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Merito: è bastata la parola per mandare in cortocircuito la sinistra

Mossa azzeccata del governo Meloni: lancia un messaggio di coerenza al proprio elettorato e divide la già frammentata opposizione. Merito arma dei meno abbienti

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“Nomina sunt consequentia rerum” è una celebre frase latina attribuita al poeta fiorentino Dante Alighieri, il cui significato letterale è “i nomi sono conseguenti alle cose”. Giorgia Meloni appena arrivata a Palazzo Chigi ha capovolto il concetto: prima ha cambiato i nomi, ai quali ora dovranno seguire i fatti.

La prima impronta del nuovo premier passa dalle parole, o meglio, dalle denominazioni. Dalla “sovranità alimentare” al “made in Italy”, dalla “famiglia” al “mare”, fino al “merito”, a cambiare nome saranno sette dicasteri.

Una scelta che per la maggioranza di destra-centro ha un valore prettamente simbolico, ma che allo stesso tempo rappresenta il primo vero punto di rottura con i governi passati e il primo passo verso gli obiettivi di legislatura premiati alle urne dagli elettori.

Il tempo avrà il compito di mostrarci se questi cambiamenti semantici avranno delle conseguenze sul piano legislativo. Nel dibattito politico, invece, che non può aspettare le lentezze delle procedure parlamentari, qualche conseguenza l’abbiamo già vista.

Cortocircuito a sinistra

A prescindere dalle intenzioni del nuovo governo, è bastato che il Ministero dell’istruzione fosse ribattezzato “dell’istruzione e del merito” per accendere il dibattito sulla meritocrazia e rivelare tutti i cortocircuiti dei partiti di sinistra. Si è rivelata quindi una mossa azzeccata, sia per dare un messaggio di coerenza al proprio elettorato, sia per dividere la già frammentata opposizione.

Il merito nei vari ambiti sociali, a partire da istruzione e lavoro, è il classico esempio di tema che dovrebbe essere super partes, che dovrebbe riuscire ad unire due visioni opposte del mondo, mettendo d’accordo tutti i partiti politici, anche quelli più distanti tra loro.

E invece abbiamo visto come non sia così, quando si comincia a trattare la materia in concreto. La scelta di accostare all’istruzione la parola “merito” ha rivelato tutta l’ipocrisia di una parte politica che si riempie la bocca di parole vuote, senza convinzione, senza realmente condividere i concetti che vi sono dietro.

Livellamento verso il basso

Partito democratico e Movimento 5 Stelle, seguiti a ruota da scrittori, giornalisti e sociologi hanno criticato l’accostamento della termine “merito” all’istruzione.

La loro concezione di istruzione resta ancorata ad un principio di uguaglianza che invece di agire correttamente sui punti di partenza, per mitigare gli effetti delle differenze socio-economiche tra le famiglie degli alunni, agisce durante il loro percorso educativo. Un’egualitarismo il cui effetto è quello di livellare la società verso il basso, ampliando così le diseguaglianze tra gli studenti invece di colmarle.

Arma dei meno abbienti

In una intervista ad Atlantico Quotidiano, il professor Luca Ricolfi offre una risposta chiara sul tema del merito e smaschera tutte le ipocrisie dei partiti di sinistra. Il difetto primario del nostro sistema scolastico, spiega il professore, sta nel credere che l’abbassamento degli standard, tenacemente perseguito dalle forze progressiste negli ultimi sessant’anni, sia una strategia che favorisce i ceti popolari.

È vero l’opposto: l’abbassamento amplia le disuguaglianze. Ricordando la battaglia del 1962 contro il latino, il sociologo mostra la discrasia tra la sinistra di Antonio Gramsci, a favore della cultura alta come strumento di emancipazione dei ceti popolari, e la posizione post-sessantottina del Partito democratico.

Il merito, giustamente promosso dal governo Meloni, rappresenta forse l’unica arma a favore dei ceti meno abbienti. Mentre gli studenti provenienti da famiglie più agiate, grazie all’enorme divario di reddito e al bagaglio di relazioni, possono rimediare alle inefficienze del sistema scolastico, è molto più difficile per gli studenti dei ceti popolari riuscire a salire nell’ascensore sociale.

Ed è paradossale che i partiti che si fanno portavoce delle istanze delle giovani generazioni e delle classi sociali meno fortunate siano i primi a schierarsi contro una scuola – e una società – basata sul merito. È una enorme contraddizione quella che vede gli stessi partiti lamentarsi (per altro giustamente) dell’inadeguatezza del sistema scolastico italiano, segnalando le differenze con gli altri Paesi europei, ma poi contrastare l’abbinamento tra istruzione e merito.

Merito super partes

La decisione del governo, per lo meno a parole, va tra l’altro ad applicare l’articolo 34 della Costituzione, secondo cui “i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”.

Favorire e promuovere una società meritocratica, basata sull’impegno e la dedizione, sia nell’ambito scolastico sia in quello lavorativo, non può diventare il compito di una sola parte politica. Il compito, non facile, del governo guidato da Giorgia Meloni, non dev’essere solo quello di appropriarsi dell’ennesimo tema dimenticato dalla sinistra, ma di radicare la meritocrazia nella nostra società e rendere il merito un valore super partes.

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