Il “caso Farage”, l’ex eurodeputato britannico che si è visto bloccare i suoi conti corrente per “ragioni etiche”, e i rischi della deriva illiberale in corso in Occidente. Ne abbiamo parlato con Carlo Lottieri, professore di filosofia del diritto a Verona e filosofia delle scienze sociali alla Facoltà di Teologia di Lugano, collaboratore di diversi think tank, tra cui l’Institute for Economic Studies e il Ludwig von Mises Institute.
Cosa è successo a Farage
TOMMASO ALESSANDRO DE FILIPPO: Cosa è accaduto al politico britannico Nigel Farage? E perché quello che gli è capitato deve spaventarci?
CARLO LOTTIERI: Le cose sono molto semplici, anche se poi a opera dei soliti difensori dell’esistente (leggi: fact-checker), s’è cercato di confondere le idee. Qualcuno addirittura ha sostenuto che il conto sarebbe stato chiuso per mancanza di fondi. In verità, il conto di Nigel Farage presso la Coutts Bank, un istituto che risale al XVII secolo, è stato chiuso a causa delle idee di quello che fu uno dei protagonisti della Brexit.
Sul tema, alla fine l’istituto bancario è stato molto netto, sottolineando come – a giudizio della dirigenza di tale istituto – Farage è un razzista e il codice etico dell’azienda impedisce di continuare ad avere rapporti con lui. In un documento di 40 pagine ormai di dominio pubblico la banca afferma che le idee pubblicamente rese note dal politico inglese sarebbero in contrasto con le posizioni dell’impresa, intesa come realtà “inclusiva”.
Un soggetto economico come una banca, che in linea di massima si pensa sia orientato a servire tutti (al di là delle fedi religiose, delle idee politiche, delle preferenze sessuali e via dicendo), ha dichiarato di non voler avere nulla a che fare con Farage non a seguito di comportamenti economici scorretti (come può avvenire quando qualcuno viola impegni assunti), ma per ragioni ideologiche.
Tutto questo deve spaventarci, senza dubbio, perché il nuovo potere del nostro tempo muove dall’assolutezza della vecchia sovranità per definire una sorta di Idra, che ha una miriade di tentacoli economici, culturali, mediatici e di altro tipo. Questo potere, che si regge sugli assiomi del politically correct, per piegare qualsiasi resistenza e dissidenza non dispone dunque soltanto delle prigioni e dei tribunali, ma anche di questi strumenti inediti.
Il precedente canadese
TADF: Ricordiamo il precedente canadese, quando il governo di Justin Trudeau bloccò i conti correnti dei camionisti che manifestavano contro le misure pandemiche e dei loro sostenitori, questa scelta evidenzia una sempre maggiore deriva illiberale in corso in Occidente?
CL: È senza dubbio così. L’episodio canadese ebbe luogo nel corso delle politiche di stile cinese adottate pure in Occidente durante la pandemia. Fu un grande esperimento sociale, sostanzialmente ben riuscito, che mostrò a quanti comandano che non soltanto le istituzioni giuridiche (a partire dalle costituzioni) sono ormai quasi ovunque semplici strumenti di dominio nelle mani della politica, ma anche che la società stessa – se ben spaventata e manipolata – è pronta ad accettare qualsiasi cosa.
Trudeau bloccò i conti correnti di circa 200 oppositori e in questo modo fece ben capire come il potere possa annichilire chiunque: specie se si considera che la formula maoista del “colpirne uno per educarne cento” funziona sempre.
L’alleanza tra potere e interessi
Per giunta, nella società contemporanea in tutta una serie di circostanze noi siamo di fatto obbligati a utilizzare la moneta elettronica (carta di credito, pos, bonifici, ecc.) e senza la possibilità di farlo siamo espulsi dalla società. In altre parole, oggi chi comanda è in grado di usare l’intero sistema finanziario per spegnere ogni voce critica.
E non dimentichiamo che la moneta è oggi un prodotto del potere pubblico (valuta a corso legale) e che l’intero sistema delle banche private è sottoposto a un ferreo controllo da parte delle banche centrali, che in vario modo possono blandire e minacciare. Se non si opera una liberalizzazione radicale dell’universo bancario e monetario, questa feroce alleanza tra potere e interessi si rafforzerà sempre più.
Tornando alla questione precedente, è chiaro che una banca privata può anche rifiutarsi di avere clienti di questo o quel tipo, ma se il sistema è chiuso e bloccato da normative illiberali, ne discende che un ordine economico soltanto nominalmente liberale finisce per convertirsi in un regime totalitario (secondo Farage, d’altro canto, molti altri istituti bancari non l’hanno voluto come cliente).
