Politica

Le università da luoghi di confronto a fucina di censori

Impedire a chi la pensa diversamente di esprimersi rischia di trasformare la vita accademica in uno scontro sterile, rendendo la società più povera e meno libera

scontri Sapienza

Negli ultimi giorni, le piazze universitarie italiane sono tornate a far discutere. Protagonisti della vicenda sono stati due gruppi opposti: da un lato i rappresentanti di un collettivo di destra, dall’altro un gruppo di studenti e manifestanti che, opponendosi alle loro idee, hanno strappato volantini e impedito il regolare svolgimento di un incontro. L’episodio pone una domanda centrale: è giusto limitare la libertà di parola di chi non condivide le nostre opinioni?

L’università, tradizionalmente, rappresenta uno spazio aperto al dibattito e al confronto. È qui che, attraverso il dialogo, si dovrebbero incontrare e scontrare idee diverse, anche radicalmente opposte. Tuttavia, l’episodio in questione solleva interrogativi su quanto questa funzione sia oggi garantita.

La difesa della democrazia

Impedire a un gruppo – in questo caso, un collettivo di destra – di esprimersi, equivale a difendere la democrazia o a limitarla? Per molti studenti contrari alle idee proposte, la contestazione è stata una forma di resistenza contro messaggi ritenuti divisivi o pericolosi.

Quando si decide che alcune opinioni sono indegne di essere ascoltate, si rischia di scivolare in una forma di censura che contraddice i principi della democrazia. Limitare l’espressione di un gruppo ideologico, a prescindere dalle sue posizioni, può legittimare comportamenti simili in futuro, anche contro chi oggi si considera “dalla parte giusta”.

Strappare volantini o impedire eventi è fascista, non chi appartiene alla destra e ha diritto alla libertà di espressione, che non è un privilegio riservato ad una sola parte politica, ma un diritto fondamentale, tutelato dalla Costituzione. Come sottolineano molti studiosi, il conflitto ideologico non si risolve con la censura, ma con il confronto: un processo faticoso, ma essenziale per la crescita democratica di una società. 

La domanda è cruciale: come si difende al meglio la democrazia? Con la censura, che rischia di sopprimere le idee scomode, o con il confronto diretto, che richiede coraggio, competenza e fermezza?

Il caso dell’università, che non è il primo e non sarà l’ultimo, ci invita a riflettere. La libertà di parola è il pilastro su cui si regge una democrazia. Scegliere di difenderla, anche per chi non la pensa come noi, significa credere fino in fondo nei suoi valori universali.

L’accusa di fascismo

Dare dei “fascisti” agli studenti di destra semplicemente per il loro orientamento politico non è solo scorretto, ma anche profondamente vergognoso. Questo tipo di etichettatura denigra il dibattito, semplifica in modo pericoloso la complessità delle idee e tradisce i valori di rispetto e pluralismo che dovrebbero caratterizzare ogni società democratica.

Accusare qualcuno di fascismo significa ridurre a un insulto una grave realtà storica, strumentalizzandola per screditare chi ha posizioni diverse. È un modo di evitare il confronto intellettuale e di trasformare l’arena accademica in uno spazio di scontro sterile, dove chi la pensa diversamente viene demonizzato anziché ascoltato e criticato nel merito.

La democrazia si fonda sul rispetto reciproco, anche tra visioni opposte. Usare parole come “fascista” per delegittimare automaticamente un interlocutore politico non è un atto di progresso, ma un passo verso l’intolleranza. Difendere la libertà di espressione significa anche accettare che le idee diverse dalle nostre abbiano diritto di esistere. Tacitare il dissenso con etichette infamanti non rende una società più giusta, ma più povera e meno libera.