Paesi sicuri: ecco come i giudici comunisti si sono incartati e isolati

Il pastrocchio combinato sia dalla CGUE, sia dal Tribunale di Roma, che hanno applicato un diritto immaginario. Una vittoria di Pirro, cosa dicono davvero le direttive Ue

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Silvia Albano Giorgia Meloni migranti

Torniamo sul decreto, con il quale il Tribunale Civile di Roma non ha convalidato il trattenimento di 12 egiziani e bangladini, ospitati nel CPR in Albania.

L’oggetto del contendere è la definizione di paese sicuro, ove il richiedente asilo possa liberamente trasferirsi o essere trasferito. Problema: su tutto il territorio di quello Stato? O solo in parti di esso? In tale secondo caso, si parlerebbe di eccezione geografica.

I tre blocchi di legislazione leuropea

La partita giuridica, si giuoca attorno a tre blocchi di direttive, in sequenza temporale susseguitisi. Ciascuno comprende un Regolamento qualifiche all’asilo ed un Regolamento sulla procedura di asilo.

Il primo blocco è quello costituito dalla direttiva 2004/83/CE e dalla direttiva 2005/85/CE. La prima (I qualifiche) disponeva che l’asilo potesse essere negato al richiedente “se, in una parte del territorio del paese d’origine, egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi” (a.8). La seconda (I procedura) disponeva che ciascuno Stato membro de l’Ue potesse “ritenere infondata una domanda di asilo solo se l’autorità accertante ha stabilito che al richiedente non è attribuibile la qualifica di rifugiato a norma della direttiva 2004/83/CE” … cioè la precedente citata (a.28); poi esplicitava che ciascuno Stato membro de l’Ue potesse “designare come sicura una parte di un Paese” e non solo un Paese intero (a.30).

Il secondo blocco è quello costituito dalla direttiva 2011/95/UE e dalla direttiva 2013/32/UE. La prima (II qualifiche) dispone che l’asilo possa essere negato al richiedente “se, in una parte del territorio del paese d’origine, questi non ha fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corre rischi effettivi di subire danni gravi … e può legalmente e senza pericolo recarsi ed essere ammesso in quella parte del paese e si può ragionevolmente supporre che vi si stabilisca” (a.8). La seconda (II procedura) dispone che ciascuno Stato membro dell’Ue possa “ritenere infondata una domanda solo se l’autorità accertante ha stabilito che al richiedente non è attribuibile la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95/UE” … cioè, la precedente citata (a.32); ma, poi, altro non esplicita né in positivo, né in negativo (a.37).

Il terzo blocco è quello costituito dal regolamento 2024/1347 e dal regolamento 2024/1348. Il primo (III qualifiche) dispone che l’asilo possa essere negato al richiedente “dal momento che questi può legalmente e senza pericolo recarsi ed essere ammesso in una parte del paese d’origine” (a.8). Il secondo (III procedura) dispone che ciascuno Stato membro de l’Ue “respinge la domanda per infondatezza se ha stabilito che il richiedente non possiede i requisiti per il riconoscimento della protezione internazionale a norma del regolamento 2024/1347” … cioè la precedente citata (a.39); poi esplicita che l’Ue e ciascuno Stato membro de l’Ue potrà designare un paese terzo come paese di origine sicurocon eccezioni per determinate parti del suo territorio” (a.61).

Tale terzo blocco è già in vigore, solo ad applicazione ritardata al giugno-luglio 2026 (a.42 e a.79).

L’eccezione geografica

Come si vede, tutti e tre blocchi di direttive, in sequenza temporale susseguitisi, ammettono che un paese d’origine o terzo possa essere designato come sicuro con eccezione geografica. Unica – apparente – eccezione sarebbe il II procedura, per il quale manca una esplicitazione testuale del tipo “designare come sicura una parte di un Paese” (così il precedente I procedura), oppure designarlo “con eccezioni per determinate parti del suo territorio” (così il successivo III procedura).

