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L’hate-speech selettivo: se colpisce la destra non è odio, ma legittima critica

Il doppio standard della sinistra: se il bersaglio non è di destra, allora è odio da censurare. La Commissione Segre, invocata da Veltroni, peggio del ddl Zan

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A circa un anno dall’affossamento del ddl Zan, un disegno di legge liberticida del quale abbiamo più volte spiegato i limiti e i potenziali pericoli, alcuni esponenti della sinistra cercano di perseguire gli stessi obiettivi con mezzi diversi.

Lo scorso 17 novembre, Walter Veltroni — cofondatore del Pd ed editorialista del Corriere della Sera — ha lanciato dalle colonne di Oggi un appello rivolto, solo formalmente, a tutte le forze politiche (in realtà, i destinatari del messaggio erano e sono tuttora soltanto i partiti progressisti: Pd, Sinistra Italiana, Verdi, M5S e Terzo Polo).

La Commissione Segre

Un appello dal forte impatto emotivo: riassegniamo a Liliana Segre, sopravvissuta alla tragedia dell’Olocausto, la presidenza dell’omonima commissione “per il contrasto ai fenomeni dell’intolleranza, del razzismo, dell’antisemitismo e dell’istigazione all’odio e alla violenza”.

La Commissione Segre nacque, nella scorsa legislatura, con 151 voti favorevoli e 98 astensioni (coloro che scelsero di astenersi furono, in larga parte, parlamentari di centrodestra). Si trattava, ovviamente, di una commissione straordinaria che avrebbe esaurito la sua ragion d’essere con lo scioglimento delle Camere.

Quando alcuni parlamentari ne proposero la formazione, la commissione Segre venne criticata — come vedremo con motivi tutt’altro che irragionevoli — da un ampio movimento di opinione, a cui appartenevano intellettuali di ispirazione liberale come il sociologo Luca Ricolfi e l’attuale ministro della giustizia Carlo Nordio.

Queste, in sintesi, furono le critiche: i propositi con cui vedrà la luce tale commissione sono troppo vaghi così come troppo vaga è la definizione dei comportamenti da censurare e da segnalare alle autorità (chi deciderà se una frase pronunciata in televisione o se un commento pubblicato sui social costituisce terreno fertile per comportamenti violenti?).

Le critiche al ddl Zan

Critiche simili verranno mosse qualche mese più tardi al ddl Zan che, della Commissione Segre, è stata una sorta di riedizione light, fortunatamente naufragata al Senato grazie al centrodestra e ad alcuni coraggiosi parlamentari di sinistra come Tommaso Cerno e Stefano Fassina.

Le perplessità — tacciate, con disonestà intellettuale, di oscurantismo e omofobia — riguardavano soprattutto l’articolo 4: la libertà di espressione verrà garantita purché le idee espresse non siano “idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.

Dire che, per crescere nel modo migliore, un bambino necessita di una mamma e di un papà arreca forse danno a qualcuno? Condannare aberrazioni, dal sapore vagamente nazista, come il transumanesimo è segno di intolleranza verso il diverso? Nel caso in cui il ddl Zan venisse approvato, le risposte a queste domande spetterebbero a un giudice.

Con tutte le conseguenze del caso: non avendo nessuna legge specifica a cui attingere, il giudice sarebbe costretto a prendere una decisione arbitraria e dunque influenzata, più o meno consapevolmente, dalle sue convinzioni etico-politiche.

Peggio del ddl Zan

La Commissione Segre, di cui alcuni intellettuali come Veltroni invocano a gran voce il ritorno, sarebbe ancor più pericolosa e illiberale del ddl Zan: alle categorie protette — omosessuali e disabili — si  sommerebbero minoranze etniche e religiose.

Non a caso, fra i comportamenti deplorevoli che la commissione vorrebbe punire o quantomeno “segnalare” rientrano l’antisemitismo, l’anti-gitanismo e l’anti-islamismo. È curioso come il testo, redatto nella scorsa legislatura, ignori del tutto l’odio islamista verso i cristiani, vittime di persecuzioni in tutto il mondo.

Oggetto di esecrazione sarebbe anche l’etnocentrismo: andare orgogliosi della propria nazionalità o decantare la superiorità dell’Occidente, in tema di diritti civili e libertà individuali, rispetto ad autocrazie come Russia e Cina sarebbe forse un gesto “etnocentrico” e dunque penalmente perseguibile?

Il diritto all’odio

C’è, poi, un’ultima questione da affrontare che mi pare in pochi abbiano sollevato: da che mondo e mondo, in una democrazia liberale come la nostra, il diritto all’odio dovrebbe essere garantito tanto quanto il diritto all’amore purché non leda l’incolumità (e la reputazione) altrui.

Lo ha recentemente rivendicato Roberto Saviano nei confronti di Giorgia Meloni, alla quale ha dato poco elegantemente della “bastarda”. Ovviamente non condividiamo la parole di Saviano, in questo come in moltissimi altri casi. Tuttavia, sostengo il suo diritto di esprimersi, anche in modo aggressivo e irrispettoso. A tutela di chi si ritiene offeso, c’è la querela per diffamazione.

Doppio standard

Al netto di questa premessa, notiamo una palese contraddizione: per i profeti del politically correct, l’odio è legittimo solo se ad esserne vittima è un esponente della destra politica e mediatica. Anzi, se è contro la destra, non è odio ma legittima critica. Per esempio, Giorgia Meloni, oggetto di poco simpatici slogan nella manifestazione femminista di sabato (“ti mangiamo il cuore”, “la prima della lista”).

Se il bersaglio non è di destra, allora il “diritto all’odio” scompare. Basti pensare al caso di Filippo Facci, sospeso per due mesi dall’Ordine dei giornalisti per aver scritto un articolo molto duro contro il mondo islamico.

In un Paese moderno, la magistratura e le forze dell’ordine dovrebbero perseguire reati concreti ai danni della persona senza incidere sulla libertà di espressione, un valore sacro e inviolabile, almeno per chi crede nella democrazia. Come scrisse Evelyn Beatrice Hall nel 1906, “non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu la possa esprimere”.