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L’unica farsa: Conte che si sente Dreyfus. Le domande a cui dare risposta

Ecco le domande a cui deve rispondere la Commissione d’inchiesta Covid: quali sono i limiti di un legislatore durante un’emergenza?

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I seguaci di Karl Marx direbbero che la storia si ripete sempre due volte, prima come tragedia e poi come farsa. Nel nostro caso, la farsa si è trasformata in sceneggiata. Infatti, il dibattito alla Camera relativo all’istituzione della Commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza Covid ha oscillato tra il melodrammatico e l’involontariamente grottesco.

Il paragone con Dreyfus

I più inviperiti sono stati l’ex premier Giuseppe Conte e l’ex ministro Roberto Speranza. Entrambi si sentono nel mirino di un “plotone d’esecuzione”, di un “tribunale politico” pronto a censurarne l’operato nonostante – a loro dire – abbiano salvato il Paese da una catastrofe. “Io vi accuso davanti al popolo italiano perché questa commissione è una farsa, non un atto di coraggio politico ma di vigliaccheria”, ha tuonato dal suo scranno il presidente del Movimento 5 Stelle parafrasando chiaramente il celebre J’accuse pronunciato nel 1898 da Émile Zola in difesa di Alfred Dreyfus.

Francamente, il paragone con il capitano francese di origini ebraiche, accusato di aver passato informazioni riservate al nemico tedesco e poi condannato alla deportazione, non può proprio reggere. Né con lo stesso Zola che fu punito dalla giustizia con un anno di carcere per vilipendio alle forze armate. Una vicenda tanto nota quanto dolorosa che si risolse solo dopo la scomparsa dello scrittore con la revoca della sentenza e la reintegrazione nell’esercito di Dreyfus.

Ora, azzardare un confronto tra un episodio di questa portata e la commissione d’inchiesta suscita un bel po’ di ilarità. Per di più, nei confronti di Dreyfus e di Zola si consumò una vera persecuzione. Mentre la commissione, strumento previsto e regolato dalla Costituzione, si pone – tra gli altri – un obiettivo piuttosto condivisibile oltre che imprescindibile: quello di valutare la ragionevolezza, la proporzionalità, l’efficacia, la compatibilità con le norme costituzionali delle severe misure imposte ai cittadini durante la pandemia.

Nodo giuridico-politico

Questo è il punto nodale di tutta la discussione che, evidentemente, si vuole eludere tergiversando o rifugiandosi nella solita stantia figura retorica dei no-vax a cui la maggioranza “strizzerebbe l’occhio” per un ritorno elettorale. Allora, ci sarebbe da ribattere che gli scettici, i dubbiosi, i critici rispetto ai trattamenti sanitari obbligatori sarebbero in numero superiore rispetto alla minoranza di riottosi descritti con disprezzo dall’informazione ufficiale.

O piuttosto, la discussione non sarebbe di carattere medico ma giuridico-politico, nel senso che ci si interroga su strumenti coercitivi e discriminatori come il Green Pass e sulla loro ammissibilità nell’ambito di una democrazia di stampo liberale. Forse, Conte e pure Speranza (ministro anche nel governo Draghi che ha introdotto la carta verde) dimenticano che il possesso della famigerata certificazione era indispensabile non solo per avere una vita sociale o la libertà di movimento ma addirittura per lavorare e guadagnare.

Questo dimostra come molte persone siano state spinte negli hub, predisposti dal generale Figliulo, al di là della loro volontà e solo per evitare di restare chiusi in casa come “sorci” (e senza un soldo in tasca). Quindi, c’è poco da essere orgogliosi, come ha proclamato ieri Speranza in aula, per non aver lasciato la scelta di vaccinarsi (o meno) ai cittadini e averli messi con le spalle al muro con un obbligo surrettizio.

Probabilmente, le percentuali di immunizzazione sarebbero state nettamente inferiori in assenza del grimaldello verde. Per di più, l’Italia è stato l’unico Paese occidentale a imporre regole così restrittive e a concedere diritti solo se in regola con il tagliando sanitario.

Poteri in deroga alle Regioni

Altro che la stizzita reazione di Speranza che ha detto di non voler aggiungere altro per “carità di Patria”. Peraltro, al Corriere della Sera, riferendosi al cortocircuito politico-giudiziario che si è innescato in questi giorni sulla scia dei casi Delmastro e Santanchè, ha dichiarato solennemente che ci si difende con gli argomenti e non attaccando in modo sguaiato. Applicando questo parametro, si potrebbe obiettare che gli stessi criteri non valgono per i lavori della Commissione d’inchiesta che vengono delegittimati a prescindere.

Lo stesso Speranza, per la verità, auspicava – con una formula assai vaga – “una commissione con un sano spirito repubblicano”. Mentre appare del tutto pretestuosa e, comunque, fuorviante la lagnanza circa il mancato coinvolgimento delle Regioni nell’indagine.

In effetti, il vero punto dolente riguarda il potere in deroga concesso, attraverso i ripetuti Dpcm, ai presidenti delle stesse di emanare ordinanze più restrittive di quelle nazionali, andando a toccare diritti presidiati a livello costituzionale. Un bel pasticcio giuridico che ha catapultato i cittadini in una distopica confusione: ciò che era consentito a Gaeta, era vietato a Teano.

Senza considerare che si è agito su libertà fondamentali con atti amministrativi (nazionali o locali che fossero). Non occorre neppure richiamare il sistema delle gerarchie delle fonti perché l’incongruità appare talmente macroscopica che sarebbe facilmente rilevabile anche da una neo matricola della facoltà di giurisprudenza.

Le domande a cui dare risposta

Se la commissione non vuol essere un’occasione sprecata, deve concentrarsi proprio su questo aspetto fondamentale: quali sono i limiti di un legislatore durante un’emergenza? Qual è il perimetro che deve osservare per non esorbitare dalle sue prerogative e non invadere il campo dei diritti costituzionalmente protetti?

Una pandemia può essere l’occasione per creare un laboratorio sociale nel quale sperimentare il grado di resistenza delle persone a norme sempre più draconiane (di cui ha parlato il Washington Post qualche tempo fa)? Dell’art. 32 della Costituzione va considerato prevalente il primo comma o va letto in combinato disposto con il secondo comma che limita i trattamenti sanitari obbligatori e prescrive il rispetto della persona umana? Prima che su tutto il resto, a queste precise domande dovrebbero rispondere i membri della nascente commissione.

Partendo dai terribili lockdown, passando per l’incredibile coprifuoco e arrivando all’assurdo Green Pass. Soprattutto per scongiurare il pericolo che, in un prossimo futuro, per fronteggiare una nuova emergenza ci tocchino delle conferenze stampa notturne nelle quali il capo del governo illustri agli italiani le attività consentite e quelle vietate. Oppure un ministro nervoso al pensiero di qualsiasi aggregazione di più di due persone e turbato perfino dalle automobili in strada.