Politica

L’Intifada degli studenti pro-Hamas di Torino prosegue indisturbata

Le autorità accademiche minimizzano: i danni a Palazzo Nuovo? Poche decine di migliaia di euro. Quattro gatti hanno fatto il bello e cattivo tempo per settimane

pro pal Torino

A Torino gli studenti dell’Intifada non intendono fermarsi. Il 19 giugno hanno lasciato Palazzo Nuovo e Fisica, occupati per 39 giorni, ma non il Politecnico dove aula magna e cortile sono occupati dal 15 maggio. Il 27 giugno hanno bloccato l’accesso al Rettorato e il giorno successivo ai laboratori della Fondazione Links presso il Politecnico.

Boicottaggio al Politecnico

Inoltre il 28 giugno hanno presidiato anche due aziende in partnership con il Politecnico: la Avio Aero, all’entrata della quale hanno dipinto con la vernice rossa delle impronte di mani a simboleggiare il sangue, e Ithaca, dove hanno impedito l’ingresso ai dipendenti. Il 1° luglio una loro rappresentanza ha indetto un’assemblea presso il Campus Luigi Einaudi dove ha sede il CPS, il Dipartimento di Culture, Politica e Società.

Il primo, seguito di recente da Psicologia, ad aver approvato la mozione con cui gli studenti pro Palestina chiedono che gli atenei torinesi interrompano ogni rapporto scientifico e didattico con quelli israeliani e – questo dice il testo della mozione – “attuino il boicottaggio totale del sistema accademico israeliano, complice dell’apparato di occupazione coloniale e base fondamentale di supporto del complesso politico-militare israeliano nei Territori Palestinesi Occupati”. Il 10 luglio il CPS terrà un consiglio. Si saprà allora se i suoi docenti intendono continuare a sostenere le pretese degli studenti, e in che modo, o se si allineeranno con il resto dell’ateneo che finora le ha respinte.

Danni ingenti a Palazzo Nuovo

Il 1° luglio è stato riaperto Palazzo Nuovo, ma solo gli uffici e la biblioteca, mentre per rendere agibile l’intero edificio occorrono interventi che richiedono più tempo. La stima dei costi ancora non è stata resa nota e forse non lo sarà mai. All’indomani dello sgombero dell’edificio, il professor Giuseppe Martino di Giuda, vice-rettore per la digitalizzazione, programmazione, sviluppo e valorizzazione del patrimonio edilizio dell’ateneo, intervistato dal quotidiano La Stampa, aveva minimizzato: “A Palazzo Nuovo non sono passati gli Unni – aveva detto invitando a “mettere da parte l’ideologia” – non c’è nessuna devastazione fisica dell’edificio, bisogna ripristinare il luogo senza grandi interventi strutturali o altro”.

Secondo lui si trattava soltanto di ritinteggiare e sistemare qualche maniglia divelta. “L’enfasi di questi giorni è fuori luogo, getto acqua sul fuoco perché è un fuoco di paglia – aveva insistito – bisogna evitare di avvelenare il clima e far sembrare gli occupanti dei delinquenti seriali”. Alla domanda come mai allora ne fosse impedito l’accesso, aveva risposto che bisognava “restituire Palazzo Nuovo con un aspetto che possa accogliere tutti e nessuno si senta offeso. A oggi il palazzo assomiglia a un museo di street art”. “Per rendere di nuovo agibile l’edificio – aveva concluso – basteranno qualche settimana e qualche decina di migliaia di euro: un intervento che non mette l’università in difficoltà economica”.

Chi conosce le dimensioni di Palazzo Nuovo sa che, se anche si trattasse davvero solo di ritinteggiare e di sostituire qualche maniglia rotta, poche decine di migliaia di euro non sarebbero sufficienti. Ma, qualunque sia l’entità dei danni, è davvero sconfortante che un docente universitario parli con tanta leggerezza di un edificio pubblico, neanche un metro quadrato del quale dovrebbe essere usato per scopi diversi da quelli ai quali è destinato e che invece è stato lasciato per settimane in mano a persone che ne hanno fatto pessimo uso.

Ed è scandaloso che, con altrettanta leggerezza, parli di spendere decine di migliaia di euro di denaro pubblico: denaro che, come ci insegnò Margaret Thatcher, non esiste perché “esiste solo il denaro dei contribuenti”. Inoltre, sempre la Thatcher ha insegnato, un ateneo, se è statale come quello torinese, “ha come risorsa di denaro solamente il denaro che la gente guadagna”.

Il rettore Stefano Geuna, se non altro, dopo essersi recato a Palazzo Nuovo il 1° luglio, ha riconosciuto che i danni sono ingenti e ha detto che si sta valutando la possibilità di risarcimenti. Nelle settimane precedenti aveva più volte vantato la linea “ferma e aperta al confronto” adottata dal suo ateneo nei confronti dell’Intifada studentesca.

Mani libere agli occupanti

A dire il vero, però, l’unica linea ferma è stato il rifiuto di interrompere i rapporti con gli atenei israeliani, e neanche tanto fermamente dal momento che due dipartimenti hanno dato ragione agli studenti e che il rettore stesso ha promesso “un’analisi ancora più attenta dei progetti per verificare che non ci siano progetti a rischio e in quel caso certamente ci saranno azioni di interruzione”.

Per il resto gli studenti pro Palestina hanno fatto tutto quel che pareva loro, indisturbati, quando, dove e per tutto il tempo che hanno voluto. Quelli che occupavano Palazzo Nuovo, quando, bontà loro, hanno deciso di andarsene, lo hanno fatto in corteo e, raggiunta la vicina via Po dove ha sede il Rettorato, ne hanno imbrattato con scritte e spray neri i portici che solo due giorni prima i commercianti della via avevano ripulito a loro spese da graffiti e scritte, ricordo di precedenti manifestazioni di protesta dell’Intifada studentesca. Sui muri hanno anche affisso dei volantini con la scritta: “Intifada ovunque, non finisce qua”.

Quattro gatti

Quel giorno hanno diffuso un comunicato nel quale hanno annunciato di voler praticare nuove forme di mobilitazione, hanno detto di credere “profondamente nella lotta intrapresa e nei metodi adottati” e di essere fieri di aver saputo gestire “una manifestazione così grande”.

Sono parole che denunciano una impressionante distorsione della realtà, quasi delirante, perché finora alle occupazioni, ai cortei e alle altre iniziative pro Palestina hanno partecipato qualche centinaio di studenti e forse neanche perché insieme a loro c’è gente che con l’università non ha niente a che fare, come ad esempio i militanti dei centri sociali torinesi, in prima linea quelli di Askatasuna, il centro sociale che il 23 aprile, forte della sua esperienza in fatto di manifestazioni violente, ha coordinato i tentativi degli studenti di entrare al Castello del Valentino, una delle sedi del Politecnico dove in quel momento tre ministri, Tajani, Bernini e Lollobrigida, stavano partecipando a un convegno.

Poche centinaia di studenti su un totale di oltre 120 mila iscritti all’Università e al Politecnico di Torino vuol dire molto meno dell’1 per cento, in pratica una percentuale irrilevante.

Tuttavia, per quella percentuale irrilevante, delle biblioteche sono rimaste chiuse per settimane, migliaia di studenti hanno visto rimandare esami e sessioni di laurea e rischiato di non poterli sostenere, e chissà che altro succederà. Eppure per il Magnifico Rettore Gauna tutto si risolve per il meglio. Intervistato nell’atrio di Palazzo Nuovo, “e comunque – ha detto – poter essere di nuovo qui è una bella soddisfazione”.