Perché contrastare la CSR
TADF: In cosa consiste la CSR (corporate social responsibility) e perché è necessario contrastarla?
CL: Da vari decenni la teoria dell’organizzazione d’impresa ha elaborato questa nuova visione: presentata come molto più civile e umana. Mentre tradizionalmente le imprese erano pensate come enti volti a massimizzare i profitti, con la CSR si è voluto dare alle aziende un altro compito: quello di contribuire – assieme a istituzioni pubbliche, associazioni, sindacati ecc. – alla crescita civile, morale e culturale della società.
In questo modo l’azienda ha iniziato a rispondere meno agli azionisti (shareholder) e sempre più alle forze sociali e politiche (stakeholder) in qualche modo coinvolte dall’azione di quel soggetto economico. Sono critico nei riguardi della CSR per una serie di ragioni, ma in particolare per due. In primo luogo, si tratta di una concezione dell’azienda che spoglia gli azionisti proprietari a tutto beneficio dei manager, i quali – ad esempio – non consegnano i dividendi agli azionisti lasciando che siano loro a sostenere l’arte o la ricerca scientifica, ma utilizzano in prima persona quelle risorse per finalità che essi giudicano “meritevoli”.
In secondo luogo, essa s’è sviluppata a partire dall’egemonia di un’ideologia che fa coincidere il bene con tutti i pregiudizi delle aristocrazie occidentali. E, purtroppo, le classi dirigenti progressiste dell’Europa e del Nord America sono da tempo un grave fattore di decivilizzazione: in parte per ragioni culturali, in parte per motivi strutturali e d’interesse.
La dittatura dei “codici etici”
TADF: Ritiene che chi voglia investire ed aprire attività in futuro sarà sempre maggiormente costretto a rispettare delle imposizioni etiche e morali, più che giuridiche?
CL: È probabile. Basta andare nel sito di Black Rock, il più grande gestore patrimoniale del mondo, per vedere come nel “nuovo catechismo” di queste élites economiche vi sia il peggio della cultura contemporanea progressista. Se ad esempio non sei un difensore a spada tratta di tutte le politiche illiberali in tema di riscaldamento globale, non sei una bella persona; idem per quello che riguarda le questioni di genere e altre banalità analoghe.
Siamo insomma di fronte a un “non pensiero” che pretende di eliminare ogni critica e analisi. C’è già una teoria che ha ben spiegato tutto. È una teoria abbastanza surreale fin dal titolo, dato che si presenta come “paternalismo libertario”. Il primo studioso che ha parlato di tutto ciò, Cass Sunstein, è stato molto chiaro quando ha detto che il nuovo dominio dovrà essere “gentile” e “persuasivo”. Forse non ha nemmeno avvertito come questo sia sempre stato lo schema dei regimi totalitari.
Oltre alla legge Mancino e a tutte le altre norme che vanno a limitare la nostra libera espressione delle idee, ci troveremmo quindi sempre più di fronte a “codici etici” alquanto strani che ci obbligheranno ad aderire al peggior conformismo in tutta una serie di questioni.
Dietro il moralismo climatico
TADF: Quanto l’ambientalismo rischia di diventare il punto cardine di questa battaglia etica in difesa del “bene comune” e condizionare la nostra libertà di scelta ed espressione?
CL: Uno dei pilastri della “nuova bontà” che ci viene sempre più imposta da politici, intellettuali, media mainstream e grande finanza è da riconoscere proprio nell’ideologia ambientalista. La crisi sanitaria ha visto come sia facile terrorizzare le masse e renderle obbedienti, ma le nuove generazioni sono da decenni sottoposte ad una propaganda nichilista ancora più efficace, che ci presenta la fine del mondo come un rischio imminente, a causa dell’aumento della temperatura.
In questo modo stanno togliendo speranza ai giovani: mi è capitato più volte di sentire ragazze che non vogliono mettere al mondo figli in questo mondo sull’orlo della catastrofe. Una delle formule più ricorrenti nell’universo dell’eco-catastrofismo è proprio “ultima generazione”: come se dopo questi giovani non ci dovesse essere più nulla e nessuno.
È ovvio che questo dogmatismo ambientalista non incarna soltanto il rifiuto di ogni discussione (sull’origine antropica o meno del global warming, sui pro e i contra di tale fenomeno, sulle eventuali iniziative da assumere per contrastare le conseguenze negative), ma anche sta favorendo una riformulazione del potere che unisce la bramosia di dominio di politici, intellettuali e scienziati (chiamati a gestire la tecnostruttura) e la possibilità di trovare innumerevoli rendite parassitarie da parte dei grandi gruppi economici.
Dietro il moralismo di facciata, c’è soltanto la volontà di potenza di alcuni e il desiderio di spogliare il prossimo di altri.