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Le “virostar” nelle liste Pd, conferma dell’uso politico della pandemia

L’arruolamento dei virologi sembra un collegio di difesa nel caso in cui il centrodestra al governo volesse far luce sulle ombre nella gestione della pandemia

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Molto spesso il sedicente complottista è semplicemente uno che ci ha visto giusto ma con eccessivo anticipo rispetto al senso comune e alla accettabilità sociale di una data idea.

E così, nel corso della pandemia, man mano che particolari sempre meno commendevoli e sempre più altamente discutibili venivano disvelati, unitamente ad una robusta dose di critiche alla gestione dell’emergenza, iniziava ad apparire chiaro come gran parte della vulgata prima rubricata con una certa fretta quale ‘complottistica’ iniziasse ad assumere la coloritura della verità. O almeno, della altissima plausibilità.

La politicizzazione della pandemia

Una delle lezioni più dolorose impartite dalla pandemia è infatti quella della e sulla sua intrinseca politicizzazione e sulla sua capacità di incidere in maniera talmente organica, pervasiva, capillare, sulla società da poterla radicalmente modificare in maniera permanente.

Anche sostenere che le misure di contrasto alla circolazione del virus rispondessero ad una agenda politica e ad una visione del mondo che trascendeva il confine limitato della sfera sanitaria era in genere ritenuta considerazione deplorevole e insensata, appannaggio di picchiatelli assortiti.

E dire che persino quando vennero alla luce le limpide asserzioni di Roberto Speranza, messe nero su bianco nel suo libro, si cercarono giustificazioni di ogni tipologia.

Non bisognava essere troppo cinici o dietrologici, si disse, e in fondo pure se il ministro aveva vaticinato con piglio oracolare che la pandemia avrebbe rappresentato occasione per un cambio di marcia e per un ritorno sulla scena della sinistra politica, c’era da capirlo, aveva affrontato a mani nude un virus fino ad allora sconosciuto.

Fortunatamente, o sfortunatamente perché dipende sempre dai punti di vista, il tempo è galantuomo e rende giustizia.

Le virostar candidate nelle liste Pd

Ed ecco così che nella fatidica, e difficoltosa, compilazione delle liste elettorali in vista della tornata del 25 settembre, la componente virologica, sanitaria e anti-pandemica in quota Pd avanza come un rullo compressore.

Proprio Speranza è divenuto in pochissimo tempo autentica cause célèbre: nonostante appartenga ad un altro partito, è stato letteralmente cooptato dal Pd, che punta forte su di lui e gli ha garantito un posto da capolista al proporzionale in Toscana.

Nonostante i posti disponibili si siano drasticamente ridotti, causa taglio del numero complessivo dei parlamentari e i circoli territoriali storcano comprensibilmente la bocca nel trovarsi paracadutati esponenti di altri partiti, il Pd ha dimostrato di voler fare di Roberto Speranza una sua bandiera.

Caso isolato? Ma nemmeno per sogno! In Puglia, troviamo il virologo Pierluigi Lopalco, ex assessore alla sanità della Giunta Emiliano, mentre è notizia di queste ore la freschissima candidatura nella circoscrizione Estero, in Europa, di Andrea Crisanti.

Gli aspiranti candidati

E a confermare, a contrario, la intrinseca politicità di certe scelte, non dettate dalla presunta fama o attrattività né dalla competenza dei soggetti in questione ma da altre motivazioni su cui ci intratterremo in seguito, ci sono le candidature inizialmente ventilate e poi cassate, su altri fronti partitici.

Ecco così Matteo Bassetti promuovere sul versante centrodestra la sua autocandidatura a ministro, senza nemmeno passare per le urne, e venir respinto ad ora con perdite, mentre sul fronte della calendiana Azione sembra aver perso smalto la sia pur inizialmente ventilata candidatura di Walter Ricciardi: una ipotesi smentita da Calenda, che, come usa dirsi, è uomo di mondo e ha fiutato l’aria.

