Politica

L’Ursula-bis è un Fronte Popolare: barrage contro Meloni

La Commissione ormai un supergoverno politico. Il collante è tenere lontana la destra, qualsiasi destra, anche “moderata”, dalle leve del potere. Ma il fiato è corto

Ursula Von der Leyen (BBC)

Nessuna marcia indietro, nessun ravvedimento, nemmeno l’ombra di un tentennamento sul Green Deal, il folle piano di decarbonizzazione dell’Ue implementato a tappe forzate negli ultimi cinque anni che sta distruggendo la manifattura europea consegnandoci alla Cina. Nemmeno un piccolo segnale dalle recenti elezioni europee ha voluto recepire la presidente designata Ursula Von der Leyen.

“Manterremo la rotta su tutti gli obiettivi, compreso il Green Deal“, incluso il bando delle auto a benzina e diesel nel 2035, il taglio del 90 per cento delle emissioni entro il 2040 e un piano per una “industria pulita” nei primi 100 giorni. Ma Ursula-bis non si lascia sfuggire nemmeno una nuova emergenza – l’emergenza abitativa – che fornirà un ulteriore pretesto, oltre alla transizione green, per attaccare i diritti di proprietà, annunciando un piano per “alloggi accessibili” e un commissario ad hoc.

Non sapremmo indicare cosa avrebbe potuto dire di più per semplificare la scelta alla delegazione di Fratelli d’Italia. Il suo discorso è stato contundente, manifestamente non voleva i voti di Meloni, ma quelli dei Verdi. Forse è mancato solo uno dei coloriti epiteti del governatore De Luca all’indirizzo della premier.

Il barrage europeo contro Meloni

La baronessa ha coltivato il rapporto con Giorgia Meloni finché le è convenuto, perché dalle urne la premier italiana avrebbe potuto emergere come attore decisivo per la sua riconferma, ma quello scenario non si è verificato e Ursula non si è fatta troppi scrupoli ad avallare il barrage eretto da Scholz e Macron. Barrage contro Le Pen in Francia, barrage contro Meloni in Europa, per arginare le destre a casa loro. Peccato che Meloni non sia Le Pen, è al governo di un Paese fondatore ed è un pericoloso precedente averla esclusa dalle nomine.

Nemmeno il PPE (e il suo partito leader: la CDU) non è sembrato per nulla interessato ad aprire all’ECR come pure avrebbe avuto senso. Nessuna concessione a Meloni, troppa la paura di sdoganare una destra già di governo e moderata che può fungere da modello per Le Pen in Francia e AfD in Germania. Tanto che in alcuni passaggi del discorso di Von der Leyen sono risuonati echi da “Fronte Popolare”.

Non permetterò mai che la polarizzazione estrema delle nostre società venga accettata. Non accetterò mai che demagoghi ed estremisti distruggano il nostro stile di vita europeo, e oggi sono qui pronta a condurre la lotta con tutte le forze democratiche di questo Parlamento.

Non è un caso che i Verdi abbiano ufficializzato prima del voto il loro sostegno a Von der Leyen e annunciato di far parte di una “maggioranza quadripartito”, avendo ottenuto garanzie sul Green Deal ma anche – passaggio non secondario – di “tenere l’estrema destra fuori dal potere”. Dunque, una maggioranza Ursula a quattro, ancora più rosso-verde, nonostante i Popolari (e Antonio Tajani) avessero escluso una coalizione con i Verdi.

Questo passaggio non va sottovalutato perché come dicevamo non è secondaria nella riconferma di Von der Leyen l’intenzione dei gruppi che la sostengono di “tenere lontana” la destra, qualsiasi destra, anche “moderata”, dalle leve del potere Ue (e nei rispettivi Paesi). Forza Italia concorda?

Commissione governo politico

I commentatori di sinistra, ovviamente, ma anche qualche professore di destra, hanno subito alzato il ditino, accusando Meloni di aver votato da capo partito e non da statista, di aver isolato l’Italia. Un’accusa singolare per due motivi. Primo, perché il Parlamento europeo è proprio la sede dove si vota da capo partito e semmai in Consiglio ci si dovrebbe comportare da capi di stato e di governo, mentre alcuni leader hanno pensato bene di agire da capi partito.

