Ma quale rischio fascismo! Unica anomalia il predominio di un Pd perdente

Proprio la sinistra mostra di non credere alle capacità di autodifesa e tenuta della nostra Carta. Ecco perché il Pd non può fare a meno di vedere fascismo ovunque

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A un signore come il sottoscritto, costretto per professione a far conoscere la nostra Costituzione e abilitato per età a seguirne dal vivo l’applicazione nei tre quarti di secolo di vita repubblicana, desta non poca sorpresa la scarsa se non nulla valorizzazione da parte della sinistra, della capacità di “tenuta democratica” della Carta, insita nella articolata disciplina della salvaguardia dei diritti fondamentali e nella sofisticata organizzazione dei poteri e dei contropoteri secondo un equilibrio destinato a resistere al tempo.

Secondo il “modello classico”, condiviso da Francia e Germania occidentale, all’alba del secondo Dopoguerra, nei principi e nella parte I ci sono tutte le guarentigie che assicurano il plafond liberale e sociale tipico di una costituzione “lunga”; mentre nella parte II vi è il dinamico bilanciamento fra esecutivo, legislativo e giurisdizionale proprio di una Costituzione “democratica”.

Insomma, la nostra Costituzione è di per sé capace di stare in piedi da sola, sicché la scontata oscillazione fra politiche conservatrici e progressiste, non si traduce in una deriva estrema, che, come tale, comporterebbe una aperta sconfessione della stessa Carta.

Una lettura informata, quale dovrebbe essere assicurata dalla stessa istruzione scolastica, può ben cogliere la elasticità pervasiva dei principi e l’esaustività dei diritti assicurati ai singoli e ai corpi intermedi; nonché l’oculata distribuzione delle competenze e delle responsabilità fra presidente, governo, Parlamento.

Il presidente della Repubblica

Se si guarda alla organizzazione della Repubblica c’è un presidente che, come comandante delle forze armate, ne assicura la lealtà alla Repubblica; come interlocutore del Parlamento, non solo sceglie a chi dare l’incarico di premier e a chi riconoscere le stelline di ministro e sotto-segretario, ma soprattutto può scioglierlo col solo vincolo di sentire previamente i presidenti della Camera e del Senato; come supremo garante della magistratura, presiede quel Consiglio Superiore che governa le carriere dei magistrati, col compito di garantirne indipedenza e autonomia.

La Corte costituzionale

Ma l’innovazione più importante per tenere a bada l’eventuale fuoriuscita della legislazione dagli itinerari previsti dalla Carta fondamentale è l’istituzione di una Corte costituzionale, che per composizione (15 membri designati per un terzo dal presidente della Repubblica, dal Parlamento e dalle supreme magistrature) e durata nella carica (nove anni) risulta ben al di sopra delle parti. Ricade nella sua giurisdizione deliberare sulle eccezioni di costituzionalità sollevate con riguardo alle leggi nonché risolvere i conflitti di attribuzione fra poteri.

Certo la nostra appartenenza alla Ue è condizionata dalla permanenza di uno stato di diritto, ma questo è assicurato dal rispetto sostanziale del nostro testo costituzionale, senza alcun bisogno di evocare un possibile intervento sanzionatorio da parte di Bruxelles.

Nessun golpismo

A prescindere dalle ricostruzioni propagandistiche circa il rumore sciabole, ogni tanto tintinnante, non c’è stato mai alcun rischio di un golpismo evidente o anche solo strisciante che avrebbe dovuto coinvolgere in prima persona il presidente della Repubblica con il supporto dell’arma dei carabinieri.

Nessun presidente del Consiglio si è incardinato se non su incarico del presidente della Repubblica, oppure si è rifiutato di consegnare la campanella al suo successore, come, a stare alla vulgata di una certa sinistra, si sarebbe dovuto temere da personaggi etichettati d’emblée come fascisti di ritorno, quali Craxi e Berlusconi.

La storia repubblicana ci ritorna la stretta osservanza di tutte le scadenze costituzionali, con una sola riforma significativa entrata in vigore, quella del Titolo V, fatta passare dall’allora Pds con una strettissima maggioranza; mentre altre due ben più ambiziose riforme, di Berlusconi e di Renzi, non hanno superato i relativi referendum confermativi, rivelando una certa fedeltà popolare alla carta originaria.

