La recente assegnazione del Nobel per la medicina a Katalin Karikó e Dres Weissman ha provocato la reazione pavloviana e compiaciuta di tutta la pletora di virologi premiati da una celebrità inattesa durante il periodo pandemico. Il prestigioso riconoscimento assegnato ai pionieri della tecnologia a mRna (quella su cui sono basati e concepiti i più noti vaccini anti-Covid) ha rappresentato – per alcuni – la ghiotta opportunità per chiudere i conti con l’universo no-vax.
I virologi rialzano la cresta
In prima fila tutti i principali quotidiani che hanno schierato i loro editorialisti scientifici di riferimento: Giuseppe Remuzzi sul Corriere della Sera, Antonella Viola su La Stampa, Roberto Burioni su Repubblica. Tutti entusiasti e celebrativi ma, come al solito, il più esuberante è stato l’onnipresente Burioni che ha rilasciato dichiarazioni a profusione dopo l’annuncio: “La migliore risposta a chi avvelena l’opinione pubblica con pericolose bugie sui vaccini”.
Poi, non pago, ha pubblicato pure un tweet provocatorio scagliandosi contro uno dei suoi bersagli preferiti, Novak Djokovic: “Vale di più un premio Nobel o uno Us Open?”. Inutile ricordargli che Djokovic detiene il record di tornei del Grande Slam in carriera e, quindi, sul piatto della bilancia dovrebbe metterne ventiquattro e non uno solo di torneo. A parte questa imprecisione aritmetica, il problema reale è voler paragonare due competizioni completamente diverse per rilanciare la solita stantia narrazione.
Peraltro, Burioni è in ottima compagnia. Per non essergli da meno, Massimo Galli ha salutato con la consueta intransigenza la decisione dei membri del Karolinska Institutet di Solna: “È una buona risposta per tutto il pattume pseudoscientifico sbandierato dai no vax”. È chiaro che il fervore del momento porta a utilizzare un lessico più disinvolto, meno controllato. Così, chi non la pensa Galli diventa spazzatura, elegante variazione sul tema dei famosi “sorci” di burioniana memoria.
Inefficacia dei lockdown
D’altronde, le motivazioni della decisione hanno fornito un formidabile assist a chi non aspettava altro per rilanciare la rigida narrazione sanitaria: “Grazie ai due scienziati milioni di vite sono state salvate, il mondo si è riaperto ed è tornato alle condizioni normali”. Ora, senza entrare nella disputa medico-scientifica tanto cara a Burioni, va detto che la seconda parte di questa motivazione (più politica che scientifica) non convince affatto, soprattutto alla luce delle nuove evidenze in fatto di efficacia degli interventi non farmaceutici.
In particolare, secondo quanto già riportato in un precedente articolo sullo studio effettuato dall’Agenzia governativa per la sicurezza sanitaria del Regno Unito, si sono rivelate piuttosto deboli le prove sull’utilità dei lockdown e delle restrizioni legate ai viaggi. Per cui, si potrebbe ribaltare il ragionamento della giuria svedese obiettando che le chiusure potevano essere limitate nel tempo o addirittura evitate.
Invece, il vaccino è stato presentato come l’evento salvifico e liberatorio subordinando così all’assunzione di svariate dosi la restituzione dei diritti sospesi e del normale corso delle nostre vite.
Tutto nel dimenticatoio
In Italia, com’è tristemente noto, si è agito attraverso uno strumento coercitivo e discriminatorio come il Green Pass obbligando di fatto la popolazione a sottostare ai diktat sanitari pena la perdita dello stipendio e la rinuncia alla vita sociale. Ormai, di questo aspetto assai inquietante ne discutono in pochi. Sembra tutto dimenticato e rimosso dalla memoria collettiva complice anche lo scarso coraggio dimostrato dai parlamentari in sede di istituzione della Commissione d’inchiesta sulla gestione sanitaria.
Tuttavia, in qualche occasione ancora favorevole come questa seguita all’assegnazione del Nobel, l’ortodossia sanitaria persevera nella sua battaglia contro il nemico pubblico, cioè i pericolosi no-vax (confusi erroneamente con i free vax), senza affrontare il nodo gordiano di tutta la vicenda.
La vera questione
Eppure, gli esperti mediaticamente esposti ancora una volta esorbitano dalla propria sfera di competenza e invadono quella politica partecipando al dibattito pubblico con il loro campionario incrollabile di precetti sanitari. La tentazione di difendere tesi, più che mai di retroguardia, porta a insistere sulle stesse dimostrando in modo lampante come pure il conferimento del Nobel diventi l’occasione per far scattare il tic liberticida, silenziare i dissidenti e rilanciare i dogmi.
La controversia, allora, non riguarda il vaccino in sé ma il fatto che sia diventato il grimaldello per imporre un severo controllo sulle società occidentali e restringere pesantemente la sfera dei diritti individuali.
Doppiopesismo
Fa specie che chi oggi propaganda apertura e tolleranza sia stato in un recente passato così inflessibile e spietato nei confronti di coloro che hanno espresso dubbi o si sono opposti a un trattamento sanitario obbligatorio. Tra i tanti che oggi predicano accoglienza ci sono quelli che hanno caldeggiato con vigore l’esclusione dai luoghi di lavoro, dai bar e ristoranti, dai mezzi pubblici dei renitenti alla puntura avvelenando il dibattito e lacerando il tessuto civile.
Adesso, al di là del fastidioso doppiopesismo, non gli resta che, alla maniera di Marzullo, farsi una domanda e darsi pure la risposta, visto e considerato che non prediligono il contradditorio o il confronto pubblico. Più comodo esporre al pubblico ludibrio il fantomatico no-vax ed eludere le questioni che possono creare imbarazzi o far emergere clamorose contraddizioni.
Chissà, però, se – nella loro concezione – anche le libertà violate a ripetizione negli anni del terrore sanitario hanno meno valore dei premi accademici. Ai veri democratici l’ardua sentenza.