Può una mera polemica politica, dettata dalla necessità caotica della comunicazione in tempo reale imposta dai social, fare strame di quasi duecento anni di dibattito teorico, filosofico e sociologico? Se siete esponenti del Partito democratico, la risposta è chiaramente affermativa.
Ed è così che ci si trova a commentare una questioncella di scarso senso, se non quello di dimostrare la contraddittoria ansia da moralizzazione di un partito che nella sua smodata furia di avallare diritti di ogni genere e di difendere a spada tratta qualunque vera o presunta minoranza discriminata finisce per rinfocolare pregiudizi e per assegnare patenti di minorità a quelle stesse minoranze.
Il video di Giorgia Meloni
Giorgia Meloni, alcuni giorni fa, registra un video per rinsaldare l’idea di un presunto diritto allo sport e per riaggiornare il motto sapienziale latino del mens sana in corpore sano: prendendo quale spunto l’esperienza islandese, la leader di Fratelli d’Italia si lancia nella apologia della attività sportiva come metodo pedagogico per allontanare e combattere la droga e le devianze.
E qui, proprio qui, apriti cielo. La sinistra, con autentico spirito di lince, che ha fatto? Ha forse polemizzato sulla idea della esistenza stessa di un diritto allo sport? No, e nemmeno avrebbe potuto: perché quando sei strutturalmente dalla parte del postal market dei diritti, non puoi opporti a qualcosa che è qualificato come tale.
E d’altronde si sta procedendo a modificare l’articolo 33 della Costituzione proprio per inserirvi il diritto di accesso allo sport: a giugno il Senato, in seconda deliberazione, ha approvato la modifica, rimettendo la palla alla Camera per la votazione definitiva.
Quindi, proprio per fare una polemica fine a sé stessa e decisamente più umiliante per chi la propone piuttosto che per chi la riceve, la attenzione di alcuni militanti LGBT e poi di esponenti vari del Partito Democratico, da Letta all’immancabile Zan, si è appuntata sul termine ‘devianze’.
Il contegno farisaico della sinistra
Enrico Letta, probabilmente sentendosi il Michel Foucault che tra il 1974 e il 1975 tenne a Parigi le lezioni poi raccolte nel volume “Gli anormali”, twitta “io lo penso e lo dico, viva le devianze”.
Alessandro Zan invece, più prevedibilmente, ricollega la parola e il linguaggio della Meloni al comizio tenuto in Spagna ospite di Vox: l’abbinamento, del tutto capzioso e strumentale, corroborato dall’aggiunta di una sorta di rimando alla cultura del corpo sano e guerriero per la formazione di un uomo nuovo, svelerebbe addirittura il programma della destra.
Quale, lo si può agevolmente intendere. Ma con buona pace sia di Letta, che è comunque professore a Parigi e che quindi ha minori scusanti, sia di Zan e di tutti gli altri sconvolti dal riferimento alla devianza, quel termine non ha nulla di sconvolgente né di positivisticamente razzista o peggio fascista, come sinonimo cioè di minoranze sgradite o omosessuali.
Il termine “devianza”
Per l’ennesima volta, la sinistra monta una polemica letteralmente sul nulla e finisce con l’incartarsi in maniera grottesca: perché se uno va a interpretare alla lettera il tweet di Letta ci si troverà davanti una, si spera involontaria, apologia di ciò che Durkheim avrebbe definito comportamenti anomici e che in generale si tende a inquadrare in comportamenti disfunzionali, vandalici o addirittura criminali.
Perché nella teoria generale sociologica del crimine, la devianza rappresenta lo scardinamento e lo sviamento dall’assetto sociale e normativo dato in un certo momento storico, un conflitto tra società e cultura, oppure la costruzione di un contro-sistema sovente sfociante nel puro crimine, come ricostruirono con dovizia di studi e di analisi sul campo i sociologi della scuola di Chicago negli anni trenta.
Attualmente, le devianze giovanili vengono ricondotte nell’alveo delle dipendenze e dei comportamenti devianti appunto, in alcuni casi micro-criminali, la cui sostanza è squisitamente patologica.
Quindi nessuno, nemmeno con enorme sforzo pindarico, potrebbe ritenere ‘devianza’ sinonimo di differenza o peggio ancora di qualche bistrattata minoranza che la Meloni avrebbe voluto, secondo i solerti censori della sinistra, oltraggiare.
Questo anche per rispondere a chi ha ritenuto il termine ambiguo o vetusto, asserendo che la Meloni avrebbe dovuto dimostrare maggior cura linguistica: con buona pace degli eccessivamente sensibili, il termine è tecnico, corretto e ha un suo preciso significato, e, per quanto possa apparirvi sgradevole doverlo apprendere, la vostra iper-sensibilità emotiva non può alterare il significato dei termini e le scelte linguistiche.
Una cortina fumogena
La disinvolta e scarsina propensione alla comprensione del testo in realtà è semplice strategia strumentale per cercare di spezzare l’accerchiamento di cui il Pd è divenuto vittima, principalmente per responsabilità dei suoi stessi esponenti.
E infatti, mentre su meritoria e infaticabile opera del professor Riccardo Puglisi, si vanno palesando cinguettii e post Facebook decisamente imbarazzanti di candidati del Pd, in una traiettoria che vede convivere feroci critiche a Israele, elogi di ogni forma e dimensione alla Cina, nostalgia per l’URSS e altre amenità assortite, al Nazareno si saranno detti che era ora di reagire.
E hanno reagito in maniera scomposta, poco meditata, cercando di orientare l’attenzione collettiva sulla Meloni che a loro dire avrebbe utilizzato un linguaggio lombrosiano.
Il problema di questa impostazione è che per riuscire almeno parzialmente si sarebbe dovuta basare su una qualche sostanza. E invece di sostanza non ce ne era nemmeno l’ombra.
In più, e di questo certamente non se ne sono nemmeno accorti a sinistra, assegnare la patente sinonimica di devianze alle minoranze finisce paradossalmente proprio per identificare l’appartenente a una data minoranza con la devianza: volevano dare della razzista o della discriminatrice alla Meloni ma alla fine se lo sono detto, involontariamente, da soli.
La vittimizzazione delle minoranze
La minoranza ridotta a vittima ontologica è in fondo una specialità della sinistra. L’immigrato, la donna, l’omosessuale non esistono come persone, come individui differenziati, con i loro problemi e le loro caratteristiche parimenti individualizzate.
No, per la sinistra esistono solo macro-categorie collettive, con una serie di elementi tipologici generalmente devoluti sempre a una ricostruzione negativa: discriminati, messi in un angolo, e in poche parole vittime.
Alla sinistra non interessa l’immigrato, la donna o l’omosessuale di successo, realizzato, interessa solo la dimensione collettiva e ghettizzata di non-persone costruite sulla base di stereotipi e di una intrinseca, feroce vittimizzazione.
Non può quindi stupire questa grottesca polemica sulle devianze. È semplicemente rivelatoria di ciò che a sinistra davvero pensano.