Il 22 agosto è arrivata in Italia, estradata dal Pakistan, Nazia Shaheen, la mamma di Saman Abbas, la giovane di origine pakistana che viveva con la famiglia in Italia ed è stata uccisa nel 2021 dai parenti perché aveva rifiutato di sposare l’uomo che avevano scelto per lei, un cugino residente in Pakistan. Dell’omicidio furono accusati Nazia, suo marito Shabbar Abbas, e inoltre uno zio e due cugini di Saman. Questi ultimi erano stati arrestati. Ma Nazia e Shabbar subito dopo l’omicidio erano tornati in Pakistan. Shabbar è stato arrestato nel novembre del 2022 ed estradato un anno fa. L’arresto di Nazia risale allo scorso maggio. Come il marito, a dicembre è stata condannata all’ergastolo mentre lo zio di Saman è stato condannato a 14 anni di carcere e i suoi cugini sono stati assolti.
L’arrivo di Nazia Shaheen è passato in gran parte inosservato benché proprio in queste settimane si parli molto dei giovani stranieri, dei loro diritti e di come tutelarli. Invece quella di Saman Abbas e della sua famiglia è una vicenda che merita qualche riflessione perché offre materiale alle discussioni attuali.
Delitto d’onore nei Paesi islamici
Il matrimonio combinato che i genitori volevano imporre a Saman è una istituzione cardine delle società patriarcali e la ribellione di Saman è apparsa intollerabile ai loro occhi tanto più che prima, con il suo comportamento – frequentare un ragazzo, andarsene di casa, chiedere aiuto… – aveva già gravemente compromesso l’onore, la rispettabilità della sua famiglia. Per noi Saman è una vittima, colpevole è chi l’ha uccisa, chiamiamo il suo gesto “delitto d’onore”.
Viceversa agli occhi dei parenti di Saman, e di chi ne condivide le convinzioni, lei si è macchiata di una colpa imperdonabile, le vittime sono loro e per questo l’hanno punita. I famigliari di Saman in Italia possono respingere le accuse soltanto affermando di essere innocenti. Invece ci sono Paesi in cui chi uccide per onore può persino ammettere la propria colpevolezza perché l’opinione pubblica è dalla sua parte, la legge, seppure condanna l’omicidio, prevede delle attenuanti e le autorità sono restie a intervenire.
In Giordania, ad esempio, grazie agli articoli 98 e 340 della costituzione un uomo può ammettere di aver ucciso una congiunta “in un impeto di rabbia” e in risposta “a un atto grave e ingiusto” e ottenere gli arresti domiciliari o essere condannato a pene lievi.
La cittadinanza non c’entra
Essere cittadina italiana non avrebbe salvato Saman. Quando ha chiesto aiuto, i servizi sociali si sono attivati come avrebbero fatto per una ragazza italiana, l’hanno ospitata in una comunità minorile per cinque mesi e avrebbero continuato a prendersene cura se lei non fosse tornata a casa fidandosi dei suoi parenti.
Ius culturae, ius scholae, perché è di questo che si discute di nuovo da quando il ministro degli affari esteri Antonio Tajani ha dichiarato di essere favorevole all’adozione di una legge che introduca lo ius scholae, non cambierebbero nulla nella vita dei minori stranieri ai quali sono riconosciuti gli stessi diritti di quelli italiani, nessuno escluso, le stesse libertà e le stesse tutele. Se non succede, essere o meno cittadini italiani non c’entra.
Da anni in Italia si scoprono in effetti casi di matrimoni combinati, di recente anche in aumento. Sono una istituzione molto più vincolante per le femmine che per i maschi tanto più se associati a due altre istituzioni adottate da tante società patriarcali: il matrimonio precoce, anche molto prima del raggiungimento della maggiore età, e il prezzo della sposa, un “compenso” corrisposto dal marito alla famiglia che acconsente a cedere una figlia. Entrambe trasformano il matrimonio combinato in forzato, senza scampo.
L’istituzione patriarcale presente in Italia che invece più spesso penalizza irreparabilmente i figli maschi è la facoltà del padre di decidere quando devono incominciare a lavorare per contribuire all’economia famigliare. Fa sì che anche il più promettente degli studenti possa essere costretto a interrompere gli studi senza aver neanche conseguito un diploma. I dati documentano la presenza di queste e altre istituzioni praticate dalle famiglie immigrate.
Le mutilazioni genitali femminili sono tra le più sconvolgenti: un’ulteriore istituzione patriarcale subita ogni anno da milioni di bambine, soprattutto africane, tanto diffuse nel nostro Paese da aver reso necessaria una legge per prevenirle e sanzionarle, istituita nel 2006. Peraltro si tratta di dati sottostimati a causa della difficoltà di individuare i casi, legati come sono alla sfera domestica e famigliare.
La tutela dei diritti
Chi ha davvero a cuore la tutela dei diritti di tutti i minori che vivono nel nostro Paese deve prestare più attenzione e tutto l’impegno possibile per proteggerli quando i loro famigliari, sicuramente in buona fede, pensando di far bene, decidono di continuare a praticare le istituzioni che sono stati educati a rispettare, fino all’estreme conseguenze.
Concorrono alla persistenza di istituzioni che violano diritti e libertà personali e a dissimularne l’esistenza, non la “cittadinanza negata”, bensì un significativo consenso tra le comunità straniere e la reticenza ad affrontare il problema, effetto di una consolidata convinzione che le istituzioni altrui non dovrebbero essere criticate, per quanto appaiano discutibili, che farlo dimostra un colpevole e ingiustificato senso di superiorità.