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Neanche i rifugiati sono intoccabili: quanti altri Hasan Hamis ci sono in giro?

La Convenzione di Ginevra permette di espellere per “motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico”. Il diritto di respingere negato solo agli Stati occidentali

poliziotto accoltellato

Hasan Hamis, il marocchino che alla stazione di Milano Lambrate nella notte tra l’8 e il 9 maggio ha ferito gravemente un vice ispettore di polizia e in modo lieve due agenti della polizia ferroviaria, quattro giorni prima, il 5 maggio, era stato fermato dalla polizia ferroviaria di Bologna e accusato di resistenza a pubblico ufficiale e detenzione di un rasoio con il quale su un treno aveva minacciato degli agenti e alcuni passeggeri.

Era in Italia almeno dal 2002, ventidue anni durante i quali ha fornito 22 diverse identità, ha commesso vari reati per i quali è anche stato in carcere e per tre volte gli è stato notificato un provvedimento di espulsione. Quindi, come è possibile che sia ancora in Italia? E quanti altri come lui vivono nel nostro Paese?

Cosa dice la Convenzione di Ginevra

Al primo reato grave commesso avrebbe dovuto lasciare l’Italia. Il nostro governo ha facoltà e mezzi per espellere uno straniero irregolare, tanto più se delinque. In effetti, persino se Hasan Hamis godesse dello status di rifugiato, per le sue azioni avrebbe potuto essere espulso. L’articolo 2 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati afferma infatti che i rifugiati devono rispettare le leggi nazionali degli Stati contraenti: “Ogni rifugiato ha, verso il paese in cui risiede, doveri che includono l’obbligo di conformarsi alle leggi e ai regolamenti, come pure alle misure prese per il mantenimento dell’ordine pubblico”.

L’articolo 32 inoltre recita al primo comma: “Gli Stati contraenti possono espellere un rifugiato che risiede regolarmente sul loro territorio soltanto per motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico”. Il secondo e il terzo comma dello stesso articolo affermano che il rifugiato ha facoltà di prestare ricorso facendosi a tale scopo rappresentare davanti a un’autorità competente o a persone da essa designate e ha diritto a un tempo adeguato che gli consenta di farsi ammettere in un altro Paese.

È vero che si tratta di procedure dai tempi lunghi. Tuttavia, dice l’articolo 32 in conclusione, nel frattempo gli Stati contraenti possono prendere “tutte le misure interne che reputano necessarie” a garantire che il rifugiato in questione non possa attentare alla sicurezza nazionale e all’ordine pubblico: ad esempio, nel caso dell’Italia, disporne la reclusione in un Cpr, Centro per il rimpatrio, e assicurarsi che vi resti fino alla partenza.

I tanti Hasan Hamis

Hasan Hamis non è un rifugiato, non deve neanche aver fatto richiesta di asilo al suo arrivo perché ha 37 anni e quindi all’epoca era minorenne, probabilmente non accompagnato, e i minori non vengono mai, per nessun motivo respinti. Sarebbe interessante sapere che storia ha raccontato, che tipo di permesso di residenza gli è stato concesso, a quale Sai (Sistema di accoglienza e integrazione) per minori è stato assegnato, come ne è uscito facendo perdere le sue tracce.

Tanti altri giovani africani, asiatici, latino americani sono dispersi sul territorio italiano. Quelli fermati e rimpatriati sono tragicamente pochi. Il loro numero in un anno è più o meno pari a quello dei nuovi arrivi in un solo mese.

Dall’inizio dell’anno al 16 maggio i soli ingressi via mare sono stati 18.550, meno della metà rispetto allo stesso periodo del 2023, circa 4.000 più che nel 2022. Il fatto rilevante è che, anche quest’anno, i Paesi da cui quasi tutti provengono non rendono credibile una richiesta di asilo, che sicuramente invece tutti hanno presentato perché è l’espediente che impedisce di fermarli e respingerli.

