbiati appartiene, invece, l’altra parte dei politici (e, talvolta, degli elettori) di sinistra. È una categoria molto più interessante, per i sociologi. Gli arrabbiati, si sa, sono sempre moltissimi, per le più svariate ragioni.
Cavalcare lo scontento è da sempre una pratica semi-sportiva praticata anche a destra. Ma la distinzione qualificante per il gruppo dei partiti (assai variabile, per la verità) a cui appartengono gli arrabbiati che sbraitano di più è quella di suggerire, addirittura con la propaganda subliminale della tv, del cinema, dei social e del mondo dello spettacolo, che qualcuno ha rovinato l’Italia e la starebbe riportando ad un Medioevo, della cui storia e dei cui enormi progressi, anche sociali, non conoscono un accidente.
La musica sembrerebbe questa: arrabbiatevi con chi ha rovinato il nostro Paese, che era tanto bello, civile, tranquillo e ricco, quindi scegliete noi che siamo incazzati come voi. Ad essere sinceri, anche da destra si sente spesso qualcosa del genere, ma (un ma esiste sempre) l’arrabbiatura che risuona a destra è sempre rivolta a fatti molto recenti e di agile memoria, quasi sempre a ministri ben indicati: chi ci ha fatto vaccinare tutti, sostanzialmente, per obbligo di legge, chi accoglie i profughi senza troppi controlli, chi ha causato l’aumento del prezzo della benzina.
Gli arrabbiati di sinistra no, loro ce l’hanno su, come dicono a Milano, con le frequentazioni personali di Berlusconi di oltre vent’anni fa, oppure con chi aveva il nonno fascista. A nulla serve ricordare loro che qualcosina di buono la fece pure Berlusconi, come l’eliminazione della tassa di successione per i parenti di primo grado, tanto per dirne una che ha riguardato tutti noi, ed altrettanto inutile ricordare che il celebratissimo Eugenio Scalfari, scomparso pochi giorni fa, fu egli stesso un fervente fascista, come altri campioni della sinistra con le scarpe Clarks lo furono, convintamente, all’epoca.
La sinistra sembra avere una memoria lunghissima, e lo dimostra mantenendo un armamentario ideologico fermo agli anni ’50 del secolo scorso, al quale nemmeno i Calenda e i Renzi, ultime espressioni del post comunismo, sanno rinunciare.
Gli arrabbiati di sinistra spesso confondono le date, i presidenti del Consiglio, i ministri e, soprattutto, gli estensori delle leggi che maggiormente detestano. Ma che importa? Essere costantemente incazzati, rivoluzionari, affamati e folli, in ossequio alla colossale fesseria detta da un interessatissimo Steve Jobs – che, peraltro, ha venduto milioni di suoi prodotti a tantissimi che li hanno acquistati unicamente perché sembrava bello comprare il telefonino ed il pc da lui, diventando per anni l’uomo più ricco al mondo.
Anche Berlusconi lo fu per anni in Italia, con la differenza che fu anche il primo contribuente del nostro Paese, ma dargli dell’evasore e del puttaniere da strapazzo fa ancora figo è ancora in uso nella sinistra più engagèe, quella che piace alla gente che piace.
Altro cavallo di battaglia di tanta sinistra è rappresentato dal dare addosso a Giorgia Meloni, e non già per ciò che dichiara di voler fare se dovesse vincere le elezioni, ma perché la trovano popolana, bassa, bruttina, con un inglese che nemmeno si avvicina a quello oxfordiano di Renzi.
Bisogna essere arrabbiati perché tali persone esistono, questo sembrerebbe il concetto. Che prendano uno sfracello di voti non rileva minimamente, così la pensano i “veri democratici”. Chiedono il voto perché questo è un mondo di m… e loro sono molto arrabbiati.