Ma manca pure una affermazione contraria, nel senso del divieto a designare Paesi non interi. Sicché, per nulla offuscato, troneggia il riferimento – colà contenuto – al parallelo II qualifiche. E si può ben affermare che la apparente eccezione non è, in realtà, una eccezione. Al contrario, il II procedura ammette implicitamente ciò che il resto dei tre blocchi di direttive ammette esplicitamente: la designazione di un paese d’origine o terzo, come sicuro con eccezione geografica, è sempre stata possibile.

La guerra all’eccezione geografica

Nel tempo, qualcuno ha mai cercato di cancellare tale eccezione geografica? Certamente sì, invero sono in molti ad aver mosso ad essa guerra. E non una guerra italiana, bensì internazionale: è quasi per caso che, oggi, l’Italia vi viene direttamente coinvolta.

Il conflitto esplose (o, forse, riesplose) molti anni fa, col ricorso di un somalo, cui l’Olanda rifiutava l’asilo sulla base del presupposto che egli non corresse rischi in una parte del territorio del paese d’origine. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) stabilì il prerequisito che il rimpatriato potesse effettivamente recarsi nella zona interessata sicura, ottenervi l’ammissione e stabilirvisi.

Di tale sentenza CEDU tenne conto il secondo dei blocchi di direttive che abbiamo descritto. In particolare, la Proposta di direttiva della Commissione relativamente al II qualifiche, proponeva due prime modifiche restrittive: che l’asilo potesse essere negato se il richiedente (1) “ha accesso alla protezione contro persecuzioni o danni gravi … in una parte del territorio del paese d’origine”; e (2) “può legalmente e senza pericolo recarsi, essere ammesso e stabilirsi in quella parte del paese”. Venne accettata solo la seconda, mentre la prima conservava il vecchio testo, che abbiamo visto: “se, in una parte del territorio del paese d’origine, questi non ha fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corre rischi effettivi di subire danni gravi” (a.8).

I nemici della eccezione geografica tornarono all’attacco, con la Proposta di direttiva della Commissione relativamente al II procedura: essa proponeva di cancellare ogni riferimento al potere di ciascuno Stato membro di “designare come sicura una parte di un Paese” e, insieme, proponeva di interpretare tale cancellazione come volontà del legislatore che, da quel momento, “i requisiti materiali per la designazione nazionale devono essere soddisfatti in relazione all’intero territorio di un paese”.

Purtroppissimo, la cancellazione avvenne sì, ma senza che venisse specificato alcun divieto e lasciando intonso il riferimento al parallelo II qualifiche. Così, il potere di designazione di un paese come sicuro con eccezione geografica, sopravvisse. D’altronde – se non fosse stato così – perché mai il legislatore che lo cancellava nel II procedura, lo lasciava sopravvivere nel II qualifiche? Per nessuna ragione al mondo, è evidente.

Ad adiuvandum, la legge 2018/132 modificava la precedente legge attuativa della direttiva 2005/85/CE, introducendo il seguente concetto: “La designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l’eccezione di parti del territorio”. Senza che alcuno avesse a rimarcare un contrasto con le direttive: né Bruxelles, né lo stesso giudice Silvia Albano, presidente di Magistratura Democratica.

E si può ben dire che i nemici del potere di designazione con eccezione geografica abbiano definitivamente perso la guerra, con il terzo dei tre blocchi di direttive di cui abbiamo parlato, il più recente. Che – lo abbiamo visto – trionfalmente lo reintroduce nel III procedura.

Il pastrocchio combinato dalla CGUE

Qui si inserisce la sentenza della Grande Sezione della CGUE, del 4 ottobre 2024. Che ha scambiato l’assenza – nel II procedura – di qualunque cenno alla eccezione geografica – tanto positivo, che negativo – come un divieto. Ignorando bellamente il riferimento esplicito – colà contenuto – alla II qualifiche che tale eccezione geografica afferma positivamente.