Se, come molti hanno osservato in queste ore, per la prima volta il partito del presidente del Consiglio italiano vota contro il presidente designato della Commissione, andrebbe anche ricordato che per la prima volta un premier italiano, di un Paese fondatore, è stato, per motivi politici, estromesso dalle consultazioni per i top jobs Ue, inclusa la Commissione – una clamorosa rottura della logica del “consensus” in seno al Consiglio. Lo strappo l’hanno consumato Macron e Scholz per cinici calcoli di politica interna, per – banalmente – difendere le loro poltrone.

Hanno trasformato la Commissione in un supergoverno politico. Massimamente politico, al punto da superare il “consensus” tra governi in Consiglio a favore di appartenenze politiche. Al punto che la presidente designata si rifiuta di interloquire con alcuni gruppi del Parlamento e, una volta eletta, dichiara candidamente che lavorerà con chi l’ha sostenuta. Del tutto al di fuori della lettera e dello spirito dei Trattati.

Però, allo stesso tempo, ci viene spiegato che un partito di governo non può non votare la presidente della Commissione dalla cui maggioranza si trova escluso. Spiace, non regge. Se la Commissione è politica, politicamente si può dire di no. Sembra che i nostri opinionisti e politologi godano nel ravvisare le peggiori nefandezze sempre nei nostri leader e mai nei leader altrui.

Facciamo fantapolitica: immaginate se oggi si votasse la conferma di Von der Leyen, designata dal cancelliere Merz e dal presidente francese Bardella, e sostenuta in Parlamento da Popolari, ECR e dal gruppo di Le Pen e Orban, ma il premier italiano fosse Elly Schlein. Ecco, appunto, inutile aggiungere altro.

Se avete l’impressione che il voto europeo dell8 e 9 giugno non sia servito a niente, è per un equivoco (o inganno politico) di fondo. La Commissione è ormai un governo politico, ma il sistema elettorale del Parlamento europeo non è concepito per dare vita ad una alternanza di governo, né ad una dinamica maggioranza/opposizione.

La partita dei commissari

Secondo, perché fino all’ultimo la premier Meloni ha teso la mano, per vedersela respingere platealmente, anche solo per semplice matematica: Von der Leyen e il PPE hanno compreso che i voti di Fratelli d’Italia avrebbero provocato più franchi tiratori di quanti ne avrebbero provocati i Verdi. Da qui un discorso che sembrava scritto per risultare il più indigesto possibile al partito di Meloni. Nemmeno una briciola le hanno fatto vedere. Cosa avrebbe dovuto fare la premier, umiliarsi pubblicamente?

Il voto di ieri cambia pochissimo anche la partita dei commissari: non otterremo il commissario che comunque non avremmo ottenuto nemmeno votando VDL, perché dopo il voto europeo, proprio a causa del successo delle destre, si è rialzato il barrage, anche nei confronti di Meloni.

Sul Titanic

E cosa volete che sia un commissariato di fronte al baratro verso cui stiamo avanzando? Siamo sul Titanic e ci preoccupiamo di quale strumento suoneremo nell’orchestrina?

Green Deal, fine dei combustibili fossili, attacco alla proprietà privata e alla libertà d’espressione (con il Digital Services Act), ma anche pretesa di “pieni poteri”, con le proposte di una riforma dei Trattati per rimuovere veti e maggioranze qualificate in Consiglio e addirittura una vera e propria forza di polizia europea – ovviamente sotto il comando di Bruxelles.

Nessun nuovo strumento di debito comune, il che significa niente riarmo. E Green Deal più niente riarmo significa consegna a Pechino.

Dalla Von der Leyen un discorso socialista e centralista, inquietante per il delirio di onnipotenza, un supergoverno pervasivo ben oltre i compiti della Commissione delineati dai Trattati. Questa Unione europea mostra sempre più i tratti tipici di un totalitarismo soft.

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