Inoltre, ad eccezione di tunisini, egiziani, marocchini e libici, per nessuno l’Italia è il primo Paese in cui sono entrati lasciando il proprio: ed è in quel primo Paese che avrebbero potuto e, secondo quanto prescrive la Convenzione di Ginevra, dovuto chiedere asilo. I più numerosi – 3.849 – provengono addirittura dal Bangladesh.

In altri tempi ad Hasan Hamis non sarebbe venuto in mente di arrivare senza documenti e provare a chiedere asilo perché sapeva che la sua affermazione di essere in fuga per salvare vita e libertà sarebbe stata giudicata inverosimile dal momento che il Marocco non è in guerra e che le sue minoranze etniche e religiose non sono perseguitate.

Il diritto di respingere

Sicuri che ne valga la pena, lui e centinaia di migliaia di giovani come lui si mettono in viaggio, quasi sempre affidandosi a costose organizzazioni criminali, da quando potenti gruppi di pressione in tutto il mondo li giustificano e si oppongono, ostacolandoli, ai tentativi di fermarli, costringendo i Paesi di destinazione a una accoglienza che non sono tenuti a offrire e che di fatto non hanno i mezzi per offrire.

Il paradosso è che la legittimazione si applica soltanto agli emigranti asiatici e africani a condizione che siano diretti verso Stati occidentali. Nessuno nega invece ai governi di altri Paesi il diritto di respingere chi si presenta alle frontiere privo di documenti e di fermare ed espellere chi viene trovato sul territorio nazionale senza documenti.

Presidiare le frontiere è uno dei compiti dello Stato. D’altra parte, proprio perché si tratta di un atto illegale, riconosciuto tale dal diritto internazionale, e perché quindi uno Stato ha facoltà di respingere chi lo tenta, nel 1951 la comunità internazionale ha deciso di convenire che chi raggiunge una frontiera e chiede aiuto perché la sua vita e la sua libertà sono minacciate, anche se privo di visto e di regolari documenti non può essere respinto, gli è dovuto asilo: ottiene lo status giuridico, personale di rifugiato, dettagliatamente definito nei 44 articoli della Convenzione di Ginevra.

La pretesa oggi è che i diritti riconosciuti ai rifugiati siano estesi ai “migranti”: ovviamente intendendo, anche se tutti omettono di specificarlo, quelli irregolari perché la grande maggioranza, anzi la quasi totalità di chi emigra all’estero – gli emigranti per motivi economici che sono oltre 280 milioni – lo fa rispettando regole e leggi, non ha bisogno di protezione internazionale né la pretende, gli basta trovare lavoro.

Sfidare l’ideologia dell’accoglienza

Nessun risultato consistente e definitivo può essere conseguito finché non si sfida l’ideologia, a seconda dei soggetti la “teologia”, dell’accoglienza, se non si contraddice chi ne è portavoce, chiunque sia e in ogni sede, se non si smentisce chi dice di parlare in difesa dei “migranti” e invece difende comportamenti indifendibili perché illegali e criminali, se non si esigono e ottengono dai vertici almeno delle Nazioni Unite, dell’Unione europea, dell’Unione Africana dichiarazioni ufficiali e categoriche di ammissione e condanna dell’illegalità.

È un impegno imprescindibile di cui il governo italiano dovrebbe farsi promotore, cercando alleati ovunque nel mondo. È altrettanto essenziale, in concomitanza, che si elaborino e realizzino programmi di formazione e controinformazione rivolti a mass media, scuole, università, enti locali, terzo settore, magistratura, forze dell’ordine. I miliardi di dollari all’Egitto, i programmi di sviluppo donati alla Tunisia, gli accordi con l’Albania, i 250 militari in Niger portati a 500, il Piano Mattei e le sue buone intenzioni e qualunque altra iniziativa potrebbero, se no, rivelarsi tempo e denaro sprecati.