La priorità è affrontare il caro-bollette e l’inflazione, ma già in legge di bilancio il governo Meloni dovrebbe indicare un chiaro senso di marcia, anti-tasse e pro mercato, sforzandosi di riformare la spesa pubblica se non vuole fare la fine del governo di Liz Truss.
È quanto suggerisce Lorenzo Montanari, vicepresidente dell’Americans for Tax Reform (ATR), uno tra i più influenti think tank liberal-conservatori in America, fondato nel 1985 su spinta dell’allora presidente Ronald Reagan.
Dal 1985 l’ATR propone a tutti i candidati americani il “Taxpayer Pledge”, una promessa di non aumentare le tasse. Un patto firmato da più del 90 per cento dei Repubblicani che ha permesso e facilitato la recente riforma fiscale del 2017 dell’allora presidente Trump. A livello internazionale l’ATR ha sviluppato un network di più di 140 think tank liberali e conservatori in 80 Paesi.
Riformare la spesa pubblica
TOMMASO ALESSANDRO DE FILIPPO: Ritiene che il nuovo Esecutivo italiano abbia le caratteristiche culturali e politiche adatte per una netta svolta anti-tasse e pro mercato?
LORENZO MONTANARI: Sicuramente sì, ma non di certo nel primo anno di governo, dove l’emergenza numero uno è la crisi energetica e l’inflazione, che si sta mangiando gli stipendi degli italiani.
Se dovessi giudicare la svolta anti-tasse dai contenuti della campagna elettorale, sinceramente mi trova un po’ tiepido. Nonostante si sia parlato tanto di flat tax (e le sue varie percentuali, 15 per cento secondo la Lega, 23 secondo Forza Italia, o incrementale secondo Fratelli d’Italia) non c’è stato un vero e proprio dibattito su una riforma complessiva del sistema fiscale italiano come conseguenza di una riforma organica della spesa pubblica.
Se la classe dirigente non pensa seriamente a riformare la spesa pubblica non si potrà mai affrontare il tema della riduzione delle tasse. La flat tax dovrebbe essere estesa a tutti gli individui e le imprese, ma prima pensiamo alla spesa e ad iniziare un piano serio di privatizzazioni e liberalizzazioni, in pratica un misto di dottrina reaganiana e thatcheriana 4.0.
Comunque, per un Paese come l’Italia, è già un successo avere “sdoganato” la flat tax nella narrativa politica odierna. Il nuovo Esecutivo, di forte matrice atlantista e conservatrice, guidato da una donna, Giorgia Meloni, rappresenta la più importante svolta politica generazionale dal Dopoguerra.
La parola chiave di questo nuovo governo di centrodestra dovrebbe essere semplificazione: del sistema Italia, dell’economia e della vita di tutti noi cittadini.
La legge di bilancio
TADF: Quale suggerimento darebbe a Giorgia Meloni in vista della legge di bilancio? Vede possibile approvare qualche misura liberale già in così poco tempo?
LM: La situazione contingente sicuramente non lascia molti margini di manovra per ingenti riforme economiche nel corso del primo anno di governo.
Il discorso di insediamento del neo primo ministro Meloni suona sicuramente incoraggiante e promettente, perché ha sottolineato l’urgenza di riforme come il presidenzialismo, la semplificazione dei processi amministrativi e un nuovo patto fiscale basato su tre pilastri: riforma fiscale e flat tax; tregua fiscale per cittadini e imprese; lotta all’evasione fiscale.
La legge di bilancio dovrà, per lo meno, dare un chiaro senso di marcia e definire il metodo con cui il nuovo Esecutivo vorrà gestire e traghettare la crisi per tutto il 2023, dove è prevista una crescita dello 0,6 per cento rispetto al 2,4 previsto dal Def.
Ciò significa agire con celerità sulle fasce più deboli, maggiormente colpite dalla crisi energetica e dall’inflazione, penso soprattutto ai quasi 6 milioni di italiani che vivono in una condizione di povertà. Al tempo stesso è imperativo non iniziare nuove politiche assistenzialiste tipo il clientelare reddito di cittadinanza che, secondo la Caritas, “raggiunge poco meno della metà dei poveri assoluti (44 per cento)”.
Per rilanciare l’economia bisogna (1) creare le premesse per una riforma della spesa pubblica e quindi una semplificazione e riduzione del sistema fiscale da attuare durante tutta legislatura; (2) avviare una de-regulation nei settori strategici dell’economia italiana – manifatturiero, telecomunicazioni, energia, innovazione e economia digitale.
Inoltre, (3) facilitare una sana tax competition tra tutte le Regioni italiane. Per esempio, defiscalizzando tutto il Sud Italia con una fiscalità competitiva (tra il 5 e 15 per cento) per attrarre capitali stranieri e nazionali. Un imprenditore deve trovare più conveniente investire in Italia che, per esempio in Serbia o Romania; (4) promuovere una politica pro-famiglia, che faccia tornare la famiglia il nucleo della società italiana, anche grazie a sgravi fiscali; (5) fare dell’Italia l’hub dell’innovazione europea.
Competizione e innovazione
Per fare questo bisogna investire nella competizione, che sappia mettere al centro la proprietà intellettuale, la ricerca scientifica, la digital economy e assecondare la grande opportunità della gig-economy. E in questo caso il Pnrr è una grande opportunità, per rilanciare investimenti nell’innovazione in Italia.
Bisogna creare un ambiente favorevole per i nostri ricercatori e scienziati, quindi investire nel capitale umano.
Oggi l’Italia è solo al 46mo posto (su 129 Paesi), nell’Indice internazionale dei diritti di proprietà e proprietà intellettuale, tra le ultime posizioni tra i Paesi membri dell’Unione europea. Per esempio, una delle priorità del nuovo governo dovrebbe essere battersi affinché Milano possa ospitare il Tribunale Europeo dei Brevetti.
Un’idea di società
Comunque, questa legge di bilancio non solo dovrà affrontare le sfide economiche contingenti ma dovrà fornire le premesse per una idea di società liberale, sussidiaria ed inclusiva che solo un governo di centrodestra potrà porre.
Continuo a credere che un approccio riformatore e liberale sia per il nuovo governo l’unica via percorribile. Bisogna evitare che accada, al neo presidente Meloni, ciò che è accaduto all’ex primo ministro britannico Liz Truss, che a causa di una riforma delle tasse basata sul deficit ha perso credibilità nei mercati internazionali e di conseguenza la leadership, all’interno di un partito già diviso.