Per carità, i virologi sono cittadini come tutti e i partiti possono candidarne quanti preferiscono: è però certamente curioso dover rilevare come dopo due anni di profluvio comunicativo, di occupazione manu militari dei palinsesti televisivi e delle pagine dei giornali, di consulenze, di dichiarazioni più o meno in libertà rilasciate nel nome, apparentemente neutro e asettico, della scienza, a capitalizzare tutta questa esposizione arrivi il ‘premio’ della candidatura e la definitiva certificazione di una intrinseca politicizzazione di quanto sul fronte pandemico è stato fatto, detto e proposto.

Significativo in fondo, e palese conferma della politicizzazione di cui si discorre, che ad essere candidati non siano stati virologi in quanto tali, ma virologi assurti a qualche celebrità mediatica. Le virostar.

Ammainata la bandiera draghiana

A meno che non si pensi che l’expertise tecnica di questi virologi possa esser utile a una politica destinata a confrontarsi in eterno con le pandemie, la risultante finale di queste candidature sembra essere la legittimazione piena di limitazioni alla libertà, attenzione ossessiva per il controllo di qualunque comportamento, medicalizzazione e sanitarizzazione del vivere civile, elevazione del principio di precauzione a principio cardine dell’ordinamento.

D’altronde, Speranza non è un medico e la sua presenza al Ministero della salute, nonostante l’entusiastico peana della sinistra che ne ha voluto fare una sorta di eroe civile, ha lasciato dietro di sé una evidentissima scia di polemiche, dubbi, storture che andranno chiariti e accertati.

Il Pd punta fortissimo su di lui, punta cioè elettoralmente fortissimo sull’esponente di un altro partito e per farlo passa sopra le proteste delle sezioni territoriali, espunge ben più meritevoli candidati e cementa una alleanza che rimonta agli anni più cupi della pandemia.

Per fare posto alla legione virologica si fa strame degli esponenti più legati all’agenda Draghi, come ad esempio Enzo Amendola. Eppure, è stato proprio il Pd, orfano di Mario Draghi, a volerne rivendicare strumentalmente l’eredità politica, con tanto di manifesto di dubbio gusto, salvo poi ammainare la bandiera draghiana e far salire sul carro estrema sinistra, verdi, ex 5 stelle e ora i virologi.

Far luce sulle molte ombre

Perché? Una spiegazione potrebbe essere che Speranza e pattuglione di virologi debbano costituire una sorta di comitato politico per rinfocolare certe posizioni liberticide, e, cosa più importante, costituire una sorta di task force per controbattere e resistere alla ipotesi che il centrodestra al potere voglia, auspicabilmente, iniziare a veder chiaro su come la pandemia è stata gestita.

D’altronde di interrogativi ce ne sono tantissimi e andrebbe fatta luce, serenamente ma al tempo stesso inevitabilmente, su ciascuno di essi: dai protocolli di cura, o meglio di mera osservazione del decorso della malattia, alla effettiva indispensabilità di un Green Pass trasformato in strumento tiranno capace di egemonizzare ogni singolo aspetto dell’esistenza, dai parchi giochi per bambini nastrati all’utilizzo ormai grottesco della mascherina, in apparenza indispensabile in alcuni casi e inutile in altri, senza che un chiaro e vero criterio scientifico possa soccorrere.

Più che una pattuglia di parlamentari, questi virologi frettolosamente arruolati sembrano un collegio di difesa per cercare di mettere delle toppe a una gestione che in piana evidenza e al netto della propaganda politica di convenienza è stata tutto fuorché perfetta.

Ciò, appare evidente, è anche un invito al centrodestra nel caso dovesse andare al governo: è tempo di accertare le responsabilità politiche, penali, contabili, amministrative, derivanti dai decisioni e scelte che hanno cambiato, probabilmente per sempre, il modo di stare al mondo di moltissime persone.

Si pensi allo sviluppo psicologico dei più piccoli, cresciuti per due anni tra mascherine e comandi imperativi e divieti molto spesso insensati, o le persone che hanno visto i loro diritti spesso limitati o calpestati.

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