Talché si può serenamente affermare che la Gran Corte leuropea ha preso una topa colossale. Che sarebbe stata pure storica, non fosse che il suo effetto nel tempo è limitato dalla prossima entrata in vigore del III procedura.

Ed è proprio qui, la critica più grande che deve essere mossa a quella Corte: in una successione legislativa, nella quale cinque strumenti su sei affermano positivamente la eccezione geografica, quale vantaggio giurisdizionale potrebbe mai ricavarsi dalla invenzione di una discontinuità? Oltretutto, destinata ad essere prestissimo riassorbita?

Il manifesto isolamento della CGUE

Ben diverso risultato avrebbe ottenuto quella Corte, se avesse ancorato la propria sentenza ai Trattati: il 2.Teu (“rispetto dei diritti umani”), oppure il 3.Teu (“tutela dei diritti umani”). Invece, non lo ha fatto, preferendo ancorarla al II procedura: mero strumento legislativo, di prossimo pensionamento oltretutto. Perché?

Perché il consenso politico generale va in direzione contraria a quella della Corte. Vedasi le deportazioni in Afghanistan, che la Germania faceva ancora il 30 agosto. Vedasi le deportazioni in Iraq, che la Svezia faceva ancora il 10 ottobre. Vedasi la legge finlandese del 16 luglio, che definisce la figura del “migrante usato da uno Stato straniero al fine di esercitare influenza sulla Finlandia” e, quindi, autorizza il governo a vietare l’ingresso sul proprio territorio ai richiedenti asilo. Vedasi la legge polacca proposta il 15 ottobre, che denuncia l’esistenza di “una minaccia di destabilizzazione del Paese a causa dell’afflusso di immigrati” e, quindi, autorizza il governo a “sospendere temporaneamente e territorialmente il diritto a presentare domande di asilo”.

E lì è il turbo-leuropeista Tusk che parla, chiedendo “di cambiare il diritto di asilo, a livello comunitario e internazionale, adattandolo all’attuale situazione migratoria, tenendo conto delle questioni di sicurezza”. Ciò che – secondo noi assai meglio e senza inghippi di Trattati leuropei – egli potrebbe fare reinserendo nella Convenzione Internazionale e relativo Protocollo Aggiuntivo quella stessa riserva geografica alla quale l’Italia rinunciò solo nel 1989 (a.1, l 1990/39), così liberando la Polonia dall’obbligo di concedere asilo ai cittadini di determinati Paesi. Naturalmente, accettando anche ampie eccezioni, ma caso per caso e con decisione arbitraria ed amministrativa.

Non è Salvini, ma la baronessa Von der Leyen ad aver promesso “leggi più severe e più piani per deportare i richiedenti asilo respinti”. Non è la sola Meloni, ma il Consiglio europeo ad aver chiesto: “un’azione determinata a tutti i livelli per facilitare, aumentare e accelerare i rimpatri dall’Unione europea”. E ciò il 18 ottobre 2024 … due settimane dopo la sentenza CGUE.

Dove si vede che i giudici della CGUE si sono ridotti ad inventarsi una lettura immaginifica della legislazione leuropea, pel vantaggio unicamente politico di mostrare la bandiera. Guadagnandosi una vittoria di Pirro nella guerra alla eccezione geografica, da loro ormai irrimediabilmente perduta.

Il pastrocchio combinato dal Tribunale di Roma

E tanto sarebbe bastato non fosse che, di cotanta porcheria di sentenza, si sono impossessati alcuni giudici del Tribunale di Roma, con l’ormai notissimo decreto del 18 ottobre 2024. Ad essi, la temporanea cancellazione della eccezione geografica non poteva bastare. Perché il loro caso si riferiva a richiedenti asilo che giungevano da Paesi ove non vengono perseguitate talune regioni, bensì talune categorie di persone. In altri termini, a loro serviva una eccezione di categoria personale.