La vera anomalia

Se c’è una anomalia nell’ultimo decennio è proprio nel predominio di un Pd perdente, che è riuscito a far eleggere due suoi iscritti presidenti della Repubblica, uno post-comunista ed uno post-democristiano, per una complessiva durata di più di 21 anni e di una partecipazione governativa quasi continua, non senza piazzare un suo uomo come commissario europeo.

Nessuna macroscopica violazione della lettera ma certo della ratio della Costituzione, così come consacrata dal suo articolo 1, per cui la sovranità appartiene al popolo. Invece, il Pd, dimentico di tutto questo, che pur avrebbe costituito il vero motivo del recente tonfo elettorale, si è esercitato e continua ad esercitarsi nel tiro al bersaglio su una post-fascista, Giorgia Meloni, in forza della sua giovanile militanza politica e della sua posizione critica nei confronti dell’Unione europea.

Perché il Pd ha bisogno dell’antifascismo

Ripeto, dunque, la sorpresa provocatami da una sinistra che non mostra di credere assolutamente nella capacità di auto perpetuazione della nostra Costituzione come, una volta attuata, rimanesse del tutto priva di una intrinseca forza di autodifesa.

Una sorpresa, però, un tantino retorica, perché è relativamente facile per uno che abbia vissuto abbastanza, capire come per il PCI, rimasto a questo punto di vista invariato, nonostante tutti i cambi di nome, la Costituzione resti solo un testo scritto bisognoso di essere supportato da un perpetuo moto di popolo antifascista, di cui sarebbe protagonista e garante il PCI i di ieri e il Pd di oggi.

Qui sta il voluto equivoco che impedisce ancora oggi al Pd di considerare la nostra Costituzione come semplicemente liberaldemocratica con una forte apertura sociale, per etichettarla come antifascista. Tanto varrebbe dire rispetto alle costituzioni post-belliche della Francia e della Germania occidentale, che, dovendole definire con una sola espressione, sarebbero, rispettivamente, anti-collaborazionista e antinazista.

Mentre è ovvio che esse sono solo varianti di quella che passata alla storia come “democrazia occidentale”, di per sé, quindi, intrinsecamente antitotalitarie e antiautoritarie, volendo, allo stesso tempo antifasciste e anticomuniste. Il fatto è che ancora oggi il Pd non può fare a meno di vedere tutto in chiave di antifascismo, come se l’attenuarsi di questa ossessiva memoria storica, finisse per intaccare le ragioni della nostra tenuta democratica ai sensi della Costituzione.

Sicché la sua sconfitta, questa volta con la fisiologica conseguenza di un’esclusione dal governo, viene intesa come possibile apertura a un revival fascista. Questo è stato il motivo dominante della gestione Letta, senza neanche farsi carico della plateale incoerenza fra propagandare un possibile, addirittura probabile, pareggio elettorale e far balenare il rischio che il centrodestra etichettato come destra, ultradestra, destra radicale e chi più ne ha più ne metta, potesse conquistare i due terzi del Parlamento con quella maggioranza idonea a mettere al riparo da un referendum confermativo una riforma costituzionale eversiva.

La memoria ossessiva dell’Anpi

Una memoria ossessiva, di cui è vestale una Anpi, destinata a sopravvivere alla morte dell’ultima persona coinvolta di diritto e di rovescio nella lotta partigiana e volgarizzatrice di una élite culturale autrice di articoli, saggi, libri diretti ad una rappresentazione semplicistica per non dire sempliciotta del fascismo, senza riuscirne affatto a spiegare la larga adesione popolare, caratteristica precipua di una dittatura “moderna”.

Anzi tale larga adesione viene assunta come riprova di una affidabilità della maggioranza piuttosto relativa per cui anche quella realizzata in una consultazione elettorale formalmente libera dovrebbe contare sulla presenza di una solida forza di sinistra a guida Pd, unica custode legittima di una Costituzione antifascista.

Una rendita secolare, ma ormai prossima ad esaurirsi, sì da risolversi in forme rituali, del tutto incapaci di trasmettere alle nuove generazioni una memoria non vissuta personalmente.

Certo nella ricorrenza del 25 aprile si ricordano le rappresaglie feroci dei nazifascisti, come se tutto quel sangue servisse a rendere attuale quella memoria. Ma che dire del fatto che a Santa Anna di Stazzema è stata la Meloni ad essere la più votata?

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