Nella giornata di ieri, a Roma, si è svolta la manifestazione “Europe for Peace”. Pur senza bandiere di partito – ma molte bandiere rosse, arcobaleno e palestinesi – hanno partecipato anche il Partito democratico ed il Movimento 5 stelle.
Conte per la pace
In particolare, tra le voci di questa manifestazione si è distinta quella dell’ex premier Giuseppe Conte, che ha posizionato il suo movimento per lo “stop all’invio di armi all’Ucraina”, “vogliamo un negoziato di pace”. E ancora: il ministro Crosetto ha preannunciato un sesto invio di armi a Kiev, “non si azzardi” a farlo senza coinvolgere il Parlamento, ha intimato l’ex premier.
Per quanto nobili possano apparire tali parole, esse rappresentano perfettamente la semplificazione del dibattito politico in Italia, persino su un tema delicato come quello della guerra in Ucraina. Tali dichiarazioni, beninteso, sottendono un concetto di fondo: da una parte ci sarebbero dei buoni (segnatamente coloro i quali invocano lo stop all’invio di armi) e dall’altra dei cattivi (coloro che con tale iniziativa perpetuano la guerra).
La realtà, tuttavia, è ben lungi da una mera diatriba pacifisti-guerrafondai. Infatti, dichiarazioni del genere appaiono più come una posizione di comodo volta a racimolare i consensi perduti nel corso di questi anni che ad una vera e propria soluzione politica del conflitto.
La strategia di Putin
La strategia di Putin per la conquista dell’Ucraina passa non solo per via bellica, ma anche per quella propagandistica. L’autocrate russo, lungi dall’essere uno sprovveduto, ha pensato bene di adottare una strategia mediatica ben precisa.
L’intento è quello di far credere che se domani cessasse il conflitto, verrebbe ipso facto risolta la crisi energetica. La strategia è dunque quella di attribuire la causa della crisi in Europa, e in particolare del caro-energia, al prolungamento della guerra. E com’è noto, se gli ucraini resistono è anche e soprattutto grazie agli aiuti militari e finanziari occidentali.
Le cause della crisi
Peccato che le cause strutturali della crisi vadano ricercate in due fattori: i lockdown e gli accordi di Parigi per il clima. I lockdown, così amati dai più convinti chiusuristi, hanno portato ad un crollo della domanda di energia, specie delle aziende. Successivamente, una volta superate tali politiche restrittive, con la conseguente riapertura, vi è stato un imponente incremento della domanda.
Il secondo fattore, le politiche climatiche a seguito degli sciagurati accordi di Parigi, con gli obiettivi di drastica riduzione delle emissioni di Co2. Il conseguente disinvestimento nelle fonti fossili ha creato una crisi dell’offerta e una dipendenza dal gas russo, poi venuto meno, facendo schizzare i prezzi alle stelle.
La resa di Kiev
In sostanza, ciò che Putin sta cercando di fare è portare le opinioni pubbliche occidentali a sostenere il disarmo degli ucraini, convincendole che così facendo la guerra cesserebbe e con essa la crisi.
Sebbene supportate dalla Chiesa e animate da buone intenzioni, queste manifestazioni, proponendo lo stop all’invio di armi all’Ucraina, sono ben lungi da una risoluzione del conflitto diversa da una resa di Kiev e una vittoria di Mosca.
Ciò che è necessario, almeno per il momento, è al contrario aiutare la resistenza ucraina, dissuadendo l’autocrate russo dal suo folle piano. L’Ucraina ha compiuto una scelta di campo, quella di adottare un modello di civiltà europeo, i valori di libertà e di democrazia. L’era dell’imperialismo è finita e nessuno ne sente più la mancanza.