Un bel problema, visto che la normativa europea esplicitamente lo esclude: il I procedura esplicitava che ciascuno Stato membro dell’Ue poteva “designare un paese o parte di esso sicuri per un gruppo determinato di persone in detto paese” (a.30); il II procedura parla di “minacce alla sua vita ed alla sua libertà” – sua del rifugiato – e di “sicuro nel suo caso specifico” – suo del rifugiato – (a.38); il III procedura esplicita che l’Ue e ciascuno Stato membro dell’Ue potrà designare un paese terzo come paese di origine sicuro “con eccezioni per determinate parti del suo territorio o categorie di persone chiaramente identificabili” (a.61). Ed un problema ancora più grande, visto che la sentenza CGUE solo si occupa di eccezione geografica, mentre non fa alcun cenno alla eccezione di categoria personale.

Come si risolve, un problema simile? Lo si risolve, inventando un appiglio nella sentenza CGUE. Così il Tribunale di Roma: “la sentenza chiarisce che il principio così enunciato [il preteso divieto alla eccezione geografica] deve trovare applicazione anche nel caso in cui risultino escluse determinate categorie di persone”. Ed il lettore cade dalla sedia.

Poi cominciano le comiche: “Infatti, al punto 68, si afferma che “[…] la designazione di un paese come paese di origine sicuro dipende […] dalla possibilità di dimostrare che, in modo generale e uniforme, non si ricorre mai alla persecuzione […] tortura o pene o trattamenti inumani o degradanti e che non vi sia alcuna minaccia dovuta alla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato internazionale o interno”. Roba che manco al circo.

Purtroppissimo, il detto punto 68 della sentenza è esplicitamente ed esclusivamente riferito alla eccezione geografica: esso recita che sarebbe assente “alcuna indicazione che gli Stati membri possono designare come paese di origine sicuro la sola parte del territorio del paese terzo considerato in cui sono soddisfatti tali criteri”.

E, purtroppissimo, la sentenza della CGUE – come dice Nordio – “non è una direttiva e non è nemmeno vincolante in via generale e astratta, perché mette dei paletti estremamente rigorosi in relazione al caso concreto”. Ed il caso concreto è quello della eccezione geografica: non della eccezione di categoria personale.

Certamente, il giudice romano avrebbe potuto eccepire il rischio di persecuzione o trattamenti degradanti o che altro voleva lei … in relazione al caso concreto di ciascuno dei 12 egiziani e bangladini. In altri termini, “passare da un’insicurezza tabellare a un’insicurezza specifica in rapporto a un singolo individuo”. Ma non l’ha fatto: si è limitata ad affermare che “le considerazioni di cui sopra costituiscono ragione dirimente di esclusione … con assorbimento di ogni altro possibile profilo di criticità”. Voglia di lavorare, saltami addosso.

Cosa potrebbe dire la Cassazione

Talché, si può serenamente affermare che il Tribunale di Roma ha preso una topa colossale. Che è pure biblica, per le conseguenze che potrebbe comportare, in termini di mancati respingimenti di migranti economici in numero biblico. E che sarebbe stata pure storica, non fosse che il suo effetto nel tempo è straordinariamente limitato dalla prossima pronuncia di Cassazione.

Cassazione, che non potrà che respingere il decreto del giudice. In quanto basato su una lettura immaginifica della sentenza CGUE. E, in quanto totalmente carente di motivazione completa, esaustiva e relativa al caso concreto.

Quand’anche la Cassazione dovesse andare anch’essa per le strade del diritto immaginario, in ogni caso incombe la prossima entrata in vigore del III procedura. Si tratterebbe solo di gettare un altro po’ di mesi al vento.

