I pasdaran giustizialisti non riusciranno a dimenticare l’anno appena trascorso. Il 19 dicembre la Camera dei Deputati ha dato il via libera ad un emendamento alla Legge di delegazione europea 2022-2023 proposto da Enrico Costa, parlamentare ex forzista passato ad Azione nella scorsa legislatura. Favorevole la maggioranza, che ha votato insieme ai deputati del (fu) Terzo polo; contrari Partito democratico, Movimento 5 Stelle, Verdi e Sinistra Italiana. Ora la legge è all’esame del Senato.
Neanche un minuto dopo l’approvazione dell’emendamento Costa sono sorte numerose polemiche. C’è chi teme il rischio di una deriva illiberale, chi ha protestato di fronte a Palazzo Chigi – con il beneplacito del Nazareno – e chi ha addirittura definito il testo una “legge bavaglio”. Ma è davvero così? Per risolvere ogni dubbio, basta dare un’occhiata alla norma.
Nessun bavaglio
Il provvedimento, legato alla direttiva 2016/343 del Parlamento europeo, vieta la pubblicazione testuale delle ordinanze di custodia cautelare e delle intercettazioni fino all’udienza preliminare. Ricordiamo agli indignados che fino al 2017 era proibito divulgare tali contenuti de iure. Tuttavia, in più occasioni le notizie coperte dal segreto istruttorio sono finite direttamente in prima pagina.
La memoria riporta ad un caso emblematico del 1994, quando Silvio Berlusconi scoprì di essere indagato otto ore prima che la Procura di Milano gli notificasse l’avviso di garanzia. Il 21 novembre di quell’anno uscì sul Corriere della Sera l’invito a comparire dell’allora presidente del Consiglio, recapitato il giorno successivo durante una conferenza internazionale sulla criminalità organizzata a Napoli.
Nessun bavaglio, dunque. Si potrà continuare a dare la notizia e a spiegare il contenuto dell’ordinanza cautelare, ovviamente. Sarà vietato ciò che era già vietato fino al 2017, cioè pubblicare testualmente l’atto, pieno di intercettazioni (spesso irrilevanti e al solo scopo di sputtanamento) e di accuse tutte da verificare.
Giornalismo irresponsabile
Tutti i professionisti dell’informazione dovrebbero tenere fede al loro codice deontologico, ma spesso ciò non accade. Se il giornalismo è drogato dalla bulimia speculativa, si corrodono le fondamenta del diritto di cronaca: informare è ben diverso dall’infliggere danni reputazionali a piacimento.
Alcuni editorialisti sono incapaci di distinguere la stampa dalla propaganda e avvertono il continuo bisogno di nemici da combattere. Il risultato? Il circolo vizioso del j’accuse, destinato a evolversi nella sindrome grillina (e paragrillina) dell’uno vale uno; inchieste che scadono nell’esaltazione demagogica, nell’autocompiacimento e nella partigianeria più bieca; infine, la scarsa selezione dei contenuti, con il conseguente abbassamento del livello della testata.
Forcaioli all’attacco
L’esercito dei forcaioli ha allestito un plotone d’esecuzione contro l’emendamento. Il primo a lamentarsi è stato Piercamillo Davigo, ex pm del pool di Mani Pulite. La legge, incostituzionale e piena di buchi, non consentirebbe ai mass media di controllare i contenuti degli atti giudiziari. Fa piacere saperlo sensibile alla sorte degli innocenti, detti anche “colpevoli che l’hanno fatta franca”. Per il Movimento 5 Stelle l’agenda del governo in materia di giustizia è “nascondere o lasciare impunite le malefatte della borghesia mafiosa, dei corrotti, dei comitati d’affari”. Il complottismo pentastellato non finisce mai di stupire.
Ancora: Glauco Giostra, professore ordinario di diritto processuale penale presso La Sapienza di Roma, ritiene inquietante “la tendenza a coprire con le paludate vesti del garantismo insistenti proposte di segreto”. Un principio cardine delle democrazie liberali liquidato hic et nunc. Non parliamo poi della Federazione nazionale della stampa che, oltre ad annunciare scioperi e mobilitazioni in tutta Italia, diserterà la conferenza stampa della premier Giorgia Meloni. Fossi in lei tirerei un sospiro di sollievo.
Intesa per la riforma
Le toghe rosse e le redazioni progressiste non l’hanno presa bene, c’è poco da aggiungere. Di fronte ai nonsense di certo mondo politico-accademico-giudiziario, è bene che il governo trovi l’intesa per una riforma della giustizia con Azione e Italia Viva, le uniche forze d’opposizione che hanno dimostrato interesse al riguardo.
Ne va della credibilità del centrodestra, che si è presentato agli elettori promettendo un radicale ammodernamento del sistema giudiziario. Inoltre, sarebbe un errore imperdonabile non approfittare della competenza di un guardasigilli del calibro di Carlo Nordio. La maggioranza acceleri sull’efficientamento delle procedure, sulla separazione delle carriere e sulla responsabilità civile dei magistrati.
Una norma di civiltà
Qualsiasi legge è in grado di rivelare molti dettagli del proprio autore. L’emendamento approvato è una norma di civiltà, che ribadisce l’importanza della presunzione d’innocenza contro l’accanimento mediatico e giudiziario. Si può comprendere la ratio dell’emendamento solo se si conosce la storia famigliare di Costa. Figlio di Raffaele, ultimo segretario del Partito liberale italiano, il politico ha ereditato dal padre lo spirito garantista e la passione insopprimibile per la libertà.
Non sorprendono quindi le reazioni scomposte di chi, come i deus ex machina dei processi ad orologeria e i calunniatori ossessivo-compulsivi, ha avvelenato il dibattito pubblico sbandierando il feticcio della “rettitudine”. Chiamiamo le cose con il loro nome: danno all’immagine, declassamento, emarginazione dell’imputato. Che piaccia o meno a giudici-pennivendoli-voyeuristi manettari.