Ve li ricordate i poliziotti in borghese che inseguivano uno ad uno coloro che osavano sfidare il divieto di manifestare contro il Green Pass, disposto con semplice circolare del Viminale? Ma non c’era alcun pericolo fascista, allora… E ve li ricordate i “veri liberali”, anche di centrodestra, venirci a spiegare che quei sabati pomeriggio erano la rovina dei commercianti di Milano?
Torino a ferro e fuoco
Bene, confrontate quelle immagini con quelle viste sabato scorso a Torino, dove la polizia è praticamente rimasta a guardare mentre gli anarchici mettevano a ferro e fuoco mezza città, distruggendo auto e vetrine.
Certo, ci sono le riprese e le indagini, come usa dire, faranno il loro corso. Ma intanto i danni non sono stati impediti, si è lasciato fare, il “corteo” è stato addirittura autorizzato dalla Questura. Se per qualcosa il ministro dell’interno Piantedosi dovrebbe dimettersi, è per Torino, non per le parole – severe ma tristemente vere, se siamo onesti – sul naufragio di Cutro.
Antifascisti su Marte
La “sfortuna” della manifestazione antifascista di Firenze, capeggiata dalla nuova segretaria del Pd Elly Schlein, dall’ex premier pentastellato Giuseppe Conte e dal leader della Cgil Maurizio Landini, è stata quella di trovarsi presa in mezzo: tra gli anarchici che hanno devastato le vie centrali di Torino sabato e un magrebino che lunedì ha accoltellato sei persone nei pressi della stazione di Milano (però, direbbe il sindaco Salah, vuoi mettere la sicurezza di guidare a 30 all’ora?).
Questi tre eventi, pur scollegati tra di loro, mettono però plasticamente in evidenza quanto la sinistra sia scollegata dalla realtà. Una sinistra che manifesta contro un pericolo immaginario, il ritorno del fascismo, mentre ignora o minimizza ciò che desta allarme nella popolazione e che colpisce soprattutto gli italiani più deboli e indifesi. Si sono riuniti a Firenze, ma sembravano antifascisti su Marte.
Hanno trasformato una zuffa tra adolescenti in una spedizione squadrista. Una mistificazione pura e semplice su cui hanno fabbricato un caso politico – come solo loro, con l’aiuto delle note corazzate mediatiche, sanno fare – convocato il loro “popolo”, al seguito dei soliti slogan da guerra civile (no pasaran), e sancito una linea di opposizione al governo.
Squadrismo nelle aule
Chi vive e ha vissuto le aule scolastiche e universitarie sa perfettamente come vanno le cose – con alti e bassi praticamente dagli anni ’60. Gli studenti (e a quanto pare anche presidi e rettori) di sinistra ritengono scuola e università territorio loro. Ne occupano aule e spazi a tempo indefinito con il silenzio-assenso.
Guai se altri studenti, che la pensano diversamente, osano fare iniziativa politica, organizzare convegni o anche solo volantinare. La vivono come un’invasione e reagiscono di conseguenza. Subito arrivano gli squadristi a strapparti il volantino, ribaltarti il banchetto, insultarti e minacciarti, quando va bene.
Ciò che è accaduto al liceo Michelangiolo di Firenze, la vera notizia, è semmai che questa volta lo squadrismo rosso ha trovato pane per i suoi denti, uscendo perdente dalla rissa: per una volta le hanno prese, l’intimidazione non è andata a segno. Fine della storia. Da qui il grande scandalo politico.
Ci sono voluti invece mesi perché trovasse spazio in qualche trafiletto sui giornali o talk tv il vero pestaggio, a Bologna, ai danni di uno studente di destra, che ha portato al rinvio a giudizio di otto studenti di sinistra.
L’importanza della narrazione
Elly Schlein ha inaugurato così la sua segreteria, dai cortei in cui si canta “uccidere un fascista non è reato” e si espongono le foto degli avversari a testa in giù; dalla scuola “presidio antifascista” e dall’esproprio delle case sfitte. Magari in questo modo si fa male da sola, si chiude nella sua comfort zone.
Ma attenzione: se partiti e stampa di sinistra offrono continuamente conferme di essere scollegati dalla realtà vissuta dalla gran parte degli italiani, sono però ben collegati, diciamo avvinghiati a quelle narrazioni che fanno presa sul “loro” popolo e che sanno bene essere fondamentali per restare a galla. Per continuare a dettare l’agenda e a definire il contesto simbolico all’interno del quale si tiene il dibattito pubblico.
Ci sono delle analogie con quanto accaduto in anni recenti – e sta ancora accadendo – negli Stati Uniti. Per mesi, nella primavera-estate del 2020, a seguito della morte dell’afroamericano George Floyd, numerose città – amministrate da Democratici, in Stati governati da Democratici – sono state teatro di sommosse, violenze e devastazioni ad opera di Antifa e Black Lives Matters.
Violenze non condannate, anzi in qualche misura giustificate dai Democratici, minimizzate dai grandi network (celebre il sottopancia della Cnn, “fiery but mostly peaceful protests”, con le fiamme alle spalle dell’inviato), mentre la narrazione prevalente era sul razzismo e il pericolo fascista rappresentato dall’amministrazione Trump e dai gruppi di destra. Una narrazione alla quale hanno finito col credere ampi settori di pubblico “moderato”.
Le battaglie culturali
Viviamo in tempi strani e incerti, volubili. Razionalmente, temi come lavoro, inflazione, sicurezza dovrebbero essere in cima alle preoccupazioni degli italiani, ben al di sopra del rumore di fondo delle solite schermaglie ideologiche.
Eppure, in un’epoca in cui è inserito il pilota automatico di Bruxelles e Francoforte, e gli elettori intuiscono che i margini di manovra della politica nelle grandi questioni economiche sono piuttosto ristretti, le battaglie culturali e identitarie non possono essere sottovalutate.
Il governo Meloni appare rispetto ad esse troppo morbido, troppo ansioso di non fare brutta figura, di non finire in fuori gioco.