L’ultimo decreto legge

Su tutto questo si posa l’ultimo decreto legge 2024/158, quello emanato da Mattarella mercoledì sera. A modifica della legge attuativa della direttiva 2005/85/CE e poi 2013/32/UE, che già abbiamo visto. Lo possiamo dividere in tre parti.

La prima parte del decreto, inquadra la sfida giuridica. Il preambolo è in sé un parere giuridico. Esso scandisce come la sentenza CGUE abbia cancellato la sola eccezione geografica … implicitamente sottolineando l’assenza di qualunque cancellazione della eccezione di categoria personale.

In ossequio alla sentenza CGUE, il decreto riforma la legge attuativa, da: “La designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l’eccezione di parti del territorio o di categorie di persone” a “La designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l’eccezione di categorie di persone”. Ma il preambolo – giustamente – se ne lamenta, rilevando come il III procedura abbia già sancito la eccezione geografica, ciò che “pur trovando applicazione a decorrere dal 12 giugno 2026, ha indicato l’orientamento condiviso da parte degli Stati membri dell’Unione europea” … implicitamente promettendo il reinserimento della eccezione geografica, appena la nuova legge leuropea sarà entrata in applicazione.

La seconda parte del decreto, toglie al giudice il potere di disapplicare la norma. Ciò che fa l’articolato, inserendo nella legge una lista dei paesi sicuri; asseritamente in ossequio alla sentenza CGUE, “escludendo i Paesi che non soddisfano le condizioni per determinate parti del loro territorio (Camerun, Colombia e Nigeria)”. Invero, per promuovere di rango l’indicazione dei restanti 19 Paesi, da decreto ministeriale a legge: e Nordio aveva spiegato che il decreto ministeriale – in quanto atto amministrativo – può essere disapplicato “incidenter tantum, senza abrogarlo: semplicemente non lo applica” (l1865/2248, All.E, a.4); mentre la legge il giudice non può disapplicarla ma, eventualmente, “può fare ricorso alla Corte costituzionale”.

La terza parte del decreto, toglie al giudice il potere di decidere da solo e senza appello. Prima, trasformando i provvedimenti dei Tribunali distrettuali sulle richieste d’asilo, da monocratici ed inappellabili, a collegiali ed appellabili (nuovo 35-ter Dl 2008/25). Poi, assegnando il giudizio di secondo grado alle Corti d’Appello, che debbono decidere nel merito, entro cogenti termini ordinativi e privi di sospensione feriale (nuovo 35-bis e -ter Dl 2008/25). Con relativo malcontento dei presidenti delle Corti d’Appello, che già si vedono sommersi dai ricorsi contro le legioni di rigetti alle espulsioni, oggi concessi in primo grado.

Nel complesso, un decreto che mette un adeguato tappo all’improvvisamente insorto buco legislativo, fra oggi e l’entrata in applicazione del III procedura, nel giugno-luglio 2026. Con, in più, la fine del regno della disapplicazione e del rigetto in balìa di giudici monocratici ed inappellabili, troppo spesso comunisti.

Conclusioni

Insomma, il governo ha ben profittato di un gran casino. Un gran casino combinato da un gruppo di giudici leuropei, che si sono inventati una lettura immaginifica della legislazione leuropea. E da un gruppo di giudici italiani, che si sono inventati una lettura immaginifica della già immaginifica sentenza leuropea. Ad ennesima dimostrazione che l’esondazione giurisdizionale e legislativa de Leuropa non semplifica ma, anzi, complica la vita già complicata degli italiani.

Tutto ciò ce lo saremmo risparmiati, se avessimo già rimesso Leuropa al suo posto, che è quello del commercio, l’unica faccenda che dovrebbe interessarla. Ce lo saremmo risparmiati, se avessimo già posto fine alla pretesa prevalenza dei Trattati e – addirittura – della legislazione leuropea, sulla Costituzione. Sarà per un altro giorno, magari al prossimo gran casino che altri giudici comunisti leuropei ed italiani non mancheranno di combinare.

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